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Dentro l’Archeometria: la Voltammetria di Microparticelle per la discriminazione di metalli archeologici

31/10/17

Una tecnica poco conosciuto nell'ambito dell'archeometria. Proviamo ad indagare quali sono i vantaggi analitici che essa può apportare alla ricerca nel campo dei Beni Culturali.

FotoLe tecniche elettrochimiche costituiscono un campo di ricerca non particolarmente battuto nell’ambito della diagnostica.
Tra queste, la già citata Voltammetria di Microparticelle (VMP) costituisce, invece, una valida alternativa per la caratterizzazione dei manufatti metallici, laddove le tecniche tradizionali possono incontrare ostacoli analitici (per la natura propria del materiale, per problematiche strumentali o per la distruttività della misura). La VMP si basa sul campionamento di microgrammi di patina superficiale, mediante la pressione sulla stessa di un elettrodo di grafite; tale elettrodo è
successivamente immerso parzialmente in soluzione per eseguire una tradizionale voltammetria.
Con la VMP siamo nel campo dell’elettrochimica dello stato solido ed è bene sottolinearlo, poiché vi sono sostanziali differenze con l’elettrochimica in soluzione: in quest’ultimo caso, infatti, il campione è sciolto, per l’appunto, in soluzione; ciò non avviene, ovviamente, nello stato solido. Dunque, la VMP può essere applicata per lo studio di metalli, poiché permette il prelievo di microparticelle dalla loro patina mediante un trasferimento meccanico.

Semplificando, supponiamo che la patina metallica sia formata da più strati e che quello più interno sia costituito essenzialmente da cuprite (Cu2O); successivamente, sul metallo archeologico si formerà un secondo strato, caratterizzato da tenorite (CuO), dovuto alla spontanea trasformazione di cuprite in tenorite. Una terza patina, se presente, sarà costituita da tutti i prodotti di corrosione dovuti al contatto con il terreno (nel caso di reperti archeologici) oppure con l’atmosfera (nel caso di statue o manufatti esposti all’aria). La possibilità di campionare letteralmente “strato per strato” permette di registrare i segnali voltammetrici – i picchi – caratteristici di ogni composto presente nella stratigrafia della patina. Ciò consente di ricostruire uno schema semplificato della struttura della patina stessa, conoscendo il meccanismo di formazione di cuprite, tenorite ed eventuali composti di corrosione più esterni.
Al fine di ottenere un sistematico riconoscimento dei picchi voltammetrici il gruppo di ricerca del Prof. Antonio Doménech-Carbò (Università di Valencia) ha pubblicato un database di spettri di riferimento (ELCHER) che si propone come un valido aiuto per chi inizia a cimentarsi con la VMP. Ogni composto, infatti, ha un suo caratteristico picco ad un determinato potenziale, ma piccole differenze nelle condizioni analitiche possono causare spostamenti di potenziale, doppi picchi o sovrapposizione del segnale di due composti diversi.
Uno step più avanzato dell’uso e applicazione della VMP risiede nell’elaborazione delle correnti di picco per discriminare i campioni secondo la provenienza, la zecca di origine o la datazione dei campioni. Infatti, è stata dimostrata la relazione tra i picchi di corrente dei composti del rame per differenziare monete di differente zecca; è possibile considerare tali disparità poiché esse sono dovute a differenze nei materiali e nella metodologia di produzione di ogni singola zecca. Allo stesso modo, è stato possibile dimostrare mediante VMP la possibilità di datare monete appartenenti a diversi livelli stratigrafici grazie al loro segnale voltammetrico, permettendo una ricostruzione storica e archeologica del sito di riferimento.
Le potenzialità della VMP sono molteplici ed è difficile riassumerle in poche righe. La VMP ha trovato impiego nell’analisi anche di altri materiali, come lo studio di foglie di tè e una nuova frontiera si è recentemente aperta per lo studio di vetri al piombo.
Nella speranza di avervi incuriosito un po’ di più con l’elettrochimica dello stato solido, vi consiglio qualche lettura dei lavori citati!



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