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Resilienza e lutto all'epoca del COVID-19

25/05/20

Il termine resilienza  indica la capacità di un individuo di resistere agli urti della vita senza spezzarsi o incrinarsi, mantenendo e potenziando le proprie risorse sul piano personale e sociale (Oliverio Ferraris, 2003). La resilienza non è una predisposizione naturale che appartiene solo a pochi individui, è  invece una condizione che chiama in causa una molteplicità di elementi, quali: qualità mentali, predisposizioni personali, percezione positiva del proprio sé e strategie di coping. La resilienza può quindi essere considerata come la capacità di affrontare eventi stressanti, superarli e continuare a crescere aumentando le proprie risorse con una conseguente riorganizzazione positiva della vita (Malaguti, 2005).

Studi evidenziano come ciò che non viene riorganizzato ed  elaborato rimanga all’interno di noi sotto forma di rimuginii, disturbi psicosomatici, malattia e disagio.
Tra i diversi traumi a cui l’individuo può essere esposto nell’arco della vita, il lutto è considerato tra gli eventi più stressanti dal punto di vista psicologico.
Tra i vari studi su come si affronta la morte, uno dei più conosciuti è quello delle 5 fasi del lutto della Kübler Ross.  Le distinte fasi del lutto mostrano la successione degli atteggiamenti adottati quando un individuo affronta la morte in modo non patologico. La fissazione ad uno degli stadi può comportare una mancata elaborazione della perdita e creare ancor più sofferenza e, talvolta, psicopatologia.

Negazione: stato iniziale in cui si nega la notizia appresa; si è in uno stato di shock perché la vita è cambiata in un istante.
Rabbia: gli studiosi sono in accordo nell’affermare che la rabbia sia un elemento necessario, parte integrante del dolore ed, in quanto tale, risulta importante poterla esprimere. In quest’ottica questa emozione diviene qualcosa a cui aggrapparsi ed un passo avanti nella guarigione.
Negoziazione: questa fase è una falsa speranza durante la quale si crede di poter evitare o superare immediatamente il lutto attraverso delle negoziazioni (“se questo cambia cambierò anche io”).
Depressione: rappresenta quella sensazione di vuoto che si prova vivendo nella realtà in cui una persona, che era nella nostra vita, non c’è più. In questa fase le persone tendono a isolarsi per vivere i propri sentimenti di disperazione.
Accettazione: in questa fase le emozioni iniziano pian piano a stabilizzarsi e vi è un ritorno alla realtà. Dolore, assenza e cambiamento sono qualcosa con cui l’individuo ha imparato a convivere. È sicuramente un momento di adattamento e ri-adattamento. Si arriva quindi alla comprensione che la persona amata non potrà mai essere sostituita, ma ci si muove, si cresce e si evolve nella nuova realtà.

Da un punto di vista sociologico l’elaborazione del lutto avviene attraverso usanze e riti differenti: vestizione del defunto, cerimoniali religiosi, sepolture, elogi funebri e altri comportamenti che permettono di vivere  ed elaborare la morte in modo coerente alla propria cultura di appartenenza. Ciò costituisce di per sé un fattore protettivo che favorisce il processo di elaborazione del lutto e da una dimensione di significato al dolore.

Tra le varie incertezze che la pandemia COVID-19 ci ha costretti ad affrontare, rinunciare ai riti che permettono di vivere la morte e che facilitano il passaggio alla fase di elaborazione è sicuramente stato uno dei più dolorosi e difficili dal punto di vista emotivo e psicologico. Non concedere alle persone la possibilità di accompagnare i propri cari durante la malattia e la morte ha creato uno stato di “sospensione” in cui elaborare l’evento traumatico e il dolore che ne consegue è risultato, talvolta, impossibile. Inoltre la mancanza di un saluto collettivo non ha consentito l’interazione sociale che permette condivisione emotiva, supporto e riconoscimento  oggettivo dell’evento traumatico.
La mancanza di questo passaggio sta dando vita a nuovi problemi psicologici tra i quali sensazione di disorientamento, dissociazione, ansia e disturbi del sonno; tutti sintomi riconducibili alla sensazione che il defunto sia come sospeso, in attesa di una effettiva collocazione e alla mancata razionalizzazione dell’evento traumatico. Ne deriva uno stato confusionale in cui chi ha subito la perdita non riesce ad elaborare l’idea che la propria vita andrà avanti e si dovrà riorganizzare in virtù della mancanza di un affetto.

Riprendendo il modello di Kubler-Ross come linea guida, è possibile affermare che non esista un modo giusto o sbagliato di attraversare e vivere il dolore e che le sfumature che la sofferenza può assumere siano assolutamente soggettive ed uniche. Questa accettazione dello stato emotivo e delle modalità, talvolta uniche e variabili, con cui esso si esprime può aiutare nel processo di elaborazione del lutto.
All’interno di questo particolare periodo storico si assiste alla difficoltà ad accedere alle proprie risorse personali e alle reti di supporto di cui ciascuno dispone; essere in grado di chiedere aiuto è il primo passo per affrontare, fronteggiare e far emergere le strutture resilienti presenti nella persona sofferente.

In eventi traumatici come questi è utile saper reinventarsi, promuovere nuove modalità di interazione sociale, esprimere le nostre emozioni e prendersi cura di sé. Fino a quando l’emergenza non cesserà e sarà possibile una ripresa graduale della vita a cui tutti siamo abituati, essere in grado di padroneggiare e valorizzare gli strumenti emotivi e cognitivi che ciascuno possiede per fronteggiare il dolore ci permetterà una focalizzazione cognitiva sulla perdita permettendo una elaborazione sana del lutto.
In questa dimensione sospesa, in cui non è possibile far riferimento alle normali reti di supporto e che favorisce confusione e disorientamento, la psicoterapia costituisce una risorsa che aiuta a comprendere il lutto, identificare i processi necessari ad integrare la perdita e dare uno spazio in cui le emozioni possano esprimersi ed esser gradualmente accolte e comprese.

A cura di:  Silvia Finocchi  e di Giulia Anna Mancini



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