SALUTE e MEDICINA
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Il miglior laboratorio per la ricerca? Il proprio corpo

22/07/21

La sperimentazione è una parte fondamentale della ricerca medica e spesso, prima di giungere ad una scoperta che aiuta l’umanità, i ricercatori utilizzano se stessi come cavie. Ce ne sono stati nel passato e ce ne sono anche di contemporanei, che nel silenzio più assoluto utilizzano il proprio corpo per la ricerca come se fosse un laboratorio.

Un articolo di Rocco Lanatà

Le innovazioni che nel futuro ci attendono grazie ai ricercatori sono tante. L’evoluzione tecnologica dell’umanità porta obbligatoriamente fino alle stelle, ne è convinto il miliardario Elon Musk (1971) che con la sua Space Exploration Technologies Corporation (Space X) sta tracciando la strada verso Marte. E l’astronave di Richard Branson ha inaugurato l’era del turismo spaziale l’11 luglio 2021. Quanti sono i creativi, gli innovatori, i ricercatori attivi in tutto il mondo che come lui non mettono limiti all’immaginazione? Più di 9 milioni secondo “The World Most Influential Scientific Minds”.

Secondo l’Atlante delle Professioni - Università degli Studi di Torino, il ricercatore o la ricercatrice, analizza ed interpreta fenomeni di varia natura in diversi settori disciplinari; crea nuove conoscenze e teorie; sviluppa prodotti, processi, metodi e sistemi innovativi; realizza studi e ricerche in cui presenta i risultati delle sue attività. Quanto si spende in Italia per la ricerca e lo sviluppo? I dati Eurostat del 2019, dicono 23 miliardi di Euro; contro i 480 degli Stai Uniti, i 230 della Cina e 138 del Giappone. L’Italia ha impiegato nella ricerca l’1,4% del proprio Prodotto Interno Lordo, a differenza di nazioni come la Svezia, l’Austria, la Danimarca e la Germania che hanno superato il 3% (obiettivo fissato dall’Europa). Ovviamente l’emergenza Covid ‘19 ha ridotto questa spesa.

Alcuni scienziati hanno persino perso la vita a causa dei loro esperimenti, dobbiamo invece ringraziarne altri perché le lesioni accidentalmente provocate si sono rivelate utili. L’atleta olandese Wim Hof (1959), ha scalato il Kilimangiaro in pantaloncini e ha corso una maratona al Circolo polare artico senza scarpe; per questo viene chiamato “l’uomo di ghiaccio”. Nel suo libro “La forza nel freddo” dice che ha imparato a controllare il suo corpo, aumentato le sue difese immunitarie al punto che ha smesso di ammalarsi. Sembra che in condizioni di freddo estremo, sopporti temperature intorno al punto di congelamento. Per dimostrare l’efficacia del suo metodo (testato e confermato dalla facoltà di Medicina dell’Università di Rotterdam) si immerge in vasche colme di ghiaccio, corre a piedi nudi sulla neve o nuota in acque gelide senza conseguenze. Afferma di essere in grado di influenzare e controllare il suo sistema nervoso autonomo (ciò che succede nel corpo senza che noi ne siamo consapevoli: regolazione della temperatura corporea, frequenza cardiaca, respiro, pressione del sangue, vasi sanguigni). Le sue ricerche hanno stimolato domande del tipo: Che cosa succederebbe alle persone se riuscissero a influenzare il loro sistema nervoso autonomo? In alcune patologie, il sistema immunitario attacca per sbaglio le cellule e i tessuti del corpo; si può far capire al corpo che quell’attacco alla fine gli nuoce?

Molti ricercatori hanno aneddoti legati alle loro scoperte, che talvolta hanno inizio proprio da esperienze del tutto personali e spiacevoli. Per il ricercatore indipendente svizzero Fulvio Balmelli, c’è un particolare episodio che ha scatenato in lui la voglia di trovare soluzioni nell’ambito della medicina integrata e rigenerativa. Il 1985 viene ricordato per la più grande nevicata del secolo scorso, un anno record anche per le temperature (- 25° in pianura). Durante un’escursione viene sorpreso da una nevicata, prosegue per sei ore affondando nella neve fresca, si mantiene sveglio a fatica, è sfinito, riesce ad arrivare ad un rifugio ma i suoi piedi sono quasi congelati. E’ solo, bloccato a 2000 metri in Val di Blenio in Svizzera; riesce ad accendere una stufa e per tre lunghi giorni il calore non riesce a intaccare lo strato di ghiaccio formatosi all’interno delle finestre. Affronta un drammatico tragitto di ritorno, in uno stato di parziale congelamento ai piedi che gli causa dolorose ferite. Viene soccorso all’Ospedale Civico di Lugano e per i medici la diagnosi è unanime: “grave congelamento alle mani e ai piedi che richiede l’amputazione, in particolar modo dei due alluci” (un fatto simile accadde al grande alpinista ed esploratore, Reinhold Messner, oggi scrittore e regista). Balmelli non vuol sentir parlare di amputazione, esce dall’ospedale con l’impegno di tornare dopo pochi giorni per le medicazioni necessarie e comincia a curarsi da solo. I medici constatano un netto miglioramento che scongiura l’operazione (tuttavia per la completa normalità poi ci sono voluti sei mesi). Dopo questa avventura, si è immerso per anni nello studio della biofisica applicata alla medicina ufficiale, continuando a utilizzare il proprio corpo come laboratorio per effettuare molte sperimentazioni.

E i famosi del passato? Che si arrivi attraverso il metodo scientifico oppure grazie ad una scoperta casuale, i risultati effettivi di una scoperta, vanno in ogni caso confermati dalla comunità scientifica. In certe occasioni l’innovazione incontra diffidenza, opposizioni e critiche: è il “prezzo” da pagare. Aveva proprio ragione Gandhi (1869 - 1948) quando diceva che “prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, ma se persisti poi vinci”.

Il grande fisico francese Pierre Curie (1859 – 1906), per dieci ore si lega a un braccio un piccolo cristallo di sale di radio, scopre la radioattività e insieme alla moglie Marie Curie riceve il premio Nobel per la fisica, ma nel 1903 muore a soli 47 anni, per gli effetti delle radiazioni oggetto dei suoi studi. Il medico inglese, ricercatore e inventore, Sir Humprey Davy, alla fine del ‘700, a causa di una ricerca sui gas medicinali, si intossica in modo grave e riporta danni permanenti. Risultato? Nasce il gas esilarante, sostanza volatile dalle proprietà analgesiche. Una curiosità, il suo allievo, Michael Farady (che incontra l’italiano Alessandro Volta, quello della pila elettrica) diventa più famoso del maestro: a lui dobbiamo gli studi sull’elettromagnetismo, l’elettrochimica, l’elettrolisi e la gabbia che porta il suo nome, che protegge da scariche elettriche chi sta all'interno. Daniel Carriòn, uno studente di medicina sud americano della metà dell'800, dimostra alla comunità scientifica la correlazione tra la febbre di Oroya (una malattia mortale che aveva provocato centinaia di morti in tutto il Perù) e una violenta eruzione cutanea (verruca peruviana); si procura questa malattia della pelle, si ammala e muore dopo un mese. Il medico tedesco Werner Forrsmann (1904 – 1979) realizza una tecnica innovativa che, grazie ad un catetere, consente l'accesso diretto delle cavità cardiache; mediante nastri radiografici, registra le posizioni del catetere all’interno del suo corpo e ne osserva l'avanzamento verso il cuore. Forrsmann non mette a repentaglio la sua vita ma paga un prezzo molto caro per i suoi esperimenti: l'obiezione dei suoi superiori e dei suoi colleghi, che criticano aspramente la sua esperienza e persino l’espulsione dalla clinica dove lavora. Del tutto frustrato, decide di abbandonare il campo della cardiochirurgia e a sorpresa, molti anni dopo, nel 1956, gli attribuiscono il Premio Nobel per la medicina. Il colonnello John Stapp (1910 – 1999), biofisico e medico dell’aviazione americana, nel 1954 sperimenta in prima persona gli effetti dell’accelerazione e della decelerazione sul fisico umano; il suo macchinario accelera fino a 1000 chilometri orari in soli cinque secondi e poi si ferma in meno di un secondo e mezzo; si frattura il collo, numerose costole e subisce anche un grave distaccamento della retina. Dobbiamo a questo studio le attuali cinture di sicurezza utilizzate nelle nostre auto e sugli aerei.

Potremmo quindi dire che non tutto il male viene per nuocere. Sembrano dei pazzi, ma il loro amore per la ricerca ha l’intento di migliorare la qualità della nostra vita. Pensando a tutti i ricercatori, dovremmo provare più rispetto per il loro lavoro, più considerazione per la loro funzione nella società, a prescindere dal fatto che siano riconosciuti dalla comunità scientifica, diventino famosi o meno, fanno parte di un esercito che, senza far rumore o suscitare clamore, cerca soluzioni e innovazioni. Qualcuno ha la pazienza, la persistenza e l’umiltà di continuare a fare degli sbagli, sperando che forse uno di questi giorni giungerà ad una scoperta o produrrà un miracolo, affinché l’impossibile possa diventare realtà.



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