SOCIETA
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Il cambiamento

05/11/20

Attività antropiche e cambiamenti naturali provocano effetti diretti sulle società umane: sociali, politici e reattivi. L'emergere del 'problema climatico’ pone interrogativi cui non si può prescindere dal tentare di rispondere ponendosi domande.

Cosa si intende per ‘antropogenico’ e chi è causa del cambiamento climatico e sociale?
I movimenti giovanili ecologisti in atto oggi interpretano e rispondono al problema dell’adattamento sociale necessario? I giovani portano al cambiamento: ci sono riusciti nell’ultimo secolo? Ci riusciranno ora? Il mondo è davvero cambiato?
Inurbamento massivo, emigrazione forzata e integrazione, ingiustizia e disuguaglianze a livello locale e globale sono tra gli effetti indiretti del cambiamento climatico?
Giustizia ambientale ed ecologia in politica, l’economia ‘green': parole ormai di uso comune, sono una risposta?
Esiste un rischio per la specie umana?
Quante sono le domande! Come sono difficili le risposte.
Il clima terrestre è generalmente e didatticamente suddiviso in cinque fasce delimitate dalla disponibilità di luce e umidità. Artico o arido, senz’acqua e con poca luce. Sub artico nel quale la luce aumenta gradatamente e con essa il calore e dunque l’umidità disponibile a sostenere l’ecosistema Florofaunistico fino alla fascia temperata, contraddistinta da quattro stagioni distinguibili e poi quella tropicale, nella quale luce e calore abbondanti provocano enorme evaporazione innescando fenomeni atmosferici e metereologici violenti, correlata al sistema dei venti e delle correnti marine che ne propagano gli effetti. Ancora la fascia equatoriale tra i tropici, nella quale le stagioni sono solo due: con e senza piogge. È la zona di ricaduta diretta dell’acqua piovana nella quale umidità e luce sono abbondanti e costanti: la successione notte giorno è ben suddivisa ed equivalente.
Il sistema floreale e di conseguenza quello faunistico è sostenuto dalla luce, non tanto dal calore che ne è un effetto collaterale, spesso negativo come nei deserti.
Le fasce climatiche sfumano l’una nell’altra cambiando i limiti e le connessioni in funzione dell’inclinazione dell’asse terrestre, variabile su un periodo ciclico di circa ventiseimila anni detto precessione degli equinozi. In funzione della rotazione e dell’inclinazione dell’asse, il sistema ecologico cioè degli equilibri sul pianeta è costantemente dinamico, in rapporto con l’azione gravitazionale e radiante del sole e della luna, organizzandosi in ciclicità di vario periodo.
Su questo andamento naturale dai tempi geologici è intervenuto l’uomo catalizzandone gli effetti locali, e provocandone effetti sociali rilevanti, soprattutto concentrati nelle aree fortemente urbanizzate o con elevata densità di popolazione, caratteristiche della attuale forma di civiltà globalizzata. La densità di popolazione amplifica tutti gli impatti nelle grandi città.
Molti ecosistemi terrestri e marini e alcuni dei servizi che essi forniscono dunque le società che da essi dipendono, sono già cambiati a causa del riscaldamento globale e la perdita di alcuni di essi genera effetti duraturi o irreversibili.
Non si può trascurare l’impatto sulla salute dei cambiamenti climatici e di conseguenza i costi e le criticità sociali connesse.
Qualsiasi aumento del riscaldamento globale ha una influenza sulla salute umana. Secondo Annapaola Rizzoli, (introduzione alla Conferenza Climate Risk SISC 2019) «esistono effetti diretti di impatti particolari dei cambiamenti climatici sulla salute pubblica. Le ondate di calore, ad esempio, colpiscono soprattutto le fasce di popolazione più anziane e possono produrre effetti anche letali.»
EFFETTI DEL CLIMA CHE CAMBIA: disuguaglianza e ingiustizia, pregiudizio, integrazione, necessità, stile di vita.
È soprattutto la componente occidentale dell’umanità che è intervenuta nell’ultimo secolo con attività produttive sempre più intensive e globali, accelerando i cambiamenti e catalizzandone esponenzialmente gli effetti locali. Molti saranno duraturi o irreversibili.
Desertificazioni e fenomeni metereologici violenti, in aree differenti, con influenza diretta sul sistema agricolo e produttivo terrestre e marino costringeranno ora ad adeguarsi, seguirne e prevederne i cambiamenti, spostando colture e culture tradizionali in aree diverse. Un’impresa sconvolgente.
Un nuovo concetto condiviso di giustizia e di equità sociale che trasformi le disuguaglianze in utili diversità, è atteso e auspicato mentre il cambiamento è in atto modificando le zone di pressione climatica, con la necessità per molti di emigrare, per altri di assorbire ed integrare le migrazioni.
Disuguaglianza e ingiustizia sociale presenti, localmente e globalmente, aggraveranno la già difficile situazione.
Si impongono interventi, chiaramente dichiarati ma tutt’altro che universalmente condivisi. I movimenti ecologisti, una nuova rivoluzione del pensiero giovanile, potrà dare frutti in futuro.
Nelle aree, sempre più fortemente urbanizzate o con elevata densità di popolazione, caratteristiche della attuale forma di civiltà globalizzata, l’umanità tutta, localmente e globalmente, è coinvolta.
L'emergere ad inizio secolo, del problema climatico che ora coinvolge l’umanità tutta, comprende una componente di origine antropogenica cioè in colpa delle attività umane che non può essere ascritta come qualcuno vorrebbe a tutta quanta l’umanità, la gran parte della quale ne paga il prezzo senza averne goduto i benefici.
L'accordo di Parigi tra 190 paesi (conferenza sul clima COP21 del dicembre 2015) è il primo accordo universale, giuridicamente vincolante, entrato in vigore il 4 novembre 2016 con la ratifica da parte di 55 paesi che contribuiscono al 55% delle emissioni attuali in atmosfera, stabilisce un quadro d’azione finalizzato a contenere l’aumento del riscaldamento globale entro 1,5°C, entro il 2050 e al massimo 2ºC nel secolo, della temperatura media globale delle aree terrestri e oceaniche che le proiezioni successive dei modelli climatici (Rapporto IPPC 2018) hanno confermato essere la causa dei picchi di calore nella gran parte delle regioni abitate, delle precipitazioni intense in diverse regioni e della probabilità di eventi siccitosi in alcune altre regioni. Tra 1,5 e 2 °C, il rapporto di rischio aumenta complessivamente del 50% circa. L’azione antropogenica interferendo con tutti i fattori ecologici, complessivamente risulta capace di produrre l’ulteriore incremento di 0, 5°C nel secolo attuale rispetto la situazione prevista e per quanto ciò appaia estremamente improbabile questo cambierebbe decisamente in peggio le cose e in modo irreversibile. Esistono altri fattori radianti su cui non si può avere controllo che hanno contribuito e contribuiscono all’innalzamento della temperatura prevista al 2050, tuttavia il riscaldamento già dovuto alle emissioni antropogeniche complessivamente attuate e all’eventuale loro continuazione è un dato di fatto; gli effetti innescati particolarmente nell’artico, persisteranno per millenni continuando a causare ulteriori cambiamenti a lungo termine, anche irreversibili, come l’innalzamento del livello dei mari.
Queste considerazioni sono rese in modo drammaticamente esplicito nel Rapporto IPPC di luglio 2018.
«Le attività umane hanno causato un riscaldamento globale di circa 1,0°C rispetto ai livelli preindustriali, con un intervallo probabile tra 0,8 e 1,2°C. La stima riguarda la media di un periodo di 30 anni che ha il suo centro nel 2017 assumendo che continui il tasso di riscaldamento recente.»
Si valuta il periodo dell’ultimo secolo fino al duemila e ci si confronta col secolo attuale.
Per l’aumento delle temperature, gli ecosistemi delle regioni aride ma soprattutto dell’Artico sono compromessi. È abbastanza certo ormai che a causa delle instabilità, innescate il livello marino continuerà a salire anche dopo il 2100 e lo farà anche se il riscaldamento globale sarà contenuto nel migliore dei modi. (Rapporto IPPC 2018) Ogni aumento di 0,1 metri nell’innalzamento globale del livello del mare rispetto al 2010 significherà decine di milioni di persone in più esposte ai rischi correlati, in molti sistemi umani ed ecologici.
Molte terre costiere e basse vedranno compromessa la loro possibilità di sfruttamento economico e produttivo. Gli abitanti delle isole e dei paesi meno sviluppati subiranno sempre più gli effetti distruttivi di anomale intense precipitazioni, di cicloni tropicali e anche quelli del cambiamento produttivo, quindi economico, che ne deriverà. Paesi in via di sviluppo. Popolazioni già svantaggiate e vulnerabili, comunità che dipendono da mezzi di sostentamento prevalentemente agricoli o costieri.
(Rapporto IPPC 2018) «Ci si aspetta che povertà e disagi aumenteranno per alcune popolazioni, diverse centinaia di milioni di unità entro il 2050 (confidenza media)»
IL CLIMA CHE CAMBIA: EFFETTI SOCIALI
Un altro effetto, certo e non secondario, dei cambiamenti climatici in corso è un cambiamento di valenza sociale.
È l’incremento dovuto alla modifica e globalizzazione delle attività umane della disuguaglianza sociale tra aree differenti del mondo con un cospicuo, prevedibile, aumento della povertà in molte aree; un effetto esasperato nelle megalopoli.
L’impossibilità di sostenersi provoca già e si incrementeranno ancora, flussi migratori imposti da necessità e bisogno, flussi massivi verso luoghi meno sfortunati: generalmente verso Nord come è sempre stato dal picco dell’ultima glaciazione, dodicimila anni fa.
Le differenze di impatto locale dei cambiamenti climatici, i diversi contesti di sviluppo e delle vulnerabilità dei sistemi, differiscono tra regioni e nazioni e anche al loro interno.
Alcuni gruppi saranno colpiti maggiormente rispetto ad altri. Di conseguenza gli effetti sociali sulle popolazioni delle aree interessate saranno devastanti aumentando la loro necessità di migrazione. Una parte della migrazione, di tipo economico, si riverserà verso le aree ad economia maggiormente evoluta e solida e lo farà sempre di più, trasportando le radici culturali delle popolazioni in movimento e creando serissimi problemi di integrazione con le altre culture, auto conservatrici e pregiudizialmente poco disponibili al cambiamento.
Non tutta l’umanità ha contribuito all’incremento delle temperature, solo una parte ma gli effetti sono globali. Prima era stato l’occidente industriale, economicamente egemone a guidare il progresso tecnologico ed economico, a inquinare portandoci all’attuale situazione, ma ora vecchio, ricco ma non sazio, si confronta con un terzo dei paesi del mondo dalle economie giovani e in crescita che potrebbero addirittura peggiorare la situazione se ciascuno andasse per suo conto, producendo ulteriori danni su scala globale: emigrazione massiva delle popolazioni, perdita totale o degradazione di interi ecosistemi, riduzione della biodiversità; alla fine danni economici ma soprattutto sociali per tutti. L’Europa per prima, in occidente, ora dovrebbe dare l’esempio.
Le differenze di impatto locale dei cambiamenti climatici tra regioni e nazioni e al loro interno, i diversi contesti di sviluppo e delle vulnerabilità dei sistemi, sono concrete secondo le caratteristiche fisiche dei luoghi, l’esposizione e la vulnerabilità delle popolazioni.
IL CLIMA CHE CAMBIA: OCCORRE FARE QUALCOSA E CAMBIARE
Non si può prescindere dal prendere in considerazione i valori assoluti del contributo e i valori relativi alla densità di popolazione, nel valutare le azioni possibili.
L’Europa è stata nel secolo scorso più che mai l’artefice della maggior parte dell’immissione atmosferica di gas ad effetto serra con gli USA e ora, con la Cina, lo sono i paesi emergenti.
Bisogna evitare la standardizzazione delle soluzioni. Non si può paragonare Città del Messico coi suoi trenta e più milioni di abitanti con l’intero Messico.
Il rapporto di immissione atmosferica di gas serra relativo alla densità di popolazione fa sì che per l’Europa il valore sia di 1 a 50 mentre per gli USA sia di 1 a 26, (Atlante Weller dell’Antropocene pag. 95) ragione per la quale gli USA si sono ritirati dall’accordo di Parigi arrogandosi il diritto a mantenere ulteriormente il valore assoluto.
Arroccamenti e ambizioni di sviluppo locale, ostacoli economici, istituzionali e socioculturali, a livello nazionale, regionale e locale potrebbero inibire le capacità di intervento e le disponibilità verso le transizioni positive nel limitare e contenere il riscaldamento globale.
I rischi per l’umanità, questa volta davvero tutta, dipendono dall’entità e dalla rapidità del riscaldamento, dalla localizzazione geografica, dai livelli di sviluppo e di vulnerabilità delle aree interessate e infine dalle scelte politiche sociali ed economiche per l’adattamento sociale e la loro mitigazione. I paesi meno ricchi risultano vulnerabili ma più resilienti.
Occorre definire aree e modalità differenti di sviluppo sostenibile capaci di creare un equilibrio tra il benessere sociale, la prosperità economica e la protezione ambientale.
Una parte della grande migrazione attesa, di tipo economico, si riverserà verso le aree ad economia maggiormente evoluta e solida e lo farà sempre di più verso le concentrazioni urbane, le più attraenti, trasportando le radici culturali delle popolazioni in movimento e creando serissimi problemi di integrazione con quelle dominanti.
L’Italia deriva, storicamente e culturalmente, dall’integrazione delle immigrazioni.
La civiltà romana, di origine greca, fondava la sua esistenza, sviluppo, crescita e potenza, sull’integrazione e lo sfruttamento dell’immigrazione, volontaria o forzata, adeguando, sovrapponendo e stratificando in una nuova forma di cultura unificante le culture di importazione.
Tutto è crollato quando è venuta meno l’integrazione controllata.
Occorre coinvolgere pienamente le comunità, localmente e globalmente. Gli obiettivi devono essere comuni.
«I mezzi di informazione giocano un ruolo determinante nel raccontare la scienza del clima e per fare in modo che le persone ne comprendano a fondo tutta la portata.» (Painter, introduzione alla Conferenza Climate Risk SISC 2019 trad.it)
Di primaria importanza diventeranno gli interventi e gli investimenti sulla giustizia sociale e l’equità intesi sia localmente negli stati che globalmente: rapporti tra le nazioni.
Lo sviluppo delle scienze sociali, educazione, informazione, ricerca scientifica, possono contribuire a ridurre il pregiudizio e accelerare cambiamenti comportamentali coerenti con l’adattamento necessario.
Clima, ecologia e concetti di giustizia e di equità sociale, stile di vita, sono fortemente collegati tra loro e non possono essere argomenti affrontati separatamente.
Occorre produrre una formazione capillare contro il pregiudizio e l’ignavia, la chiusura nel localismo. Serve una politica di forte sostegno sociale all’integrazione e all’impegno sociale e contemporaneamente una che favorisca il graduale adattamento alle nuove circostanze.
L’assunzione di impegni e responsabilità personali contro l’attuale, usuale, costante, sempre maggiore delega delle responsabilità.
I movimenti giovanili ecologisti dell’ultimo ventennio testimoniano di una presa di coscienza mondiale di impatto equivalente a quelli pacifisti degli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso.
Siccome si opera sempre e solo qui e ora e l’effetto delle nostre azioni determina il futuro, essi vanno accolti ed ascoltati, sostenuti e incoraggiati; comunque! Occorre imparare da loro e iniziare il percorso di adattamento necessario.
Solo l’adattamento sociale può sostenere un cambiamento radicale e percorsi di sviluppo climaticamente resilienti.
Se le differenze sono una forza dell’umanità, gli impatti negativi del cambiamento climatico sono diseguali. Quelli socioeconomici ci riguardano immediatamente e da vicino.
Cambiamenti nel comportamento, negli stili di vita e sull’utilizzo del suolo, sono assolutamente necessari per mantenere la disponibilità alimentare e idrica, per ridurre il rischio di disastri ambientali, per migliorare le condizioni sanitarie, per garantire i mezzi di sostentamento a tutti, i servizi sociali importanti, per migliorare gli ambienti di vita e l’ecosistema, ma non sono standardizzabili anzi, devono essere differenziati.
Tutti gli interventi dovrebbero comunque considerare e comprendere aspetti di etica, di equità e solidarietà, di giustizia sociale.
Il bisogno genera necessità e la necessità a sua volta genera violenza che provoca reazione. Con l’identificazione di un nemico qualunque ci aspetta il ritorno dell’autoritarismo, oggetto di nostalgia e mai sconfitto. Empedocle ad Agrigento rifiutò di diventare un tiranno in favore della democrazia, molti oggi vorrebbero essere al suo posto per imporla la tirannia.
Solo un sistema di condivisione e vera cooperazione internazionale può affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici e la fattibilità geofisica, ambientale-ecologica, tecnologica, socioculturale e istituzionale dei possibili interventi, i costi sociali ed economici degli impatti complessivi, globali e locali, dei cambiamenti.
In termini evolutivi, riduzione e concentrazione delle risorse, aumento della popolazione in spazi ristretti, la dipendenza ambientale: economica; la specializzazione: dipendenza tecnologica per l’uomo, sono segnali di rischio, i prodromi di una drastica e violenta riduzione numerica, fino all’estinzione delle specie.
A ciò cui non pensa l’uomo pensa la natura che richiede biodiversità e condivisione delle risorse tra tutti gli abitanti del pianeta, nessuno escluso.



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