SALUTE e MEDICINA
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La Spettroscopia Raman

19/10/17

La Spettroscopia Raman è una delle tecniche più utilizzate nel campo della diagnostica dei Beni Culturali: alla scoperta di pregi e difetti di questa tecnica.

Fra le numerose tecniche diagnostiche adoperate nello studio e nella caratterizzazione dei Beni Culturali, una delle più recenti e innovative è la Spettroscopia Raman.
Si tratta di una tecnica vibrazionale non invasiva e non distruttiva, sviluppatasi grazie all’apporto scientifico del fisico indiano C. V. Raman. Lo scienziato, mediante i suoi studi di diffusione della
luce e la scoperta del cosiddetto effetto Raman, ottenne nel 1930 il premio Nobel per la fisica. Da quel momento in poi, le tecnologie in continuo sviluppo hanno condotto alla realizzazione e all’ottimizzazione della suddetta tecnica.
Quando un insieme di molecole (il Bene Culturale, nel nostro caso) viene colpito da un raggio laser con lunghezza d’onda monocromatica, compresa fra 300 e 1064 nm, si verificano diversi fenomeni:
- Gran parte della radiazione incidente viene assorbita dal campione e/o lo attraversa;
- Una parte viene diffusa con la stessa lunghezza d’onda iniziale (effetto Rayleigh);
- Una piccolissima parte viene diffusa, ma con lunghezze d’onda diverse da quella iniziale (effetto Raman). È proprio quest’ultimo debole segnale a trasmettere una grande quantità di dati.

La spettroscopia Raman è una tecnica molto utile nell’identificazione di sostanze di natura cristallina, di pigmenti e coloranti, sia di componente organica che inorganica, oltre che per individuazione di materiali di restauro e prodotti di degrado; in altri campi, viene adoperata per caratterizzare pietre preziose e non, oltre che per l’identificazione di farmaci e sostanze stupefacenti.
Le misure effettuate danno informazioni puntuali e di superficie; inoltre, possono essere effettuate su molti tipi di supporto senza danneggiarli, quali carta, legno, tessuto, papiro, ecc. La strumentazione può essere sia da banco che portatile: quest’ultimo aspetto rende possibili le analisi in situ, volte allo studio e alla caratterizzazione sia di opere situate in contesti difficili da raggiungere (ipogei, torri, ecc.), che di Beni Culturali particolarmente preziosi che non devono e/o non possono essere movimentati (come affreschi o quadri di notevoli dimensioni).

Una tecnica perfetta, quindi? Non proprio.

Come ogni tecnica presente nel nostro campo (e non solo), anche in questo caso ci sono dei limiti analitici, fra i quali la difficoltà di individuare i leganti, se invecchiati e in miscela con i pigmenti; la possibilità di produrre una microbruciatura nel campione, se la potenza del laser è elevata; la difficoltà nell'identificazione di sostanze amorfe.
Uno dei limiti più importanti della tecnica è rappresentato dal fenomeno della fluorescenza, che si verifica in particolar modo per i campioni organici, come ad esempio coloranti, colle, adesivi: consiste nella riemissione, da parte della sostanza analizzata, delle radiazioni elettromagnetiche ricevute; il segnale Raman, assai debole, viene quindi facilmente mascherato dalla fluorescenza, non permettendo l’identificazione della sostanza analizzata.
Un ulteriore fenomeno che comporta una copertura del segnale Raman è l’effetto termico, che si verifica in presenza di materiali particolarmente assorbenti e tendenzialmente di colore scuro (nero carbone) che, inoltre, comportano una maggiore probabilità di bruciare il campione.
Tuttavia, sono stati studiati dei metodi per ampliare le potenzialità della tecnica e aggirare queste limitazioni, in particolar modo il fenomeno della fluorescenza.
Volete scoprire quali sono? Ne parleremo prossimamente, restate connessi!

Tiziana Pasciuto
(http://researcheritage.blogspot.com.es/2017/05/La-Spettroscopia-Raman.html)



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