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Intervista a Pamela Della Mina

06/03/17

Scrivere: "Mi aiuta a liberare posto per altro. Vorrei accadesse lo stesso a chi legge".

FotoOggi vi presento con molto piacere un'autrice il cui libro da poco è stato pubblicato anche nella sua versione cartacea e che per me è stato una rivelazione.
Dapprima mi ero avvicinato al testo con fare dubbioso, mi aspettavo una storia quasi di stampo rosa con vicende che potessero piacere a un pubblico femminile. Invece il libro Viola e Verde, che qui abbiamo già recensito, è stato un'interessante esperienza, decisamente vicino al genere Bolabooks con ambientazioni metropolitane e personaggi borderline, una narrazione frizzante e un leggero pizzico di suspense.
Oggi vi presento Pamela della Mina autrice appunto di Viola e Verde:







1) Viola e verde è un romanzo che ha come perno centrale la particolare personalità della protagonista, ci dici come nasce l'idea del romanzo?

La sindrome bipolare è spesso una scusa, una battuta ironica per appellare l'amico lunatico o un modo di autodefinirsi per giustificare gli sbalzi d'umore di un carattere difficile.
Ma cosa significa davvero, quali sono gli aspetti patologici e sensoriali di un termine fin troppo abusato?
Ho scritto di questo per dargli identità e la dignità che merita.
Il bipolarismo non è solo una malattia, un parassita indesiderato con cui si è costretti a fare amicizia. È una possibilità, è vivere in una condizione speciale, da accettare senza vanto né vergogna.

2) Come hai vissuto o stai vivendo questa prima tua esperienza nel ruolo di scrittrice?

Mi piace la tua precisazione “nel ruolo di”, rende l’idea dell’opinione che ho riguardo a un titolo tanto considerevole.
Dei diversi ruoli che interpreto nella mia vita, alcuni nemmeno troppo ammirevoli, “Scrittrice” mi fa un po’ sorridere, lo vedo a fatica accostato al mio nome.
Sto vivendo la pubblicazione di “Viola e verde” come se niente fosse. E in effetti niente è.
Il vero valore aggiunto non è la conquista di un nuovo epiteto, ma la soddisfazione del tutto personale di essere riuscita a portare a termine un progetto avviato da molto tempo. Mi aiuta ad accettare di aver fallito in parecchi altri.

3) Cosa vuol dire per te scrivere? Cosa ti dà?

Sarebbe più facile dirti cosa mi toglie: angoscia, ossessione. È un ottimo ansiolitico. Ho voglia di scrivere prevalentemente quando sono di umore nero, perché sento il bisogno di fare spazio. Mi aiuta a liberare posto per altro. Vorrei accadesse lo stesso a chi legge.

4) Chi sono i tuoi autori preferiti?

Più che agli scrittori mi lego ai loro libri.
Ti cito i miei tre preferiti:

1. “Il visconte dimezzato” di Italo Calvino
2. “Le parole che non ti ho detto” di Nicholas Sparks (la protagonista si chiama come la mia mamma ed è il primo libro in assoluto che mi ha fatta piangere in pubblico, regalandomi un’indimenticabile figura di merda. Sono passati quasi vent’anni.)
3. “Qualcuno con cui correre” di David Grossman (in effetti ho pianto anche con questo, ma col tempo ho imparato a leggere in solitudine.)

In generale mi piacciono le trame che mi scuotono, facendo scaturire emozioni incontrollabili. Fosse anche un commento ad alta voce.

5) Progetti letterari futuri?

Questa la so: nessuno. O per lo meno ancora niente di definito.
Mi sto avventurando nella rivisitazione in chiave sarcastica di uno dei classici più famosi di sempre.
E poi ho in box un meraviglioso Garelli turchese del 1983, che vorrebbe raccontassi la sua incredibile storia. Pensa che ha viaggiato più di me.
Ho sempre tante idee e prendo appunti in continuazione. Sono certa che ne uscirà qualcosa prima o poi, ma come ti dicevo scrivo in modo incostante. Questo è un periodo tutto sommato sereno, per cui non sono molto motivata.



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