ARTE E CULTURA
Comunicato Stampa

La grande madre - Palazzo Reale

01/09/15

La Grande Madre (The Great Mother) Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano 26 agosto - 15 novembre 2015

FotoSe l'arte contemporanea ha superato la concezione di bello, di visivo e di estetico per raggiungere quella di sensorialità complessiva, in questo caso - e in questa mostra - si aggiungono alla polisensorialità emozione e ricordo.

Aspetti della cultura di un secolo intero, dinamiche sociali, avvenimenti storici, costume, cultura, modelli educativi, di comunicazione e produzione artistica sono ricomposti e condivisi come fenomeni interdipendenti tra di loro.

Il filo conduttore, che passa attraverso l'arte di tutto il secolo scorso è espresso nel titolo della mostra.
Le opere da vedere sono moltissime, per i tre quarti realizzate da donne e per la restante parte a soggetto femminile o dedicate alla maternità e alle relazioni affettive.
Una delle sale a metà del percorso espositivo è dedicata al femminismo italiano; sono raggruppati moltissimi documenti che riguardano le lotte delle donne italiane negli anni sessanta e settanta.

In questa sala chi è orgogliosamente figlia di una femminista di quegli anni ritrova una madre precisa, unica, e privata e può oltrepassare quel sentimento generico di partecipazione sociale per ritrovare la propria storia personale legata ad una persona singola e indimenticabile.

In ciascuna delle 29 sale si può così trovare ciò a cui si è più inclini in quel momento, dal rigore pierfrancescano di Constantin Brancusi ai predatori alieni di Alfred Kubin (uno dei quali ricorda moltissimo Il leviatano stetocefalo dipinto da Jheronimus Bosch quattro secoli prima), ai ritratti femminili privi di lineamenti di Edvard Munch (che ritrovano la propria integrità e completezza soltanto nella versione seduttiva e inquietante) e di Boccioni.

La mostra si sviluppa in ordine approssimativamente cronologico e mentre si compie un cammino attraverso le avanguardie storiche si possono vedere varie forme di sperimentazione, dai readymade ai collages su carta e ai fotomontaggi.
Gli assemblaggi di parti di realtà diverse, uniti insieme nei collages e nei fotomontaggi, sono stati la chiave primaria e il requisito necessario per la crescita delle nuove tecnologie di manipolazione digitale, (da Photoshop alle app di realtà aumentata che si stanno sviluppando) come se il naturale, il tecnologico e l'immaginario fossero una cosa sola.

Leggo nell'opuscolo consegnato all'ingresso, alla descrizione della sala 8 :
“Nei primi decenni del Novecento nelle opere di molti artisti e scrittori le macchine sono rappresentate come donne […] Queste combinazione fantastiche di meccanica e desiderio mettono a nudo le paure dell'uomo al cospetto della tecnologia. "Macchine celibi” le battezza Marcel Duchamp: macchine incapaci di produrre e riprodursi.“

Guardando alla nuova umanità meccanica del dadaismo e alla trasformazione a cui questa visione è stata soggetta nel tempo, si ha l'impressione di essere di fronte a una mutazione ormai consolidata diffusa alla specie intera.
La metamorfosi tra le prime deformazioni violente, casuali e traumatiche di Duchamp e la nostra tecnologia connaturata appare completata. L'innesto è ormai consolidato, stabile e senza soluzione di continuità.
La trasmissione dell'esperienza passa anche per questo canale: la tecnologia in evoluzione nel corso del Novecento ha testimoniato nei video le "Sculture terra corpo” di Ana Mendieta.

La sensazione di ritornare allo stadio di vita incosciente, descritta nelle performance della serie Silueta, che si esprime nel restare sdraiati a faccia in giù nella terra è conturbante non perché trasmetta un desiderio di morte ma di vita inconsapevole; come se improvvisamente si imponesse la volontà di essere privi di coscienza e di pensiero, senza morire, restando comunque vivi ma senza lucidità o ragionamento come la terra.
Un’ altra esperienza coinvolgente si vive passando attraverso una sala con colonne neoclassiche poco illuminata e ingombra di passeggini.

L'installazione di Nari Ward - Amazing Grace (originariamente installata in una caserma dei pompieri abbandonata di Harlem) è in penombra, in una sala severa e monumentale e accompagnata dall'inno gospel del titolo.
Nella descrizione della brochure i passeggini vuoti “evidentemente abbandonati dai possessori e in condizioni più o meno misere, evocano le vite dei bambini che un tempo li hanno occupati ma anche quelle dei senzatetto che se ne sono appropriati per trasportarvi le loro povere cose”, ma nel contesto della mostra e nella solennità quasi liturgica dell'ambiente e della musica, la traccia che rimane di questi passeggini consumati è di dedizione, affetto, vicinanza e unione. Una specie di deposito di ricordi di genitori e figli.

P.S.: ci sono anche una fotografia di Dorothea Lange e un autoritratto di Diane Arbus giovane che si guarda stupita come allo specchio.
Ci tornerò!

Paola Nicoli



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