Sono ammissibili in giudizio le registrazioni delle conversazioni con il datore di lavoro?
L’ orientamento prevalente della Corte di Cassazione, intervenuta più volte sul tema, si mostra favorevole all’utilizzabilità delle registrazioni, anche telefoniche,
Requisito essenziale è che la registrazione venga realizzata da un soggetto che partecipi effettivamente alla relativa conversazione, senza la necessità di una preventiva autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria, in quanto tali riproduzioni non vengono ritenute contrastanti con la la libertà di comunicazione della persona.
Nel caso in cui la registrazione venga effettuata da un terzo, risulteranno integrati gli estremi di una vera e propria intercettazione (caratterizzata dall’estraneità al dialogo del captante), pertanto utilizzabile come mezzo di prova soltanto qualora realizzata da un’autorità inquirente, nel rispetto delle relative disposizioni del codice di procedura penale.
I giudici di legittimità hanno anche chiarito che, nel caso in cui il datore di lavoro disconosca la conformità ai fatti o alle cose delle registrazioni, quest’ultime risulteranno degradate, da piene prove, a mere presunzioni semplici, con la conseguente necessità di essere avvalorate da ulteriori elementi, anche indiziari. Il disconoscimento, inoltre, dovrà essere “chiaro, circostanziato ed esplicito (dovendo concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta)” e dovrà avvenire nella prima udienza, o nella prima risposta successiva all’acquisizione delle registrazioni (Cass. n. 9526/2010).
Sintesi estrapolata da un articolo pubblicato sul sito avvocatidirittodellavoro.it
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