Report congressuale "Stroke 2017" sull'Ictus Cerebrale

A Napoli dal 1 al 3 marzo 2017 si è svolta la quarta edizione del Congresso Nazionale sull’ictus Cerebrale “Stroke2017”. Gli argomenti trattati hanno riguardato la prevenzione, la cura dell’ictus cerebrale e delle sue conseguenze, cercando di dare particolare risalto alla ricerca di base per trovare nuovi trattamenti di protezione del cervello nelle fasi acute dell’ictus, così come la possibilità di disostruire meccanicamente le arterie cerebrali occluse, grazie all’introduzione di cateteri, per via arteriosa. Le passate edizioni si sono svolte a Firenze, quest’anno è stata scelta la città di Napoli. L’idea di base è quella di proporre un congresso itinerante per facilitare, chi non può permettersi di seguire un congresso lungo tre giorni e la partecipazione di tutti i professionisti su questo importantissimo tema. Quest’anno hanno partecipato circa 400 delegati tra medici, fisioterapisti, logopedisti, infermieri, psicologi e altre figure professionali.
del 06/03/17 -

STROKE 2017 si è svolto a Napoli dal 1 al 3 marzo 2017. Il Report dal Congresso è a cura del Prof. Augusto Zaninelli (ISO – Italian Stroke Organization, Consiglio di Presidenza)

Argomenti principali trattati

Epidemiologia e Diagnosi
Si conferma come l’ictus cerebrale costituisce la seconda causa di morte e la terza causa di disabilità a livello mondiale, e la prima causa di disabilità negli anziani. Nel 35% dei pazienti colpiti da ictus, globalmente considerati, residua una disabilità grave. Nel nostro Paese, comunque, negli ultimi vent’anni si è assistito ad una sostanziale riduzione degli ictus cerebrali, sia ischemici, sia emorragici. Dai 180.000 casi all’anno, si è passati ai circa 120.000 e questo grazie soprattutto alle sempre più diffuse ed efficaci misure di prevenzione, nel controllo dei fattori di rischio, prima fra tutti l’ipertensione arteriosa.
Sul versante dell’imaging, la TC e la RM con le tecniche di diffusione e perfusione non hanno attualmente dimostrato chiari vantaggi nella selezione dei pazienti potenzialmente eleggibili per la terapia endovascolare.

Prevenzione
Le novità da attribuire all’area dei fattori di rischio/prevenzione primaria, sono sostanzialmente da riferire all’intensità del trattamento dell’ipertensione arteriosa, alla prevenzione dell’ictus cardioembolico con gli anticoagulanti diretti nella fibrillazione atriale e all’utilizzo dell’aspirina in prevenzione primaria.
Per quanto attiene all’impego dell’aspirina a 100 mg, nel Convegno è emersa una raccomandazione forte verso la possibilità che nella decisione di instaurare una terapia con aspirina in prevenzione primaria, si tenga conto anche del rischio di cancro.

Ictus acuto
L’area della fase acuta come principale novità si è concentrata su due aspetti: il dosaggio della trombolisi e le procedure interventistiche, basate sui trattamenti endoarteriosi.
I risultati sostanzialmente negativi dello studio ENCHANTED, hanno consentito di rafforzare il messaggio relativo alla necessità di impego della trombolisi al dosaggio universalmente consigliato (0,9 mg/kg), ma la significativa riduzione, in una analisi di sottogruppo prespecificata, relativamente all’outcome funzionale (valutato tenendo conto dei vari gradi della scala Rankin), risultata favorevole della bassa dose di r-tPA (0,6 mg/kg) nel gruppo pretrattato con antipiastinici rispetto al gruppo dei non trattati con antiaggreganti (p=0.02), induce a considerare, in questa tipologia di pazienti, l’utilizzo della bassa dose, piuttosto che la non somministrazione in assoluto, della trombolisi.
Sul versante del trattamento intraarterioso, una revisione sistematica ha valutato i risultati di alcuni studi su trombolisi intra-arteriosa o qualunque tipo di trombectomia in pazienti con occlusioni extra. e/o intracraniche (MR CLEAN, ESCAPE, EXTEND-IA, SWIFT-PRIME, REVASCAT). I pazienti con occlusione di carotide interna extra-cranica trattati con stenting ha avuto un tasso più alto di ricanalizzazione (87% vs 48%, p=0.001) e di esito clinico favorevole (68% vs 15%, p<0.001) ed un tasso minore di mortalità (18% vs 41%, p=0.048) rispetto ai pazienti trattati con trombolisi i.a. Nel gruppo di pazienti con occlusione tandem, la mortalità è risultata significativamente minore fra i pazienti trattati con trombolisi i.a. rispetto a quelli trattati con qualunque tipo di intervento meccanico dell’occlusione intracranica (0% vs 34%, p=0.002 e 0% vs 33%, p=0.001). Il confronto, tuttavia, non è randomizzato e gli studi sono molto eterogenei, per cui questi risultati non possono tradursi in una indicazione preferenziale ai trattamenti endoarteriosi in pazienti con occlusione di carotide interna extra-cranica. In sintesi, comunque, si è concluso che Pazienti con ictus esordito oltre le 4.5 ore possono trarre giovamento da trombectomia meccanica primaria in particolare se iniziata entro 5 ore dall’esordio dei sintomi, mentre Pazienti con ictus da occlusione di rami arteriosi distali possono trarre giovamento dal ricorso ad agenti trombolitici per via intra-arteriosa. Inoltre, Pazienti con ictus ischemico acuto e recente (<14 giorni secondo le linee guida AHA, <3 mesi secondo la licenza EMA) intervento chirurgico maggiore o trauma maggiore, possono trarre giovamento da trombectomia meccanica dopo valutazione clinica e del rischio emorragico e Pazienti in terapia anticoagulante orale con farmaci aVK con INR >1.7 possono trarre giovamento da trombectomia meccanica, previa valutazione del rapporto rischio/beneficio. L’intervento endoarterioso meccanico può essere preso in considerazione, previa valutazione del rapporto rischi/benefici, in pazienti trattati con anticoagulanti diretti e con alto rischio di emorragia, definito dai test di laboratorio specifici (o dall’impossibilità della loro esecuzione) e dal tempo dell’ultima assunzione, in quanto non sembra associato a un incremento del rischio di complicanze emorragiche
Con riferimento, invece, all’impiego della trombolisi sistemica, i Relatori hanno affrontato, come novità non presente nelle precedenti edizioni, la possibilità di somministrazione della terapia in pazienti con ictus ischemico acuto, in terapia con gli anticoagulanti diretti. In questi casi, La letteratura suggerisce la possibilità di prendere in considerazione la trombolisi e.v. in pazienti trattati con DOAC, con verosimile effetto sub terapeutico, evidenziato dalla storia clinica (dose e intervallo temporale dall’ultima assunzione, funzionalità renale) e da test specifici e standardizzati (Tempo di Trombina, Tempo di Ecarina o Hemoclot per il dabigatran, anti-Xa per il rivaroxaban o l’apixaban).
Infine, in pazienti con ictus ischemico acuto, l’uso degli ultrasuoni per potenziare l’effetto della trombolisi e.v. non è indicato routinariamente. Gli ultrasuoni per potenziare l’effetto della trombolisi e.v sono usati all’interno di studi clinici controllati, con particolare riferimento a pazienti con occlusione dei grossi vasi intracranici.

Terapia Chirurgica
Innanzi tutto, se per convenzione derivata dagli studi clinici, una stenosi carotidea si definisce sintomatica se l’ultimo episodio ischemico cerebrale o retinico congruo si è verificato nei 6 mesi precedenti. Sulla base di recenti revisioni degli stessi studi nella sessione congressuale appositamente dedicata, si è ritenuto opportuno ridurre tale intervallo a non più di 3 mesi.
In caso di stenosi carotidea sintomatica con indicazione chirurgica è indicato considerare il punteggio di rischio di ictus del paziente se trattato con sola terapia medica (e quindi il potenziale beneficio della terapia chirurgica). Nel paziente con elevato punteggio di rischio, ≥4 secondo il modello ricavato dalle revisioni degli studi NASCET ed ECST, il beneficio dell’endoarteriectomia è massimo (NNT 3), mentre nel paziente con basso punteggio di rischio, <4 secondo il suddetto modello, il beneficio è minimo (NNT 100).

Il punteggio viene così assegnato:

1 punto per evento cerebrale piuttosto che oculare

1 punto per irregolarità di superficie della placca ateromasica carotidea

1 punto per eventi negli ultimi due mesi

1 punto per ogni decile di stenosi da 70% a 99%

-0,5 punto per sesso femminile

-0,5 punto per malattia vascolare periferica

-0,5 punto per pressione arteriosa sistolica > 180 mmHg

Le attuali evidenze sul beneficio dell’endoarteriectomia nella stenosi carotidea asintomatica sottolineano l’importanza di valutare il vantaggio della terapia chirurgica nei confronti della miglior terapia medica. Il rischio di ictus nei pazienti trattati con la miglior terapia medica risulta oggi mediamente inferiore all’1% per anno (cioè inferiore al rischio della procedura chirurgica nell’ ACAS e nell’ ACST), pertanto l’intervento non può essere raccomandato di routine, ma indicato solo in pazienti selezionati, e in centri specialistici con documentato rischio perioperatorio di ictus/morte più basso possibile, inferiore a 2% e ancora meglio se inferiore a 1%.
Alcuni studi indicano sottogruppi di pazienti a più netto beneficio dall’intervento in quanto a maggior rischio di ictus se non operati, quali pazienti con pregressi infarti alla TC encefalo, più alto grado di stenosi carotidea o più rapida progressione di stenosi, presenza di occlusione carotidea controlaterale, morfologia di placca ulcerata o irregolare agli ultrasuoni o all’RM e/o presenza di segnali microembolici omolaterali all’ecodoppler transcranico. Altri studi indicano viceversa sottogruppi di pazienti a più scarso o senza beneficio dall’intervento in quanto a maggior rischio di complicanze se operati. Sono auspicabili quindi altre revisioni sistematiche e ulteriori studi che stratifichino i vari fattori di rischio medico e chirurgico, onde specificare meglio le indicazioni o controindicazioni all’intervento.
Per quanto riguarda la scelta del tipo di intervento, fra endoarterectomia classica o stent carotideo, le evidenze hanno finora dimostrato una certa equivalenza o non inferiorità dello stenting carotideo rispetto all’endoarteriectomia solo in centri di eccellenza e sono necessarie ulteriori evidenze, per cui ad oggi è raccomandata di scelta l’endoarteriectomia nella correzione chirurgica della stenosi carotidea. Pertanto, lo stenting carotideo, come alternativa all’endoarteriectomia, dovrebbe essere eseguito solo all’interno di sperimentazioni cliniche controllate o in centri e con operatori a casistica controllata per quanto riguarda il rischio periprocedurale che deve essere per lo meno non superiore a quello dell’endoarteriectomia.
Lo stenting carotideo, con adeguato livello di qualità procedurale e appropriata protezione cerebrale, è raccomandato in caso di significativa comorbidità cardiaca e/o polmonare o in condizioni quali la paralisi del nervo laringeo controlaterale, la stenosi ad estensione craniale o claveare, la restenosi, una precedente tracheotomia/chirurgia/radioterapia al collo.

Per convenzione, per importanti comorbidità cardiache si intendono:

a) scompenso cardiaco congestizio e/o disfunzione ventricolare sinistra
b) intervento cardiochirurgico nelle sei settimane precedenti
c) infarto miocardico nelle quattro settimane precedenti
d) angina instabile

In caso di stenosi carotidea asintomatica l’endoarteriectomia, comportando un beneficio modesto rispetto alla miglior terapia medica, è indicata nel paziente che è considerato “a rischio” se trattato solo con terapia medica e che presenta quindi almeno una di queste condizioni: pregresso infarto anche silente alla TC/RM encefalo, placca vulnerabile o ulcerata o a rapida crescita, stenosi pre-occlusiva, stenosi tra 70-80% (metodo NASCET) con occlusione della carotide controlaterale o con presenza all’ecodoppler transcranico di segnali microembolici omolaterali. E’ invece indicata la sola miglior terapia medica nel paziente con aspettativa di vita inferiore a quella presunta per ottenere il beneficio dall’endoarteriectomia, quale il paziente ultraottantenne o con diabete insulino-dipendente o cardiopatia grave o broncopatia grave o insufficienza renale cronica in trattamento dialitico.

Riabilitazione e continuità dell’assistenza
La dimostrazione del razionale di efficacia di nuovi approcci riabilitativi sviluppati alla luce delle attuali conoscenze sui meccanismi di neuroplasticità è uno dei principali argomenti su cui si sta concentrando la ricerca relativa alla riabilitazione dell’ictus. Sulla scorta delle ampliate conoscenze dei meccanismi neurobiologici della plasticità cerebrale vengono attualmente privilegiati approcci che avvalorano l’intensità, la ripetitività, la significatività di un esercizio e la stimolazione multisensoriale. La realizzazione di questi presupposti avviene:

mediante esecuzione reiterata, supportata da strumenti robotici;
mediante un’esaltazione dell’informazione sensoriale di ritorno, prodotta da sistemi in realtà virtuale;
mediante la realizzazione di un Ambiente Arricchito.

Ictus da cause rare
L’eziologia dell’emorragia cerebrale nei soggetti giovani è più eterogenea rispetto a quella dei soggetti in età adulta e anziana; in particolare, svolgono un ruolo importante le malformazioni vascolari, le coagulopatie e l’abuso di sostanze quali la cocaina e le amine simpaticomimetiche. La prognosi è migliore di quella degli anziani, senza sostanziali differenze di genere. La gravità dei sintomi all’esordio, la presenza di emorragia intraventricolare, di idrocefalo e di focolai emorragici multipli sono predittori di mortalità nel soggetto giovane.

Medicina di Genere
La patologia cerebrovascolare presenta un’elevata prevalenza nel genere femminile con peculiarità relative sia ai fattori di rischio che alle manifestazioni cliniche e agli esiti. Essa rappresenta una delle principali cause di morbidità e mortalità nella donna, tanto che le statistiche internazionali classificano l’ictus come la quinta causa di morte nel sesso maschile, ma la terza nel sesso femminile. Le proiezioni demografiche per il 2030 prevedono che circa il 20% della popolazione sarà rappresentato da soggetti di età superiore ai 65 anni con maggiore rappresentatività delle donne, in funzione dell’aspettativa di vita maggiore. Se consideriamo che circa la metà dei soggetti colpiti da ictus sopravvive con gradi variabili di deficit funzionale e/o cognitivo, è possibile prevedere che ci sarà un numero significativamente superiore di donne con esiti di evento cerebrovascolare rispetto agli uomini, con i prevedibili risvolti anche in termini di costi socio-sanitari. Nonostante ciò, molti aspetti del rapporto fra patologia cerebrovascolare e genere femminile sono tuttora sottostimati. I fattori di rischio vascolari presentano specificità di genere riconosciute e ben caratterizzate; le donne hanno spesso sintomi di presentazione di patologia cerebrovascolare non specifici e giungono più tardivamente all’attenzione medica rispetto agli uomini, fattori che contribuirebbero ad una minore probabilità di accesso a trattamenti riperfusivi in acuto. Differenze di genere sono presenti anche per quanto concerne la scelta e la risposta alle terapie di prevenzione primaria e secondaria. I risultati degli studi clinici sui farmaci cardiovascolari sono applicati nella pratica clinica indipendentemente dal genere, nonostante le donne siano numericamente sotto-rappresentate nella ricerca clinica e non sempre nel disegno degli studi sia prevista l’analisi per la differenza di genere. È importante che la comunità scientifica rivolga maggiore e dedicata attenzione alle differenze di genere nella patologia cerebrovascolare promuovendo lo sviluppo di programmi di ricerca e iniziative di servizi e percorsi che definiscano la medicina centrata sul paziente. L’attenzione alla medicina di precisione e personalizzata rappresenta la chiave di volta per contribuire a colmare il gap di conoscenza sulle differenze di genere nella prevenzione cardiovascolare, favorire l’uso appropriato dei farmaci, promuovere la ricerca clinica e il miglioramento generale del sistema salute con beneficio complessivo nella prospettiva della salute di genere.

Processi gestionali
L’organizzazione assistenziale per processi consiste nell’applicazione di un sistema in ambito organizzativo, che presuppone una esplicita identificazione del processo stesso e delle sue componenti, delle interazioni tra di essi, nonché delle loro modalità di gestione. Il maggiore vantaggio è quello di garantire il governo della continuità assistenziale controllandone la qualità, l’efficacia e l’efficienza.
Uno dei problemi principali di tutte le linee guida è l’implementazione sul territorio nella pratica clinica, in altre parole, la difficoltà a tradurre in azioni pratiche e atti medici competenti, le varie raccomandazioni. Le ragioni di queste difficoltà sono molteplici e vanno dalla scarsità dell’informazione, della formazione e dell’aggiornamento, alla oggettiva impossibilità di applicazione per mancanza di mezzi o di risorse, sino alla non condivisione delle raccomandazioni stesse per disaccordo o scelte differenti.



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