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Il mondo nelle mani sbagliate: i 5 presidenti che spaventano

12/09/16

Putin, Hollande, Merkel, May: in che mani siamo. Mentre si avvicinano le elezioni presidenziali americane, i capi del mondo continuano a fare paura.

FotoIl prossimo 8 novembre, il mondo si fermerà. I 206 stati che occupano il suolo terrestre attenderanno con trepidazione e ansia i risultati delle urne americane. Da un lato, il tycoon televisivo Donald Trump (Repubblicani), dall’altro la ex first lady e attuale Segretario di Stato, Hillary Clinton (Democratici). Osservando curricula e passato di entrambi i candidati, un brivido freddo scorre lungo le nostre schiene.

Il decadimento politico internazionale, che appare nel mediocre valore dei protagonisti cosi come nella frantumazione storico-idelogica delle strutture di partito, offrirà in autunno un duello realmente povero di contenuti, svilente da un punto di vista morale. È lontano il ricordo dell’antica politica, la politiké techne, quella che offriva il meglio delle proprie risorse intellettuali, etiche e culturali, asservendole alla pubblica utilità. In meno di un secolo di storia, quest’arte sociale è divenuta professione, pubblicità, apparenza. La società è divenuta talmente complessa che l’individuo non ha più la forza cognitiva per analizzarla ed interpretarla, affidando le scelte fondamentali della sua esistenza alla rappresentazione e, ciò che appare, sono i volti di un imprenditore ossigenato e di una ambiziosa donna che, per il potere, è disposta a tutto, come dimostra il fascicolo Monica Lewinsky.

Theresa May, l’indifferenza del colonialista
Ma torniamo, per un momento, su quest’altro lato dell’Atlantico. Il panorama dei volti che governano e gestiscono i paesi del Vecchio Continente è davvero spaventevole.

Iniziamo con la conservatrice Theresa May, subentrata il 16 luglio a David Cameron in seguito al referendum sull’uscita dalla Unione Europea, il famoso brexit. La nuova inquilina del civico 10 di Downing Street ha dimostrato di avere le idee chiare rispetto a parole come immigrazione, socialità, Europa, solidarietà, pace, tolleranza. A tal punto che Londra costruirà un muro anti-migranti prima della fine del 2016. Costerà circa 3 milioni di euro e verrà affiancato da un pacchetto di sicurezza che prevede la sospensione dei visti e il dispiegamento di due battaglioni della Fanteria Britannica a difesa dei confini nazionali.

Una misura di sicurezza prevedibile, per un paese che ha messo a ferro e fuoco il pianeta durante duecento anni. L’Impero Britannico impose il proprio colonialismo in Sudamerica, Oceania, occupando 23 paesi africani, tra cui Nigeria, Gambia, Kenya, Sudan e circa 20 in Medio Oriente (17, tra cui Palestina, Iraq, Egitto, Kuwait, Oman e Qatar). La nazione che ha saccheggiato e stuprato il Terzo Mondo, adesso ha la faccia tosta di rifiutare l’immigrazione che lei stessa ha contribuito a provocare. L’egoismo britannico è grottesco, infido e rappresenta un pericolo terribile, in quanto può essere contagioso.



Angela Merkel, la musa delle banche
Il discorso del colonialimo britannico serve da esempio per spiegare l’atteggiamento che, da anni, la Germania ha nei confronti delle economie deboli dell’Europa del Sud.

Nei momenti di crisi, il Regno Unito ha sfruttato e utilizzato la mano d’opera della schiavitù legalizzata coloniale, al pari degli statunitensi, che attuarono parimenti con messicani e africani. La Germania, non avendo risorse naturali (come per esempio la Russia), per mantenere il suo alto livello produttivo e la sua ricca economia, sfrutta la finanza e le banche per avere, anch’essa, i propri schiavi. Solo che, in questo caso, al posto dei manovali del Bangladesh o i cotton black men, ci sono greci, italiani, spagnoli e portoghesi.

La bonaria Angela Merkel, e i suoi predecessori, hanno sapientemente costruito una sistema di scambi ed influenze che ha trovato, nella versione moderna dell’Unione Europea, il coronamento di un nuovo dominio europeo. In Germania, da anni esiste uno profondo legame tra banche e mondo industriale. Possiamo certamente affermare che Merkelandia sia una specie di ‘paese scuola’ per le Banche Universali. Un tipo di banca che oltre a prestare denaro, si occupa anche di altre attività come l’intermediazione finanziaria e le partecipazioni industriali. Un tipo di istituzione talmente poderosa da divenire incontrollabile, perché capace di influenzare il potere politico e quello legislativo, impugnando il ricatto economico anche a livello di politica internazionale.


Hollande, si salvi chi può
Ciò che ultimamente accomuna di più Angela Markel e François Hollande è la decisione di proibire burqa e burkini in Germania e Francia.

Il presidente transalpino è ormai da tempo in confusione. Dalla pessima gestione dei Servizi di Sicurezza e gli scarsi interventi in ottica di prevenzione del terrorismo, all’impotenza e la mancanza di preparazione nell’affrontare i roghi delle periferie francesi, fino alla rottura con la comunità musulmana che è colonna vertebrale della società, dell’economia e della cultura della nazione della Rivoluzione.

Hollande ha praticamente sbagliato tutto ciò che poteva sbagliare. Accanto all’esplosione sociale, poi, vi è stata una complicata gestione delle politiche di austerity, imposte al popolo per recuperare l’ampio deficit di bilancio. Tra collaboratori inadatti, scandali legati alla sovvenzione a imprese ormai in fallimento e una comunicazione spesso cervellotica e poco sincera, Hollande non è riuscito a ripiegare verso un profilo più liberale e socialista.

Infine, la guerra in Mali (indipendente dal 1960) che è stato nuovamente invaso dall’Esercito Francese a gennaio del 2013. Il paese, stretto tra Algeria e Mauritania, è stato teatro di scontri provocati dai ribelli Tuareg e Hollande ha pensato bene di risolvere il problema, recuperando il controllo della ex colonia. In questi ultimi mesi sono riprese le scaramucce tra le tribù nomadi e i fedelissimi di Ibrahim Boubacar Keïta, quindi anche l’intervento armato è fallito. Invece di preoccuparsi della tragica situazione economica, magari intervenendo sul piano finanziaro e infrastrutturale, François ha mandado la Légion Etrangère.


Trump, il presidente che gli USA si meritano
La candidatura di Donald Trump, per molti è uno dei risultati piú evidenti della crisi endemica sofferta dal Partito Repubblicano.

In realtá, i conservatori d’America non hanno mai brillato per la qualitá o l’intelligenza dei propri massimi rappresentanti. Repubblicani erano Bush padre e figlio, così come repubblicano era l’attore Reagan e l’improbabile Nixon. Insomma, sembra semplicemente che questa volta il popolo americano abbia voglia di recuperarsi dalla pausa Obama e riprendere in mano le sue insane tradizioni. Intolleranza, politica economica protezionista, riarmo. Come dire: jeans, football, cinema e patatine fritte. Cosí come Berlusconi in Italia ha potuto sfruttare l’influenza e la credibilità artificiale costruita in base a spot televisivi, ora Trump coglie al balzo la mediocritá culturale americana per cercare di rioccupare la sedia dello Studio Ovale con il deretano dell’Elefantino.

Per quanto i media europei e statunitensi cerchino di screditarlo, accusandolo di razzismo, nazionalismo e incompetenza, il buon Donald è semplicemente la rappresentazione paradigmatica dell’americano medio. Il problema della sua candidatura è grave, almeno quanto il fatto che l’avversario si chiami Hillary Clinton.


Hillary Clinton, in corsa grazie a Monica Lewinsky
Sono passati 15 anni da quando Bill Clinton fu eletto 42esimo Presidente degli Stati Uniti. Quindici anni che la moglie Hillary ha trascorso studiando, lavorando, soffrendo e preparandosi per lasciar correre liberamente la propria, fortissima, ambizione.

Ha accettato tutto e tutti la signora Clinton in questi anni, passando dall’essere una moglie leale e benevola a strillare slogan contro il primo presidente nero della storia americana, quello stesso Obama che le ha permesso di divenire Segretario di Stato. Una carica importante, ma non abbastanza. E ora, accanto al vecchio e rintronato Bill, Hillary si sente pronta per guidare gli USA.

Dopo il primo Black President, gli americani avranno la prima Lady President. Questa signora di quasi settant’anni conquisterà la vittoria senza particolari sforzi: il suo principale avversario è il suo miglior alleato. Il problema principale, però, è che Hillary diventerà presidente per mancanza di alternative e non per aver mostrato di poter offrire soluzioni concrete ai problemi degli USA e del mondo.

Putin, l’ultimo grande Zar
Da quando Putin fu eletto Primo Ministro della Federazione Russa, sono passati 13 anni, 4 da quando ne é divenuto Presidente. Una dittatura perfetta, quello di Zar Vladimir, costruita grazie al gas naturale e protetta (dall’interno e dall’esterno) dagli amici, colleghi fedeli e alleati dell’FSB. Le immense risorse di metano e la vicinanza con i principali giacimenti del Caucaso, del Mar Caspio e dell’Iran, hanno consentito alla Nuova Russia di riprendersi il legittimo posto di primo antagonista del colonialismo culturale, economico e militare americano.

La guerra in Siria, le tensioni in Asia, gli accordi economici con alcuni paesi del Vecchio Continente. Lo Zar ha le mani sui principali rubinetti del prezioso gas che riscalda l’Europa e può decidere di farla congelare a piacere.

Il momento storico premia chi possiede risorse naturali e può disporne in maniera rapida e, soprattutto, economica. Le battaglie per la libertá dell’Est vengono oggi vanificate dal ricatto energetico. Putin è un spia che ha avuto la sagacia di utilizzare la violenza e la paura per aprirsi strada tra i sonnambuli della trojka e adesso ha la chance di spaventare il mondo. Ridicolizzando i piani di dominio internazionale, falliti, del PCUS, ora Putin ha in mano le sorti del mondo e, considerando gli scenari di una possibile elezione di Trump o Hillary, il panorama non è dei migliori.



Il mondo nelle mani sbagliate
Leader egoisti, intolleranti, nazionalisti, ambiziosi ma, soprattutto, inadeguati. Persone come noi, con difetti e che commettono errori, verrebbe da dire. Sulla Terra non esistono né dei né superuomini.

Ma il ruolo che sono stati chiamati a ricoprire esige requisiti umani e politici straordinari che non appartengono loro. Sono proprio le incognite dell’attualità, le guerre, i conflitti sociali, il terrorismo, che hanno messo a nudo l’incapacità latente di chi ha il mondo tra le mani. L’azione dei capi di governo appare svuotata da obiettivi di interesse comune, in mancanza di una politica sensibile, solidale, di condivisione e ascolto. I paesi più moderni ed avanzati temono di perdere i propri privilegi colonialistici, cosi ogni intervento viene frenato dalla mera osservazione del comportamento altrui. Un’attesa voyeuristica che, come nel caso dell’immigrazione, si traduce in apatia, rinuncia, prorogazione.

Ecco perché questi 5 presidenti sono (e saranno) pericolosi: non avendo le qualità per risolvere i grandi problemi del mondo, diventano parte e causa di essi.



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