ARTE E CULTURA
Articolo

Gian Piero Martino -Giuseppina Spadea- Archeologia subacquea in liguria e problemi di musealizzazione

21/04/17

il resoconto dell'attività subacquea della Soprintedenza archeologica della liguria dal 1980 al 2011

RICERCHE DI STORIA, EPIGRAFIA E ARCHEOLOGIA MEDITERRANEA
5
MARIA, LACUS ET FLUMINA
Studî di storia, archeologia e antropologia
“in acqua” dedicati a
Claudio Mocchegiani Carpano
a cura di
Massimiliano Marazzi - Germana Pecoraro - Sebastiano Tusa
Ricerche di storia, epigrafia e archeologia mediterranea 5
Collana diretta da Massimiliano Marazzi e Sebastiano Tusa
Comitato scientifico:
Anthony Bonanno - La Valletta
Billie J. Collins - Atlanta
José C. Martín de la Cruz - Cordoba
Claudio Giardino - Lecce
Jean Guilaine - Carcassonne
Clelia Mora - Pavia
Thomas Schäfer - Tübingen
Simon K. F. Stoddart - Cambrige
Redazione, editing e impaginazione
Germana Pecoraro
ISBN 9788878062184
© Bagatto Libri 2016
In copertina:
Frammento di affresco miceneo da Iklaina (Messenia, fine XV inizio XIV sec. a.C.) da:
Michael B. Cosmopoulos, A Groupof New Mycenaean Frescoes from Iklaina, Pylos, in
Mycenaean Wall Painting In Context. New Discoveries, Old Finds Reconsidered. «MELETIMATA»72 (2015).
National Hellenic Research Foundation/Institute For Historical Research.
INDICE
9 Massimiliano Marazzi - Luca Mocchegiani Carpano -
Sebastiano Tusa
Presentazione
19 Cecilia Albana Buccellato - Sebastiano Tusa
Un'arma navale del I sec. a.C.: il rostro di Acqualadroni
47 Massimo Capulli - Luigi Fozzati - Domenico Marino
Archeologia subacquea nell'alto adriatico: il caso di Grado (GO)
65 Paolo Caputo - Filomena Costagliola
Il “ritrovamento” del punto di alimentazione idrico di Piscina
Mirabilis: riflessioni su approvvigionamenti idrici del porto e
della città di Misenum. Piscina Mirabilis: storia, scoperte, studi
95 Salvatore Chilardi
Dalla terra al mare: ricerche paleontologiche subacquee nelle
acque di Torretta Granitola (TP, Sicilia sud-occidentale)
113 Antonio De Simone
Il thiasos marino nella cd. Villa di Augusto in Somma Vesuviana
133 Loredana De Simone
Sepoltura e ritualità nel Sese Rosso di Pantelleria
143 Flavio Enei
Il Museo del Mare e della Navigazione Antica nel porto
etrusco di Pyrgi. “Scienza, educazione e ricerca, sul mare e
per il mare”
163 Silvia Festuccia
Un tuffo nell'Eufrate: le attività natatorie nella Mesopotamia antica
181 Ciro Furfaro
Capitani coraggiosi
185 Pamela Gambogi - Giovanni Roncaglia
Isola d'Elba (LI), Portoferraio. Il relitto dello Scoglietto
199 Dario Giorgetti
Le Dressel 21-22 come contenitori da trasporto di derrate ittiche
lungo le rotte commerciali fra Sicilia e coste tirreniche
209 Alessandro Guidi
Gli abitati perilacustri e perilagunari di riva nell'ambito del
popolamento protostorico del territorio laziale
223 Ettore Janulardo
Pio II, il Borgo di Ostia Antica, Porto
231 Roberto La Rocca
Evoluzione storica dell'alieutica in Sicilia: modelli produttivi,
organizzazione strutturale e dinamiche commerciali
255 Valeria Patrizia Li Vigni
La città di Trapani e il suo mare attraverso le collezioni di
Agostino Sieri Pepoli
265 Federico Marazzi
Portus monasterii: scali monastici fluviali e marittimi nella
Campania altomedievale (IX - X secolo)
287 Mario Marazzi
I saraceni sulle coste laziali
307 Massimiliano Marazzi - Germana Pecoraro
Il Mediterraneo durante il II millennio a.C.: riflessioni su alcuni
indicatori marittimi di un nuovo sistema di interconnettività
329 Carmine Marra
La nave Vasa: dal recupero alla musealizzazione
345 Gian Piero Martino - Giuseppina Spadea
Archeologia subacquea in Liguria e problemi di musealizzazione
363 Sergio Omarini
Tra terra e mare
375 Carla Pepe
Tracce del Genius Loci del Mediterraneo. L’epopea del tonno “volante”
391 Leopoldo Repola
Il rilievo tridimensionale subacqueo. 2008 Primi progetti e
sperimentazioni
403 Leopoldo Repola - Daniela Signoretti -
Raffaele Memmolo
Rilievo e rappresentazione del movimento delle forme in acqua
433 Nicola Scotto di Carlo
Procida. Dal mare, nel mare, con il mare
445 Giorgio Trojsi - Sebastiano Tusa
Origine e provenienza del carico del relitto delle macine di San
Vito lo Capo (Trapani)
Gian Piero Martino - Giuseppina Spadea
Archeologia subacquea in Liguria e problemi di musealizzazione
Dall'attività di Nino Lamboglia alla riorganizzazione degli
anni Ottanta
La conoscenza e la conservazione del patrimonio sommerso in
Liguria si devono riferire all'ambiente naturale di provenienza, il mare,
nonché all'evoluzione culturale che ha interessato il modo di intendere la
salvaguardia di questo immenso contenitore e che ha sollecitato una
rinnovata attenzione attraverso filoni di ricerca multidisciplinari. È pur
vero che la Liguria e soprattutto Albenga restano protagoniste in questo
campo per essere state negli anni Cinquanta e Sessanta luoghi privilegiati
dove ha operato Nino Lamboglia dapprima con la sperimentazione e
successivamente con la messa a punto del metodo che doveva coniugare
le modalità tecniche con la conoscenza scientifica dei contesti sommersi.
Queste esperienze avevano trovato nel Centro Sperimentale di
Archeologia Sottomarina, nato nel 1957 in seno all'Istituto
Internazionale di Studi Liguri, il nucleo operativo; esse fanno ormai parte
della storia dell'archeologia subacquea, come ben rappresentato da
Francisca Pallarés che, partecipe negli anni Sessanta e Settanta della
ricerca sottomarina diretta da Lamboglia, ha potuto registrare, oltre ai
risultati archeologici, anche la cronistoria degli avvenimenti e i primi
interventi di tutela del patrimonio sommerso.
L'attenzione per la tutela fu messa a frutto negli anni Ottanta dalla
Soprintendenza di Genova che poteva applicare le “Direttive per il
rilascio delle autorizzazioni agli scarichi nelle acque del mare”
(26/11/80); ne derivò che le Capitanerie, prima di rilasciare
autorizzazioni e concessioni demaniali nelle zone precedentemente
dichiarate d'interesse archeologico, interpellavano la Soprintendenza, che
a sua volta subordinava il parere di competenza ad accurate prospezioni
preliminari. Si anticipava così una procedura che sarebbe stata recepita
dalla normativa molto più tardi per l'esecuzione delle opere pubbliche,
dapprima con il DPR 554/1999 e successivamente con la legge
109/2005 e con il d.lgs.163/2006.
Un segnale importante dell'accresciuta sensibilità nei confronti
dell'archeologia subacquea da parte del Ministero per i Beni Culturali fu
l'elaborazione tra il 1982 e il 1987 di tre Supplementi al Bollettino d'Arte,
dedicati monograficamente a “fotografare” lo stato delle attività
archeologiche subacquee, intese non solo come archeologia sottomarina
ma anche delle acque interne, nelle varie regioni della penisola. Il
Ministero sosteneva, inoltre, l'utilità di una struttura centrale di
coordinamento e la necessità di azione delle singole Soprintendenze
mediante personale adeguatamente preparato. Veniva così istituito nel
1986 il Servizio Tecnico di Archeologia Subacquea in grado di
promuovere interventi di ricerca e di tutela, a sostegno delle
Soprintendenze, e di allargare le collaborazioni con altri organi
istituzionali, cioè Ministero della Marina Mercantile (Fig. 1), Istituto
Idrografico della Marina, Carabinieri Subacquei, C.N.E.S., Vigili del
Fuoco, Guardia di Finanza etc. Allo scopo di approfondire la conoscenza
dei vari problemi di archeologia subacquea, la Soprintendenza della
Liguria collaborava all'attività del Servizio attraverso un funzionario
distaccato presso la sede centrale, che poteva così effettuare ispezioni e
visite conoscitive nelle regioni Campania, Abruzzo, Toscana, Umbria,
Basilicata, mettendo a disposizione competenze e logistica per
l'organizzazione del settore.
346
Fig. 1
Nave idrografica Ammiraglio Magnaghi, dotata di apparecchiature
idro-oceanografiche e sofisticati
software per l'elaborazione dei dati acquisiti. Impiegata
saltuariamente d'intesa con il Servizio tecnico
di Archeologia subacquea per ricerche archeologiche
sottomarine, ritrovamento e rilievo relitti storici.
Nell'ambito di questa collaborazione con il Servizio, e mirando
all'aggiornamento dei funzionari tecnici preposti all'archeologia
subacquea, venivano organizzati proprio in Liguria due Seminari
Nazionali, che si sono svolti a Diano Marina nel 1989 e nel 1990, e un
corso di abilitazione all'attività subacquea per i dipendenti del Ministero1.
Per quanto si andava maturando già agli inizi degli anni Ottanta in
Liguria, può essere significativo richiamare due mostre: Navigia fundo
emergunt, inaugurata nel 1983, e “Archeologia Sottomarina” organizzata
direttamente dal Ministero nel marzo del 1985. Comuni alle due
manifestazioni sono stati gli ampi spazi della Fiera del Mare a Genova
con la finalità di comunicare con un vasto, diversificato pubblico
mediante l'esposizione di reperti e pannelli illustrativi. La prima allestita
in occasione del Salone Nautico Internazionale di Genova dal 15 al 24
ottobre e poi itinerante, fornì l'occasione per compilare un primo
bilancio e indicare i nuovi obiettivi che la Soprintendenza si accingeva a
portare avanti e che restano documentati nel catalogo a corredo della
mostra. Venivano presentati una selezione dei materiali rivenuti nei relitti
di Albenga e Diano Marina, nonché altri reperti provenienti da recuperi
dalla Liguria di Levante, preceduti dalla carta archeologica sottomarina
(Forma Maris Antiqui), che comprendeva tutte le segnalazioni e i
rinvenimenti archeologici fino al 1983. Due anni dopo, in occasione della
manifestazione “Primavera 1985”, veniva illustrata l'attività del Ministero
lungo le coste della penisola; per fornire un dato anche emozionale delle
ricerche si trasferirono temporaneamente la sezione della nave di
Albenga, esposta in via permanente nel primo museo di archeologia
sottomarina in Liguria, e alcuni dolia (Fig. 2), tre grandi e due piccoli, del
relitto del Golfo Dianese.
347
1 OSPEDALETTI 1995.
Fig. 2
Tre dolia del carico del relitto di nave oneraria del
Golfo Dianese esposti a Genova al primo piano del
padiglione S in occasione del salone PRIMAVERA
1985.
La mostra fu accompagnata da due “Giornate di Studio”
sull'archeologia subacquea in Italia, con particolare riferimento all'attività
in corso in Liguria.
Ricerca, tutela e valorizzazione nelle acque del Mar Ligure
L'ambiente costiero ligure rappresenta una realtà particolare in
quanto inserito nelle strategie economiche rappresentate dai fitti
insediamenti, dai traffici portuali di notevole portata e dal turismo; nello
stesso tempo la costa è elemento di pregio del paesaggio con la presenza
di beni archeologici soggetti a tutela. Alla luce di queste considerazioni,
nell'ambito delle competenze istituzionali, che hanno visto peraltro alla
fine degli anni Novanta il trasferimento dallo Stato alle Regioni delle
funzioni amministrative sul demanio marittimo (d.lgs. n.112 del 31
marzo 1998), la Soprintendenza ha svolto sin dalla metà degli anni
Ottanta una preliminare e capillare azione conoscitiva finalizzata a
escludere che i progetti - condotte di vario tipo, opere portuali,
ripascimenti degli arenili, etc. - andassero ad intercettare o ad interferire
con contesti archeologici sommersi.
Questa attività ha consentito di mettere a punto un metodo
speditivo che potesse garantire la lettura dei fondali utilizzando
tecnologie già collaudate, come il Rov e il Side Scan Sonar (Fig. 3)
nonché, ove ritenuto necessario, il Sub-bottom profiling, con eventuale
successiva ispezione di operatore subacqueo.
Suddetta strumentazione è stata impiegata già alla fine degli anni
Ottanta sul cantiere di scavo e rilievo del Golfo Dianese (Rov) - mentre
sul grande relitto di Albenga il Side Scan Sonar (Fig. 4) - ha consentito
nel 1989 di apprezzare la forma dello scafo.
L'utilizzo integrato di Side-Scan-Sonar, Rov e ispezione ottica di
operatore subacqueo ha prodotto negli anni Novanta una buona
348
Fig. 3
Side Scan Sonar a bordo della nave idrografica
Pioppo della Marina, la dott.ssa Giovanna de Sanctis
Alvisi ed il dott. Luca Cianfarani programmano una
rotta di perlustrazione nei pressi della nave romana
di Albenga.
Fig. 4
Sonar nave Albenga la prima immagine sonar del relitto
di nave oneraria di Albenga del I sec. d.c. Si noti
il profilo.dello scafo.
esplorazione dei fondali circostanti l'Isola Gallinaria, proseguendo le
ricerche di Lamboglia, e posizionando in modo particolare il relitto delle
Ardesie affondato alla fine del XVIII secolo a Nord/Nord-Ovest
dell'Isola, ad una profondità di 15-16 metri. L'interesse di questo relitto,
già messo in rilievo sin dal momento della sua scoperta da parte di
Edoardo Riccardi, è riconducibile ai dati sul naufragio, recuperati in
documenti presso l'Archivio di Stato di Savona, e al carico d'ardesia
proveniente dalla Valfontanabuona, nella Liguria di Levante. L'attività
nelle acque circostanti la Gallinaria ha permesso di aprire - pur con le
dovute precauzioni - i fondali dell'Isola, noti peraltro per l'abbondante
flora sottomarina, alle immersioni sportive e di fornire una miglior
definizione del Parco Marino Regionale dell'Isola.
L'esperienza più completa di cartografia del rischio archeologico
è stata messa punto nella Rada di Vado Ligure, conosciuta fin dagli anni
Sessanta per i suoi abbondanti ritrovamenti occasionali, costituiti in
prevalenza da materiali depositati sui fondali in quanto gettati o persi.
In presenza di un costante e diffuso rischio archeologico, la
Soprintendenza ha subordinato tutte le opere portuali e marittime nella
Rada di Vado ad accurate prospezioni preliminari realizzate con il
metodo già illustrato e successiva verifica delle anomalie mediante scavo
archeologico subacqueo. Allo stato attuale delle ricerche si è potuto
constatare l'esistenza di un paleofondale con profondità crescente in
funzione della distanza dall'attuale linea di costa, che ingloba reperti di
età romana sia in discrete condizioni di conservazione che
estremamente fluitati. È, tuttora, difficile stabilire quanti reperti possano
essere attribuiti a naufragi e quanti invece siano la conseguenza della
sosta delle imbarcazioni. Il problema derivante dall'opacità dell'acqua
che impediva un'esauriente documentazione fotografica fu risolto negli
anni Novanta mediante la messa a punto di un dispositivo, denominato
“zerovisibility”, consistente in un cono d'acqua chiara continuamente
rinnovata (Fig. 5) al fine di ottenere buone riprese (Fig. 6). Com'è stato
349
Fig. 5
Dispositivo zerovisibility, visore d'acqua chiara, utilizzato
nelle acque di Vado Ligure.
Fig. 6
Anfora tipo Keay VII in giacitura originaria. Fotomosaico
realizzato con il visore zerovisibility.
meglio descritto in un recente contributo sull'attività pluriennale della
Soprintendenza nella Rada di Vado, nel 2005 - 2006, attraverso la
catalogazione di tutti i reperti divisi per aree di provenienza ,unitamente
ad uno studio geomorfologico del delta del torrente Segno, realizzato
dal DI.P.TE.RIS dell'Università di Genova con il coordinamento del
prof. Marco Firpo, nonché mediante l'analisi delle carote e altre
indagini, si è pervenuti all'elaborazione di una carta del rischio
archeologico (Fig. 7), strumento diagnostico propedeutico ad ogni
intervento in mare.
Non è questa la sede per un bilancio, sia pure sintetico, degli
interventi portati avanti lungo tutto l'arco costiero - anche di prolungato
impegno, come San Michele di Pagana sul versante orientale del
Promontorio di Portofino - e scanditi dall'istituzione nel 1997 del Nucleo
Operativo di Archeologia Subacquea all'interno della Soprintendenza, in
conseguenza dell'abilitazione ministeriale alle immersioni. Si può
comunque affermare che, nonostante le scarse risorse, sicuramente non
adeguate alle crescenti esigenze di ricerca e tutela, si è ampliato il
panorama conoscitivo e si è potuto incrementare il patrimonio dei
materiali recuperati, grazie anche ai nuovi sistemi di indagine in sicurezza
in fondali profondi. Si è, inoltre, operato affinché i risultati conseguiti
fossero resi disponibili per il più vasto pubblico in tempi reali in rapporto
a quelli delle indagini. Ciò è avvenuto sia mediante esposizioni
temporanee anche di particolare impegno, sia con incontri, conferenze,
350
Fig. 7
Carta del rischio archeologico della rada di Vado, antico
Portus Vadorum.
visite guidate, etc. avvalendosi del supporto degli Enti Locali e di altre
forze operanti sul territorio.
Più complessa invece è stata la realizzazione di spazi espositivi
permanenti.
Alcune indagini possono essere ritenute emblematiche nel campo
della ricerca e della valorizzazione, quelle cioè del relitto della navis
lapidaria nelle acque di Lerici, quella sul relitto B di Albenga e sul relitto
post-rinascimentale denominato il “Leudo del Mercante” nelle acque di
Varazze. Questi cantieri hanno posto problematiche diverse,
determinando di conseguenza soluzioni mirate soprattutto per la
valorizzazione. Si richiamano brevemente di seguito.
Relitto di Lerici
Le ricerche nelle acque della Baia della Caletta sono state avviate agli
inizi degli anni Novanta a seguito di diverse segnalazioni. Con l'ausilio dei
Carabinieri Sommozzatori del Nucleo di Genova e del Circolo “Duilio
Marcante” fu possibile riconoscere e documentare tre massicci elementi
marmorei semisprofondati nella sabbia. La loro sovrapposizione grafica
permise poi di capire che si trattava di tre rocchi relativi ad un'unica
colonna, dal fusto alto oltre 11 mt, in marmo lunense. Un saggio di scavo
restituì, a una profondità corrispondente al piano d'appoggio dei rocchi,
numerosi frammenti metallici, fra cui una grappa bronzea a doppia coda
di rondine con due piccoli fori sulle estremità, alcuni chiodi, lunghi fino a
20-23 cm, abbondanti frammenti di lamina plumbea e piccoli chiodi di
rame destinati al fissaggio della lamina. I frammenti ceramici erano
ascrivibili ad anfore del tipo Dr. 2/4.
Constatato il degrado in cui versavano i tre elementi, aggrediti dai
litodomi, la Soprintendenza decise di programmare nel 1994 il prelievo
di almeno uno dei rocchi. Le notevoli dimensioni e il peso hanno posto
seri problemi per il recupero e per la collocazione finale. Risolto il primo,
grazie alla collaborazione del Dipartimento Marittimo di La Spezia e dal
Gruppo Naviglio Uso Locale della Marina Militare che misero a disposizione
il maggior pontone disponibile, dotato di una gru adeguata, si
provvide al trasferimento della colonna nella sede ritenuta più idonea, l'area
archeologica, cioè, della città romana di Luna (Fig. 8). I criteri che
hanno guidato questa scelta sono stati fondamentalmente tre: l'individuazione
di un luogo prossimo al rinvenimento, l'allestimento in un'area
demaniale, aperta al pubblico e quindi protetta, nonché la ricongiunzione
di un reperto delle cave Apuane nel più vasto contesto lunense. Per il re-
351
sto del carico, rimasto in fondo al mare, ad una profondità di 8-9 mt, si
è progettato un percorso didattico subacqueo sul modello di Ustica.
Relitto B di Albenga
Insistenti voci parlavano già da qualche anno della presenza nelle
acque di Albenga di un altro relitto, voci indirettamente confermate da
un'ombra più piccola, comparsa sul rilievo sonar del 1989. Successive
ricerche strumentali avevano dato esito negativo, finché il Centro
Carabinieri Subacquei di Genova Voltri scoprì, il 5 novembre 2003, un
relitto di anfore romane giacente a una profondità superiore ai 50 metri,
a una distanza di circa un miglio dall'attuale foce del fiume Centa. La
Soprintendenza richiedeva la collaborazione dell'Istituto Idrografico della
Marina, che con la nave “Galatea” effettuava un'accurata mappatura dei
fondali. Accertato che il relitto giaceva a -53 metri di profondità, e che
pertanto era necessario preliminarmente a ogni progetto di intervento
acquisire in via strumentale tutti i dati possibili, si ricorse alla
collaborazione del CONISMA (Fig. 9) che nel 2005 effettuò le ricerche
sul relitto. La strumentazione utilizzata - un sistema Multibeam ad alta
risoluzione, un sistema Side Scan Sonar a doppia frequenza simultanea,
un Chir p Sonar ad alta risoluzione ed un sistema Rov per le riprese video
subacquee - ha restituito le dimensioni e la natura del giacimento: un
cumulo di anfore romane, lungo venti metri e largo dieci, oltre a un'eco
sotto il fondale, che potrebbe indicare la presenza di resti lignei dello
scafo, suggeriscono di ipotizzare il naufragio di una nave da trasporto di
medie dimensioni. Le anfore sono prevalentemente del tipo Dressel 1C,
fatto che consente di datare il relitto tra la metà del II e la fine del I
secolo a.C. L'abbinamento delle riprese televisive con la cartografia
sonar-multibeam rende possibile riconoscere l'esatta posizione delle
singole anfore all'interno del perimetro del giacimento (Fig. 10).
352
Fig. 8
La colonna del relitto di Lerici collocata nell'area archeologica
di Luni.
Fig. 9.
Nave idrografica Universitatis del CONISMA.
Il Leudo del mercante
Fin dalla prima ricognizione del 1990 nelle acque di Varazze
apparve evidente la necessità di un tempestivo intervento di scavo e
documentazione del relitto segnalato, intervento peraltro da
programmare in massima sicurezza per l'elevata profondità, oltre 50 mt.
Vista la carenza legislativa in materia si formò un'idonea
commissione consultiva, che stabilì una serie di misure, consistenti nella
presenza sull'imbarcazione appoggio di una camera iperbarica, provvista
di garitta di passaggio e del tecnico abilitato, di un costante controllo
medico, nell'impiego sistematico di un dispositivo di comunicazione
sommozzatore - superficie, di un responsabile delle immersioni, oltre ad
una telecamera fissa e sufficienti riserve d'aria sul fondo. Queste
procedure hanno reso possibile il completamento delle indagini (1991-
1994) senza alcun incidente neanche di lieve entità e hanno consentito
così il riconoscimento di un'imbarcazione post-medievale carica di
ceramica comune e da cucina affondata nella acque di Varazze tra il 1510
e il 1530. La vasta eco di questo cantiere trovò pronto riscontro in
mostre allestite nel 1993 e 1994 a Varazze, Imperia e a Roma nel
complesso del San Michele.
La cronologia del materiale aveva suscitato l'interesse anche da
parte della Soprintendenza Beni Artistici e Storici della Liguria che, nel
1999, per completare l'allestimento delle cucine di Palazzo Spinola a
353
Fig. 10
Rilievo multibeam. I riferimenti sono relativi alla ripresa
video.
Genova - complesso gentilizio in uso dal tardo XVI secolo e attuale sede
della Galleria Nazionale - richiedeva e otteneva alcune ceramiche - catini,
pentole, boccali, tegamini, ed altro - da inserire nell'esposizione. I
materiali, pur risultando così svincolati dal contesto di provenienza,
comunque ricordato attraverso pannelli illustrativi, si trovano da allora ad
essere collocati in un ambiente che richiama la loro originaria
destinazione.
L'ultima, in ordine di tempo, e più prestigiosa mostra ha avuto
luogo al Galata nel 2006. La stretta collaborazione tra storici della
navigazione, archivisti e archeologi ha organizzato i dati disponibili
giungendo a rappresentare aspetti del commercio e della navigazione che
hanno trovato nel leudo la loro logica fusione. Il progetto espositivo,
inoltre, partendo dalla posizione di rinvenimento sul fondo, è giunto,
attraverso l'indagine archeologica, a proporre una sezione ipotetica del
“leudo” ed a riprodurre la distribuzione del carico all'interno della stiva
(Fig. 11). Nella mostra altri materiali ceramici afferenti all'epoca di
riferimento, e recuperati in mare in momenti diversi ed in varie località,
sono stati per la prima volta organizzati in un quadro conoscitivo
collegato a porti e approdi di XV e XVI secolo.
Passiamo ora a considerare alcuni problemi di valorizzazione del
relitto del Golfo Dianese.
354
Fig. 11
Carico a bordo. Genova, MUMA: mostra il carico ricollocato
nella posizione di rinvenimento all'interno
di un espositore a forma di scafo.
Un museo per il relitto del Golfo Dianese e per il leudo
Com'è noto, la maggior consapevolezza della biodiversità del mare
e dei fatti antropici che lo hanno da sempre interessato ha maturato un
nuovo orientamento affermatosi ormai a livello internazionale circa la
conservazione e valorizzazione in situ dei beni archeologici sommersi,
inseriti nel migliore dei casi nei parchi marini, in presenza delle
condizioni per la conservazione. Il concetto di museo di reperti, infatti,
reso didattico mediante pannelli, iconografia e ricostruzioni - la sezione
della nave di Albenga docet - acquista un significato più attuale soltanto
se inserito in un contesto ambientale storico e socio-economico.
E' anche a seguito di questa evoluzione culturale che gli obiettivi
della Soprintendenza - già dichiarati nella mostra del 1983, cioè scavo e
recupero dei relitti di Albenga e del Golfo Dianese - sono stati in parte
rivisti ed aggiornati. Mentre si è proceduto al completamento dello scavo
del relitto a dolia del Golfo Dianese, nel caso della grande nave di
Albenga è al contrario parso più utile ricercare soluzioni alternative allo
scavo, soprattutto in assenza delle consistenti risorse necessarie. In
considerazione, inoltre, di molteplici istanze locali per rendere fruibile il
sito, attualmente caratterizzato da una distesa di cocciame e di anfore
rotte, si è valutata la possibilità di proteggerlo mediante un antifurto e
renderlo visibile a gruppi di subacquei con modalità didattiche anche dal
punto di vista archeologico, visite che hanno suscitato numerosi
consensi. Il carico del relitto del Golfo Dianese, invece, aveva una
preminente necessità di essere esposto in via permanente in un
contenitore opportunamente allestito, nel quale riunificare i grandi dolia,
il resto del carico e il materiale di bordo. Le tredici campagne di scavo,
compiute tra il 1975 e il 1991 dal Centro Sperimentale di Archeologia
Sottomarina e dalla Soprintendenza ligure con finanziamento
ministeriale, hanno fornito un contributo determinante per comprendere
questo tipo di nave da carico, non meglio documentato, salvo quello di
Ladispoli, nonostante recuperi, avvenuti nel mar Tirreno, di grossi
contenitori svincolati, tuttavia, dagli originari contesti. Lo scavo,
costantemente seguito da Francisca Pallarés e da Gian Piero Martino, ha
permesso mediante l'accurato rilievo della giacitura del carico sul fondale
di ricostruire l'originario stivaggio dei dolia e delle anfore.
I numerosi dati emersi anche per quanto riguarda lo scafo della
nave, indagato parzialmente con sondaggi e lasciato in situ nella
prospettiva di un recupero che ne garantisse la conservazione, sono stati
oggetto di relazioni preliminari e di saggi di sintesi. Analisi
archeometriche hanno confermato la provenienza dei dolia dall'area
355
medio tirrenica. Il materiale recuperato era onservato in numerosi box a
Diano Marina mentre alcuni dei dolia erano visibili nell'atrio del Palazzo
Comunale. Negli anni Novanta specifici accordi tra l'Amministrazione
Comunale ed il Ministero per i Beni Culturali erano giunti alla
progettazione di un nuovo edificio da adibire a Museo della Nave,
progettato dall'arch. Giuseppe Berucci. Successivi eventi non hanno
consentito la realizzazione del progetto. Iniziava così la ricerca di
soluzioni alternative, che, dopo alcune tappe infruttuose, tra cui un
capannone demaniale ad Imperia, e proposte espositive del Comune di
Diano, si concludeva tra il 1999 ed il 2000 nell'acquisizione di locali allora
demaniali siti ad Imperia - Porto Maurizio - in via Scarincio (Fig. 12). Tali
locali, nati ed utilizzati come magazzini generali del porto, apparvero
subito idonei sia per la loro ubicazione sia per gli ampi spazi,
particolarmente indicati per il ricovero dei materiali del relitto. Si
provvide quindi a trasferire buona parte dei dolia (Fig. 13) e del restante
materiale (anfore, metalli, ceramica e dell'attrezzatura di bordo) e a
procedere con la dissalazione e con il restauro conservativo. La presenza
dei materiali archeologici forniva ulteriore stimolo al Comune di Imperia
per la realizzazione di un unico grande museo nel quale far confluire sia
i materiali del relitto a dolia sia quelli del Museo Navale Internazionale
sito in Piazza Duomo 11.
Ad altra sede sarà affidata l'illustrazione di questo articolato
progetto, che per quanto riguarda la parte archeologica prevede
l'allestimento dei relitti del Golfo Dianese e del Leudo del Mercante.
Non si può fare a meno di rilevare, tuttavia che, nonostante l'impegno
profuso, non tutti i problemi sono stati risolti per il relitto del Golfo
Dianese. Mancano, infatti, al fine di ricostituire quell'unità originale
indispensabile per la valorizzazione del complesso, gli ultimi tre grandi
dolia tuttora collocati nel Palazzo Comunale di Diano Marina .
Si termina questa breve rassegna rammentando il relitto di Santo
Stefano al Mare (IM) denunciato alla Soprintendenza il 26 agosto 2006.
La prima immersione di verifica, che è stata compiuta con l'assistenza dei
356
Fig. 12
Ingresso Museo dal mare ad Imperia.
Fig. 13
Dolia ad Imperia. Alcuni dei dolia del relitto ricollocati
in posizione di stivaggio nei magazzini demaniali
del museo di Imperia.
mezzi e del personale della Guardia di Finanza il giorno 2 settembre
2006, ha potuto confermare la presenza di un campo di anfore Dr.1B, di
età repubblicana. L'ordinanza di interdizione alle immersioni
prontamente emessa dalla Capitaneria di Porto ha salvaguardato inoltre
il pregiato contesto ambientale della secca di Santo Stefano.
Concludiamo con l'augurio che questo lavoro pluriennale (Fig. 14)
possa trovare nel futuro ulteriori positivi sviluppi e ricadute, nonostante
la più generalizzata ristrettezza delle risorse, estesa, com'è noto, anche
alla Pubblica Amministrazione, non escluso il nostro Ministero.
357
Fig. 14
Tavola riepilogativa dei relitti e dei rinvenimenti archeologici
sottomarini in Liguria a tutto il 2007
esposta nei locali demaniali di Via Scarincio ad Imperia.
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361

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