Senza una guida, senza un lavoro, senza un futuro – Il ritardo Italiano e la generazione che rischia di scomparire

Analizzando la situazione dei giovani e il loro inserimento nel mercato del lavoro nei paesi del nord Europa e in Italia, il divario tra la situazione nazionale e quello che accade nel resto dell’Eurozona mostra cifre impressionanti. Se in Italia la quota degli occupati tra i 25 e i 29 anni non arriva al 54%, in Francia si attesta al 74,1% e in Germania al 78,3%.
del 17/10/17 -

Nel dialogo e nel confronto ormai costante sulla crisi dell’economia e sulle difficoltà della ripresa italiana, uno dei temi su cui sono maggiormente puntati i riflettori è il ruolo dei giovani, il loro inserimento lavorativo e le loro possibilità per il futuro. Ma a tanto dibattito e tanto affanno sulle risposte che ogni giorno vengono date su questa tematica corrisponde, in realtà, una scarsa conoscenza delle problematiche che stanno alla base di essa.

Analizzando la situazione dei giovani e il loro inserimento nel mercato del lavoro nei paesi del nord Europa e in Italia, il divario tra la situazione nazionale e quello che accade nel resto dell’Eurozona mostra cifre impressionanti. Se in Italia la quota degli occupati tra i 25 e i 29 anni non arriva al 54%, in Francia si attesta al 74,1% e in Germania al 78,3%. Persino la Grecia, che spesso viene considerata un fanalino di coda dal punto di vista dello sviluppo economico, riesce a fare meglio di noi con una quota di occupati tra i 25 e i 29 anni del 56,1%. Scendendo nel dettaglio dei profili dei lavoratori e del loro inserimento del mercato del lavoro, nel Regno Unito la quota di giovani laureati che hanno un contratto stabile entro un anno dalla laurea tocca l’85%, in Danimarca l’80%.

Sono percentuali quelle dei paesi del nord Europa che appaiono lontanissime dalla situazione italiana. La stessa distanza, ad un’analisi più approfondita come quella condotta da Maurizio Ferrera, editorialista del Corriere della Sera, che intercorre tra i modelli di transizione scuola-lavoro che da anni vengono applicati nei paesi scandinavi e centro-europei e il “modello” italiano. Nel nord Europa, programmi scolastici finalizzati all’inserimento nelle imprese, orientamento, sostegni agli studenti e sussidi abitativi sono ormai la norma. Metà dei giovani del nord Europa lascia la casa dei genitori tra i 18 e i 25 anni, l’inserimento lavorativo è gestito efficacemente dai servizi pubblici ed entro i 30 anni si ha normalmente il primo figlio.

E l’Italia? Come già evidenziato da Ferrera e sostenuto anche dal Centro Studi Economico Finanziario ESG89, due sono i punti deboli che condizionano inevitabilmente il destino dei giovani lavoratori italiani: da una parte l’iperfamilismo, frutto non solo della tendenza storica delle famiglie italiane al mantenimento del nucleo ma anche della nuova incertezza data dalla crisi, a cui i genitori rispondono preferendo sacrificarsi in prima persona piuttosto che costringere i figli ad indebitarsi; dall’altra la quasi totale assenza di sistemi di inserimento nel mondo del lavoro efficaci e in grado di orientare, fin dalla scuola media inferiore, i futuri lavoratori alle scelte più consone sia per le loro attitudini che per le esigenze del mercato del lavoro.

Ancora una volta lo stato è un protagonista “semi-assente”. Riforme come l’introduzione dell’alternanza scuola-lavoro e dei programmi formativi come Garanzia Giovani arrivano in ritardo rispetto al resto d’Europa e alle esigenze quotidiane di imprese e mercati, e non sempre sono supportate nella maniera più efficace, sia in termini di risorse economiche che umane. Ridurre la tassazione sulle assunzioni dei giovani è utile, ma non sufficiente. Non basta una riforma fiscale per sanare un divario tra domanda e offerta del mercato del lavoro che riguarda la formazione e l’orientamento fondamentali per rendere i giovani appetibili per le aziende e in grado di contribuire allo sviluppo non solo economico, ma anche sociale del paese.

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