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La libertà non è morta con Parigi, ma molto prima

Non è possibile non essere a conoscenza dei sanguinosi atti che sono successi a Parigi venerdì scorso, così come non è possibile sentire una stretta al cuore al pensiero di tanti morti.
del 17/11/15 -

L’Europa è stata colpita nel suo cuore romantico, nella sua città delle luci, nella tranquilla serata di un inizio week end come tutti gli altri.

La guerra, prima tanto lontana nello scenario occidentale (guerra? Forse non siamo nemmeno sicuri di poterla definire così, considerando quanto è lontana, astratta, non più di un dieci minuti di notizie scandite durante il telegiornale della sera), è piombata nelle nostre case, nei nostri salotti.

Amici, familiari che credevamo al sicuro improvvisamente non lo sono più stati. E da lì il panico, l’ansia ad una chiamata a cui non segue una risposta immediata.

Questo è stato peggio di Charlie Hebdo. Peggio perché non abbiamo nemmeno quella blanda scusa mentale del “se lo sono meritato, non si fa ironia su certe cose, visti i soggetti”. Peggio perché questa volta è stata colpita la folla.

Una folla anonima, in cui possiamo facilmente vedere noi stessi o i nostri casi. Perché in una folla non c’è colpevole, perché in una folla potevamo esserci noi.

E lo scopo del terrore è stato raggiunto, si è visto nel falso allarme di ieri sera a Place de la Republique. Tutta l’Europa trema, tutta l’Europa si specchia negli occhi colmi di paura di Parigi.

Ma il terrorismo non agisce solo in Europa. Perché la guerra, per noi così lontana, alcuni paesi sono costretti a viverla ogni giorno. Volenti o nolenti, si trovano immersi nel sangue e nel dolore.

E’ il caso del Kenya l’aprile scorso, quando in una tranquilla giornata come le altre l’Università di Garissa si è macchiata del sangue di 148 morti. I colpevoli? I membri di Al Shaabab.

Al Shaabab potrebbe essere definita la sezione somala di Al Quaeda. Ancora sciiti intolleranti dunque, ancora orrori. I testimoni han parlato di corpi decapitati, giovani costretti a guardare la morte dei loro compagni, dei loro amici.

Ma l’orrore ha meno presa nei cuori quando difficilmente ci si immedesima nelle vittime.

Così l’attacco di quattro giorni fa a Beirut, in Libano, che ha provocato una cinquantina di vittime ed è stato rivendicato da Hezbollah. Ancora orrore, ancora morti.

Ma la coscienza occidentale non ha pianto, non ha organizzato marce di sostegno, non ha tinto il proprio profilo Facebook con i colori della bandiera libanese.

E’ comprensibile, certo. L’attacco è lontano, in una terra in guerra da decenni. Sono morti troppo difficili da immaginare, troppo diversi per vedere i volti dei nostri figli nel loro corpo esanime.

Ma sono morti.

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Ecco. L’elenco dei luoghi in cui, dal gennaio 2015, i terroristi islamici hanno compiuto attentati; per un totale di 6033 innocenti che hanno perso la vita. Solo cinque di questi attentati sono avvenuti in territorio europeo.

Ma siamo stati toccati solo da una minima parte di essi.

Perché?

Il terrorismo è ovunque, e le vittime non sono più o meno innocenti in base alla nazione in cui perdono la vita.



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