SALUTE e MEDICINA
Comunicato Stampa

17mila ricoverati in meno in terapia intensiva e 7mila morti evitate in 5 mesi è il beneficio di Remdesivir secondo una simulazione di un gruppo di economisti

12/01/21

• Grazie a una minore durata della degenza ospedaliera e alla minore necessità di trattamento in terapia intensiva, Remdesivir può determinare un risparmio per il SSN di oltre 430 milioni di euro. • Lo studio previsionale promosso dall’Università UniCamillus di Roma e basato sulla simulazione dell’evoluzione della pandemia su un orizzonte di 20 settimane, ha stimato l’impatto di Remdesivir rivelando un’importante riduzione in termini di accessi in terapia intensiva, numero di decessi e risparmi sui costi sanitari diretti associati al trattamento dei pazienti ospedalizzati. • L’analisi mostra non solo il beneficio clinico della terapia, sottolineandone l’importanza della somministrazione in una fase precoce della malattia, ma soprattutto il valore in termini di risparmio delle risorse sanitarie.

Foto L'adozione di Remdesivir, il primo e unico farmaco approvato in Europa per il trattamento di Covid-19, è in grado di ridurre gli accessi in terapia intensiva di oltre 17.000 unità e potenzialmente evitare circa 7.000 decessi in soli 5 mesi. Grazie all’effetto della minore necessità di trattamento in terapia intensiva, infatti, si determinerebbe un risparmio per il SSN di oltre 430 milioni di euro. È questo il risultato dell'applicazione di un modello messo a punto da un team di economisti sanitari di UniCamillus – Saint Camillus International University of Health Sciences, Università Medica Internazionale di Roma per stimare l’impatto di Remdesivir sull’occupazione delle terapie intensive e, in ultima istanza, sui costi sanitari diretti per le strutture ospedaliere nella gestione dell’attuale emergenza.

Il modello, elaborato in uno studio pubblicato sulla rivista ABOUTOpen HTA & Market Access, ha previsto l’evoluzione della pandemia su un orizzonte temporale di 20 settimane in termini di contagiati, accessi in terapia intensiva e decessi. La costruzione del modello si è basata su dati epidemiologici osservati e relativi alla contagiosità (l’indice Rt) e ai dati aggiornati con cadenza quotidiana rispetto agli ospedalizzati, ai ricoverati in terapia intensiva e ai decessi nel mese di ottobre.

Lo studio ha preso inoltre in considerazione due scenari alternativi corispondenti a due possibili evoluzioni dell'epidemia. Lo scenario “pessimistico” ha ipotizzato che il valore degli Rt rimanesse a 1,1 fino alla settimana 12 e che scendesse a 1 dalla settimana 12 alla settimana 20. Lo scenario “ottimistico” ha ipotizzato una riduzione degli Rt pari a 0,2 punti a settimana a partire dalla quarta settimana, per poi attestarsi a 0,9 dall’ottava settimana in poi. Nello scenario pessimistico, a fronte di 5,4 milioni di contagiati, si ottiene una riduzione di 25.750 accessi in terapia intensiva, di 15.047 decessi e un risparmio di 512 milioni di euro. In quello ottimistico, a fronte di 1,3 milioni di contagiati, si ha una riduzione di 12.500 ricoveri in terapia intensiva, 4.800 decessi e un risparmio di 294 milioni.

“Questo studio – sottolinea il Prof. Alessandro Signorini, direttore dell’Health Economics Team di Unicamillus – utilizza un modello dinamico epidemiologico linkato ad un modello tradizionale economico - sanitario, per stimare l’impatto sull’utilizzo di risorse umane e tecnologiche di interventi alternativi volti a fronteggiare l’emergenza da Covid 19 in un setting ospedaliero. In particolare, gli interventi sono stati disegnati per minimizzare il numero di accessi in terapia intensiva. E’ uno strumento che consente di studiare degli scenari per fare delle previsioni sulla capacità e sulla possibilità di utilizzo di assetti ad alta intensità tecnologica (come le terapie intensive) ma anche sulla necessità di investire in risorse umane. È chiaro che laddove un trattamento consenta di razionalizzare o comunque gestire in modo più efficiente gli accessi in terapia intensiva, l’intera organizzazione delle cure ne trarrebbe beneficio. Questo modello è del tutto adattabile anche a singoli contesti regionali e, nella sua struttura di base, potrebbe essere utilizzato anche per condurre delle stime simili relative ad eventuali altre crisi pandemiche”.

I risultati di questo studio evidenziano l’importanza dell’adozione di Remdesivir nelle fasi iniziali dell'infezione, per impedire che il virus diffondendosi e moltiplicandosi scateni, nella fase successiva, la tempesta citochinica con conseguente insufficienza respiratoria e danno multiorganico. “È evidente – sottolinea Massimo Andreoni , Direttore Scientifico della Società Italian di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) - che la somministrazione precoce di Remdesivir nei pazienti ai primi stadi dell’infezione può generare numerosi benefici sia a livello clinico, con tempi di permanenza in ospedale ridotti e un recupero più rapido dalla malattia, sia a livello di strutture ospedaliere e risorse sanitarie, con minor accesso ai ricoveri in terapia intensiva, che possono così essere liberate e impiegate per trattare altri pazienti non necessariamente affetti da COVID-19, generando un notevole risparmio per il Sistema Sanitario Nazionale”.

Metodi e Dati Economici
Il modello, strutturato in due fasi, aveva due obiettivi principali: stimare il numero di contagiati totali sulla base della popolazione italiana e stimare i costi sanitari diretti associati al trattamento dei pazienti ospedalizzati e in terapia intensiva, con e in assenza di ricorso alla terapia con Remdesivir.

Nel modello si è ipotizzato che una percentuale compresa fra il 50 e il 60% di tutti gli ospedalizzati per COVID-19 abbia bisogno di ossigenoterapia a basso flusso e sia quindi eleggibile al trattamento con Remdesivir, indicato appunto, per quella categoria di pazienti. Coerentemente con i criteri di utilizzo specificati da AIFA, non è stato ipotizzato l'impiego di Remdesivir nei pazienti ospedalizzati in terapia intensiva. Stando ai dati, la frequenza dei pazienti ospedalizzati è pari al 6,6%, quella dei ricoverati in terapia intensiva è pari allo 0,6% sul totale degli infetti, mentre la letalità all’interno di un range compreso fra 0,6% e 2,4%.

I dati di efficacia di Remdesivir, utilizzati per alimentare il modello, derivano dallo studio ACTT-1 , un trial clinico randomizzato, condotto in doppio cieco e controllato con placebo, che ha evidenziato una significativa riduzione del tempo mediano al recupero da COVID-19 di 5 giorni rispetto al placebo (10 vs 15 giorni) con una riduzione ancora più rilevante (-7 giorni) nei pazienti che risultano in ossigenoterapia al basale (11 vs 18 giorni). La riduzione della probabilità di accesso in terapia intensiva è stata estrapolata calcolando la Relative Risk Reduction (RRR), risultante dai dati dello studio che riportano una frequenza di nuova ventilazione meccanica o di ECMO più bassa nel gruppo trattato con (13%) e vs placebo (23%).

Il modello considera, inoltre, quale driver principale della stima dei costi, la durata della degenza rispetto a una media di 19 giorni di ospedalizzazione (dati del Ministero della Salute). I dati relativi alla durata delle degenze e dei ricoveri in terapia intensiva sono stati ricavati dallo studio di Grasselli et al. La valorizzazione delle giornate di degenza riporta un valore medio per giornata di €674 (Ragioneria Generale dello Stato), mentre per quella delle terapie intensive è stata considerata la tariffa minima di €1654. Per quanto riguarda il costo della terapia è stato considerato il prezzo identico in tutti i Paesi industrializzati pari a €345 a fiala, e, coerentemente con i criteri di AIFA, è stata ipotizzata una durata di somministrazione di 5 giorni.

Al fine di testare la sensibilità del modello alle variazioni dei parametri inclusi sono state condotte delle analisi di sensibilità probabilistiche su tutti i parametri inclusi sia nella prima, che nella seconda fase di stima previste dal modello. Come specificato sopra, sono stati, infine, ipotizzati due scenari alternativi, simulando diversi tassi di riduzione degli indici Rt a seguito di misure più o meno restrittive.

Remdesivir
Remdesivir, è un analogo nucleotide messo a punto da Gilead grazie alla trentennale esperienza in materia di antivirali. Remdesivir ha un’attività antivirale ad ampio ampio spettro sia in vitro che in vivo su modelli animali contro diversi virus emergenti, tra cui Ebola, SARS, virus della febbre di Marburg, MERS e SARS-CoV-2.
Remdesivir è stato approvato o autorizzato per il trattamento in uso di emergenza per COVID-19 in oltre 50 Paesi nel mondo. A dimostrazione del continuo impegno di Gilead nello sviluppo di trattamenti efficaci contro COVID-19, sono stati avviati nuovi studi clinici internazionali di Fase III volti a valutare la sicurezza e l’efficacia di Remdesivir in popolazioni diverse di pazienti, in nuove formulazioni e in combinazione con altre terapie.

Gilead Sciences
Gilead Sciences è una società biofarmaceutica impegnata da oltre trent’anni nella scoperta, sviluppo e commercializzazione di farmaci innovativi per patologie molto gravi che ancora affliggono l’umanità. Le aree terapeutiche sulle quali ci concentriamo comprendono HIV/AIDS, malattie epatiche, ematologia e oncologia, malattie infiammatorie e respiratorie. Gilead è presente in Italia dal 2000 e collabora attivamente con i partner istituzionali, scientifici, accademici, industriali e delle comunità locali per sviluppare e rendere disponibili le terapie ai pazienti italiani.

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