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L’Unione europea vuole vietare alle aziende di ‘spiare’ i profili Facebook dei candidati

La Commissione europea sta elaborando un elenco di linee guida per regolare l’accesso dei datori di lavoro ai profili social dei candidati durante la fase di selezione.
del 23/08/17 -

Tramite un profilo social si possono sapere opinioni, interessi, amicizie, comportamenti di una persona. Informazioni sulla vita privata che, spesso in modo ingiusto, finiscono per diventare discriminanti per l’assunzione.
Il problema si pone soprattutto per i profili Facebook, Twitter e Instagram, mentre la consultazione di LinkedIn, piattaforma professionale, sarebbe legittima e anzi consigliata.
LinkedIn è utilizzato dal 99% delle aziende italiane che ricorrono al controllo dei social nella fase di recruitment. Il 60% di queste consulta Facebook, il 19% Instagram, mentre un altro 19% valuta se il candidato ha un proprio blog.

Perché si vanno a guardare i social media?
Il 93% dei selezionatori lo fa per avere una visione più completa del soggetto, il 33% per la possibilità di accertare eventuali attitudini professionali attraverso la partecipazione a community, il 32% per individuare possibili incongruenze nelle esperienze dichiarate sul curriculum, e il 30% per informarsi sulla rete dei contatti del candidato.
Secondo il sondaggio di Hays, però, le informazioni acquisite non sono determinanti per la scelta: l’81% del campione sostiene di non avere mai escluso nessuno per questa motivazione.

Queste sono le linee guida su cui stanno ragionando gli esperti del Gruppo di lavoro ex Articolo 29:

- Il diritto del candidato di negare la richiesta di amicizia su Facebook al selezionatore e di respingere gli incoraggiamenti a rendere pubblico il proprio account.
- In caso di profili pubblici, i recruiters dovrebbero comunque valutare se siano legati all’attività professionale o usati per scopi privati. LinkedIn sembra quindi promosso in ogni caso, ma per gli altri social il confine è sfumato.



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