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Intervista a Ferrari Anna, autrice di Insondabile Destino

10/12/18

In questa chiacchierata Anna Ferrari ci parla di sé, dl suo amore per la lettura, del suo istinto connaturale per la scrittura e di come l'ispirazione possa essere sollecitata da un cagnolino bianco.

FotoIntervista ad Anna Ferrari

1. Ci parli un po' di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?

Sono nata a Milano, che amo e che mi fa sempre sentire a casa. Ho trascorso molti mesi di agosto quando la città ancora si svuotava e mi sono divertita a girarla con gli occhi da turista. Ho visto praticamente tutte le sue attrattive e tesori nascosti. Oggi vivo in provincia, dove mi piace molto il silenzio, la slow life, la possibilità di fare lunghe passeggiate. Però, almeno una volta alla settimana, riprendo la metropolitana e vado a trovare il Duomo, all'interno del quale, per quanto agitata possa essere, trovo sempre la pace: la sua maestosità, la sua bellezza mi placano l'anima.
In verità i miei primi giochi erano i libri di mia mamma, che sfogliavo e strappavo. Ricordo poi che alle elementari la maestra ha dovuto fermarmi nella stesura di un tema perché avevo ormai sforato le tre ore concesse, raccontando le peripezie di una principessa nel deserto. Quindi la vita è andata per conto suo, ho lavorato nell'editoria, ho insegnato e lo faccio anche oggi, la scrittura è nata all'improvviso, come un fuoco che si appicca dopo che la brace ha covato per un po' sotto la cenere. Come dico sempre, c'è un tempo per tutto.

2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?

Sono molto metodica, questo mi permette di concentrare tutta la creatività e l'immaginazione sul mio obiettivo. Preferibilmente scrivo la mattina, se sono a casa. Se al mattino sono a scuola, per forza di cose relego un po' di tempo alla scrittura nel pomeriggio. Ormai è diventata un'esigenza, qualche pagina la devo scrivere tutti i giorni.
Mai di sera, momento per me sacro da dedicare a chi amo, compresa me stessa.

3. Il suo autore contemporaneo preferito?
Non ho dubbi: l'inglese Antonia Susan Byatt, l'autrice di "Possession", anche se, devo dire, a volte c'è una difficile lotta tra lei e l'americano Paul Auster.
La scrittura della Byatt è spontaneamente bella, le sue descrizioni sono entusiasmanti, può occupare anche un'intera pagina per ritrarre un bosco, nominando piante, fiori e arbusti che si materializzano compiuti nella nostra mente. I personaggi sono in carne e ossa, mai perfetti, sempre vivi, con debolezze e virtù. Ma quello che maggiormente mi affascina è la sua capacità di dare realtà al fantastico, di mischiare i due piani con estrema naturalezza.
Auster è un grande mago della parola, uno che riesce a essere così terreno da far percepire la storia al lettore anche attraverso il tatto. Tra i suoi romanzi, quello che prediligo è "Leviathan".

4. Perché è nata la sua opera?

Questa è una domanda difficile. Direi perché avevo voglia di scriverla. L'idea, come mi accade spesso, è nata durante una passeggiata con il mio cagnolino Hazel; mentre lui annusa, io scrivo con la mente. Anzi, quella volta ho visto un'immagine: una bambina con le lunghe trecce bionde che correva nei prati insieme al suo cane. Infatti nel romanzo si segue la vita della protagonista, Gwyny, fin da quando è bambina e vive ancora con sua padre, il druido Ynyr, e la madre, Una. Gwyny appartiene al mondo celtico e la sua storia si dipana più di 2000 anni fa.

5. Quanto ha influito nella sua formazione letteraria il contesto sociale nel quale vive o ha vissuto?

Credo di essere nata con la lettura nel DNA, poi hanno avuto un ruolo fondamentale gli studi classici e la laurea in lingue, che mi ha aperto le porte alle letterature di tutto il mondo. Resto comunque ancora molto legata al mondo greco e latino (coltivo le due lingue per hobby), la loro mitologia mi ha portata a studiare a fondo le fiabe e queste mi hanno trasmesso inconsciamente la struttura narrativa più vincente. Da qui letture su letture riguardanti fate, maghi, leggende e la mia predisposizione per il magico, il quale però non è mai fine a se stesso, ma trova ancoraggio nel reale. Dal greco sono scivolata nel russo, e il mondo con le cupole dorate a cipolla mi ha fatto sognare di palazzi principeschi e di storie prepotentemente drammatiche.

6. Scrivere è una evasione dalla realtà o un modo per raccontare la realtà?

Un'evasione, sicuramente. Lì, quando scrivo, sono nel mondo che vorrei. Se devo guardare la realtà, mi servo di saggi o di documentari.
Questo non significa che io abbia la testa tra le nuvole, ma che devo sempre leggere tra le righe, altrimenti mi manca qualcosa.

7. Quanto di lei c’è in ciò che ha scritto?

Molti scrittori più famosi di me hanno affermato che c'è sempre un po' di se stessi in ciò che si scrive, e io nel mio piccolo condivido. Scrivo solo di ciò che conosco, e cosa potrei conoscere meglio di me stessa?

8. C’è qualcuno che si è rilevato fondamentale per la stesura della sua opera?

La propensione a narrare e inventare l'ho ereditata da mia mamma, anche se il suo narrare è qualcosa di particolare, quello che il poeta inglese William Wordsworth definirebbe spargere sulla realtà "il colore dell'immaginazione".
Mio marito, che con il suo sostegno silenzioso mi ha fatto sentire "giusta" in quello che facevo e infine, last but not least, mio figlio, con il suo entusiasmo, la sua tenerezza, il suo affetto.

9. A chi ha fatto leggere per primo il romanzo?

A mio figlio, è il mio lettore prediletto. Ingegnere, è molto pignolo, difficilmente ha parole di completo apprezzamento per qualcosa, propenso alla critica. Il suo commento su "Insondabile destino" è stato: "Ma è bellissimo". Detto da lui è stata un'emozione inimmaginabile. Queste sue caratteristiche lo rendono anche il critico migliore, perché non teme di farmi notare difetti, o stonature e, credetemi, ci prende sempre. Per questo seguo sempre i suoi consigli.

10. Secondo lei il futuro della scrittura è l’ebook?

No, non credo. Credo che nonostante la dematerializzazione, il cartaceo sopravviverà, siamo in tanti ancora a provare emozione nello sfogliare un libro. Talvolta l'ebook appare freddo, distante. Però è anche vero che, quando ho visto quanti libri potevo collocare nel mio dispositivo di lettura, ho provato un'eccitazione incontenibile. Anche a scuola mi servo del digitale: non più cartelle pesantissime, possibilità di accedere a internet, di avere tutto a disposizione: video, audio, testo.
Ritengo che possano benissimo convivere: personalmente vago da uno all'altro. Posso leggere cinque ebook di fila, e poi aver voglia di tornare al cartaceo.

11. Cosa ne pensa della nuova frontiera rappresentata dall’audiolibro?

Che è una frontiera tutta da esplorare, ma ricca e fertile. Con l'audiolibro possiamo riempire spazi che altrimenti rimarrebbero vuoti: viaggi in macchina, lunghe code, nottate a leggere senza accendere la luce che potrebbe disturbare, o, se ascoltiamo in originale, fare anche esercizio di pronuncia e comprensione per migliorare le nostre abilità in lingua straniera. Quindi uno strumento assai utile.



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