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Lavorare come rider

28/10/19

Le problematiche relative al rapporto di lavoro dei fattorini delle grandi catene del food delivery.

FotoLavorare come rider è diventato, per alcuni, il paradigma quasi di un nuovo schiavisimo e delle storture prodotte da una globalizzazione selvaggia che fa pagare il conto agli anelli più deboli della catena, ossia, i lavoratori precari che devono accontentarsi di un lavoro umile. Il legislatore ha allora deciso di intervenire su questa materia approvando uno specifico decreto legge che mira a tutelare più efficacemente i ciclofattorini.

Le grandi aziende di food delivery sono, solitamente, degli intermediari. Si occupano, cioè, di mettere in contatto chi produce cibo pronto (ristoranti, pizzerie ed altri esercizi) con il consumatore finale. La società di food delivery gestisce l’acquisizione dell’ordine, con modalità digitali, ossia tramite un’app sullo smartphone, e la fase di consegna.
Nel lavoro del rider è, dunque, molto importante la tecnologia. Il rider, infatti, riceve l’ordine di consegna tramite una notifica sullo smartphone oppure sul device aziendale oppure tramite una chiamata telefonica.
I rider sono giunti all’attenzione delle cronache nazionali, e lo stesso è avvenuto in molti altri paesi, per le condizioni di impiego con le quali vengono assunti.

In particolare, la maggior parte dei gruppi di food delivery non assume i riders come lavoratori subordinati ma li contrattualizza con contratti di lavoro autonomo (Art. 2222 cod. civ.). Il rider, infatti, è tendenzialmente libero di accettare o rifiutare una consegna. Se la accetta e la porta a termine viene pagato, se la rifiuta non prende soldi. La possibilità di rifiutare la prestazione di lavoro è, secondo alcuni, l’elemento caratterizzante che distingue il lavoro dei rider dal lavoro subordinato e che giustificherebbe, quindi, il contratto di lavoro autonomo.

Tuttavia, essere assunti come lavoratori autonomi, priva i rider di molti diritti tipici del lavoro subordinato. In particolare, i rider non hanno diritto a:
> la retribuzione minima prevista dai contratti collettivi di lavoro;
> ferie e permessi retribuiti;
> tredicesima e quattordicesima mensilità;
> contributi previdenziali ed assistenziali;
> tutela in caso di infortunio e malattia professionale;
> tutela contro il licenziamento illegittimo;
> indennità di disoccupazione Naspi in caso di perdita del lavoro;
> tutela in caso di malattia;
> permessi 104 per assistere familiari disabili.

Il legislatore si è, di recente, reso conto che, su questa materia, è necessario un intervento normativo.
E’ stato, dunque, approvato un Decreto legge (D.L. n. 101 del 3.09.2019.) recante “Disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali” che contiene disposizioni volte a garantire minimi di tutela economica e normativa ai lavoratori la cui prestazione è organizzata tramite piattaforme digitali e quelli impiegati in attività di consegna di beni per conto altrui (i cosiddetti riders). Il decreto legge, innanzitutto, specifica che la norma del Jobs Act sulle collaborazioni organizzate dal committente, utilizzata dalla Corte d’Appello di Torino per applicare ai riders le tutele del lavoro subordinato, si applica “anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali”. 

Inoltre, si prevede che ai rider debba essere garantita una paga minima fissa e solo una parte in base alle consegne e la tutela assicurativa contro gli infortuni. 

Sintesi articolo estrapolato dal sito laleggepertutti.it



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