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Legge e giurisprudenza in tema di consenso informato al paziente, da parte del medico

28/10/20

Esistono due forme di consenso informato: verbale e scritto. Il consenso deve essere scritto nei casi in cui l’esame clinico o la terapia medica possono comportare gravi conseguenze per la salute e l’incolumità della persona. Anche se il consenso informato normalmente comporti la sottoscrizione di un modulo, non deve, tuttavia, consistere in un mero formalismo; le informazioni devono essere ampie e precise, e il medico deve accertarsi che il paziente abbia compreso quanto riferitogli.

FotoEsistono due forme di consenso informato: verbale e scritto. Il consenso deve essere scritto nei casi in cui l’esame clinico o la terapia medica possono comportare gravi conseguenze per la salute e l’incolumità della persona.
Anche se il consenso informato normalmente comporti la sottoscrizione di un modulo, non deve, tuttavia, consistere in un mero formalismo; le informazioni devono essere ampie e precise, e il medico deve accertarsi che il paziente abbia compreso quanto riferitogli.
In merito alla modalità dell’informazione, la giurisprudenza ha più volte ribadito che la stessa deve improntarsi in spiegazioni dettagliate e complete, adeguate al livello culturale del paziente, con l’adozione di un linguaggio che tenga conto dello stato soggettivo e delle conoscenze di cui dispone, in grado di renderlo consapevole sui possibili effetti negativi di una terapia o di un trattamento chirurgico, sulle possibili controindicazioni e sulla gravità degli effetti (Cass. Pen. n. 37077/08) non potendo bastare le indicazioni su un modulo prestampato con una firma, occorrendo, invece, un preciso colloquio del medico con il paziente (Cass. n. 19220/13).
Solo questo tipo di consenso del paziente, espresso a seguito della completa informazione da parte del medico, fa da presupposto alla liceità dell’attività medico-chirurgica, per cui la mancanza o l’invalidità del consenso informato -anche quando si sia di fronte all’intervento medico-chirurgico eseguito in modo perfetto (Cass. n. 16543/2011) o ad eventi straordinari (Cass. n. 27751/13)- determina l’arbitrarietà del trattamento medico-chirurgico e la sua rilevanza, sia civile, sia penale “in quanto posto in violazione della sfera personale del soggetto e del suo diritto di decidere se permettere interventi estranei sul proprio corpo” (Cass. Pen. n. 2347/14).
Il paziente, in pratica, deve poter decidere se vuole essere curato per una malattia: ha il diritto/dovere di conoscere tutte le informazioni disponibili sulla propria salute, chiedendo al medico ciò che non è gli chiaro e, conseguentemente, di scegliere, in modo informato, se sottoporsi ad una determinata terapia.
Il consenso informato dev’essere inteso come la precisa manifestazione, da parte del paziente, della sua consapevole adesione al trattamento sanitario proposto. Tale diritto trova il suo fondamento nell’art. 2 della Costituzione, il quale tutela i diritti fondamentali della persona, nonché negli artt. 13 e 32. Il primo garantisce l’inviolabilità della libertà personale, il secondo sancisce che nessuno può essere sottoposto a trattamento sanitario se non per legge. I principi di riferimento si ravvisano anche nelle fonti normative: Legge n. 219 del 2005, art. 3; la Legge n. 40 del 2004, art. 6; Legge n. 833 del 1978, art. 33, nonché art. 29 del Codice di Deontologia medica il quale sancisce che “il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito ed informato del paziente”.
Il consenso informato è espressione dell’autodeterminazione del paziente ed il diritto all’autodeterminazione è cosa diversa dal diritto alla salute.
La giurisprudenza di legittimità ha infatti più volte sostenuto che la lesione del diritto del paziente a scegliere liberamente se, ed in quale modo e dove, sottoporsi alle cure, è pregiudizio autonomo che prescinde dall’eventuale risultato positivo della cura e quindi dalla guarigione.
Il medico non ha infatti il diritto di decidere la cura o l’intervento, e il luogo dove effettuarlo, al posto del paziente. Solo su queste basi il paziente è in grado di comprendere ed accettare tutte le complicanze ipotetiche del trattamento a cui si sottopone.
Ovviamente, se il trattamento non è eseguito correttamente ci sarà anche l’eventualità di poter richiedere il risarcimento del danno per colpa medica. Se, invece, il trattamento è eseguito correttamente, a fronte di un corretto consenso informato rilasciato, il verificarsi di una complicanza non comporta per il medico e per la struttura una responsabilità per danni.
La questione si pone, appunto, solo nel caso in cui il consenso informato non è stato completo, ovvero quando al paziente non è stato comunicato che da quel determinato intervento/trattamento poteva derivare una complicanza che poi si è, appunto, verificata.
In questa ipotesi il mancato o incompleto consenso informato crea per il medico e per la struttura una responsabilità per danni con riferimento a quelle conseguenze tipiche dell’intervento che si verificano e rispetto alle quali il paziente non è stato correttamente informato.
La giurisprudenza, infatti, statuisce un preciso diritto ad essere informati correttamente, e la lesione di tale diritto (ossia la scarsa o scorretta informazione) è un danno autonomamente risarcibile, anche nel caso in cui non vi sia stata nessuna lesione per la salute, infatti, non ha alcuna importanza, per la sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato, se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno.
La Cassazione n. 12205/15 ricorda che la scelta, personale e individuale, spetta solo al paziente (e non al medico), il cui consenso è inutile se non è veramente informato.
Il paziente ha diritto all’autodeterminazione consapevole, ovvero ha diritto a decidere solo dopo essere stato informato con cura, e può decidere non solo di prestare il consenso, pure di negarlo, anche subendo le conseguenze della malattia, perché il diritto del paziente a scegliere la cura è inviolabile, e la eventuale terapia non va semplicemente adoperata, ma va anche con questi condivisa.
Il paziente non ha solo il diritto di prestare il consenso oppure di negarlo, ma anche di negarlo parzialmente decidendo di sottoporsi al trattamento in un altro momento della sua vita che meglio sia in grado di sopportare le complicanze e pure di sottoporsi al trattamento in una diversa struttura, magari più attrezzata per il suo caso. Per spiegare meglio il diritto del paziente nel consenso informato, si tengano presente queste due categorie:
-‘se curare’: il paziente può prestare il consenso o negarlo;
-‘quando curare’: il paziente può negarlo in quel momento per sottoporsi all’intervento/trattamento in un altro momento, o in una diversa struttura.
Solo tenendo in considerazione entrambe le categorie è possibile comprendere quante scelte debbano essere garantite veramente al paziente.
Anche per meglio spiegare quali danni siano risarcibili, se anche l’intervento/trattamento sia stato perito (tecnicamente corretto) si tenga a mente queste due definizioni:
-Danno da difetto d’informazione ‘puro’: è il danno che consiste nella sofferenza per aver perduto la possibilità di autodeterminarsi. Consiste per esempio nella maggiore sofferenza che il paziente patisce per non essersi potuto preparare anche alla complicanza peggiore ed aver così dovuto sopportare quella che la Cassazione definisce ‘sorpresa’ (danno morale e/o esistenziale).
-Danno da difetto d’informazione ‘funzionale’: consiste nelle stesse complicanze, che gli siano state taciute, ed è più spesso un danno biologico, oltre che morale ed esistenziale. Per ottenerlo, il paziente, deve dimostrare che non avrebbe prestato il consenso (quel consenso, in particolare, nelle circostanze di tempo e di luogo) se avesse saputo a quali complicanze sarebbe potuto andare incontro.
Cass. n. 10414/16; secondo un principio consolidato in seno alla Corte di Cassazione, in tema di attività medico-chirurgica, è risarcibile il danno cagionato dalla mancata acquisizione del consenso informato del paziente in ordine all’esecuzione di un intervento chirurgico, ancorché esso appaia, ‘ex ante’, necessitato sul piano terapeutico e sia pure risultato, ‘ex post’, integralmente risolutivo della patologia lamentata, integrando, comunque, tale omissione dell’informazione una privazione della libertà di autodeterminazione del paziente circa la sua persona, in quanto preclusiva della possibilità di esercitare tutte le opzioni relative all’espletamento dell’atto medico e di beneficiare della conseguente diminuzione della sofferenza psichica, senza che detti pregiudizi vengano in alcun modo compensati dall’esito favorevole dell’intervento (Cass. n. 12205/15).
Infatti, secondo la Suprema Corte, il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, impone che quest’ultimo fornisca al paziente, in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che intende praticare o l’intervento chirurgico che intende eseguire, con le relative modalità ed eventuali conseguenze, sia pure infrequenti, col solo limite dei rischi imprevedibili, ovvero degli esiti anomali, al limite del fortuito, che non assumono rilievo, in quanto, una volta realizzatisi, verrebbero comunque ad interrompere il necessario nesso di casualità tra l’intervento e l’evento lesivo (Cass. n. 27751/13; anche Cass. n. 2177/16).
Da ciò deriva che l’acquisizione del consenso informato del paziente, da parte del medico, costituisce prestazione altra e diversa rispetto a quella avente ad oggetto l’intervento terapeutico, tanto che l’errata esecuzione di quest’ultimo dà luogo ad un danno suscettibile di ulteriore e autonomo risarcimento rispetto a quello dovuto per la violazione dell’obbligo di informazione, anche in ragione della diversità dei diritti -rispettivamente, all’autodeterminazione delle scelte terapeutiche ed all’integrità psicofisica- pregiudicati nelle due differenti ipotesi (Cass. n. 2854/2015).
Stefano Ligorio



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