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Topi e ratti: emozioni complesse

26/03/12

Topi che si rifiutano di mangiare se facendolo causano dolore a un proprio simile, topi angosciati, topi che seguono (o violano) criteri di condotta comportamentale...

Vi propongo alcuni passaggi tratti dal bel libro di Mark Bekoff e Jessica Pierce, Giustizia selvaggia. La vita morale degli animali, che introduce alla problematica della moralità negli animali riportando aneddoti, dati e studi etologici a riguardo. (Alcuni esempi potrebbero non piacervi, dato che sono tratti da esperimenti condotti in laboratorio).

Prendiamo in considerazione i topi e i ratti, come da titolo, animali di cui si fa un uso estremo nell'ambito della sperimentazione sugli animali.

Nel 1959, molto tempo prima che Langford scoprisse l'empatia nei topi, Russell Church [...] pubblicò un articolo [...] intitolato Reazioni emotive dei ratti al dolore altrui. Church aveva allestito un esperimento in cui i ratti venivano addestrati a premere una leva per ottenere del cibo come ricompensa. Quindi, in una gabbia adiacente, aveva approntato una "stanza della tortura", il cui pavimento era una griglia elettrificata su cui avrebbe poggiato le delicate zampe degli animali. Quando un ratto, nella prima gabbia, premeva la leva, la scarica di corrente, percorrendo la griglia, raggiungeva la gabbia adiacente e il ratto che la occupava prendeva la scossa. Church osservò che i ratti non premevano la leva per ottenere il cibo, se vedevano che un consimile riceveva la scossa.

Nell'esperimento un ratto, anche se affamato, si rifiuta di mangiare se per ottenere il cibo deve elettrificare un suo simile.

Nel '62 viene pubblicato lo studio di Rice e Gainer L'altruismo nel ratto albino, che dimostra come i ratti tendano ad aiutare i consimili posti in situazioni angoscianti.

Un ratto veniva sospeso in aria tramite una bardatura e, in questa posizione, solitamente squittiva e si contorceva, mentre il ratto nella gabbia vicina poteva farlo scendere premendo una leva. La vista di segnali di angoscia nell'individuo tenuto sospeso faceva sentire a disagio l'altro ratto che agiva per alleviarne le sofferenze.

Questi esempi sono portati avanti nel libro come dati a riprova della possibilità di provare empatia da parte dei roditori.
Un altro, macabro, disgustoso esperimento è stato effettuato in anni successivi da Balcombe, Barnard e Sandusky. Non mi soffermo su questo: i topi e i ratti mostrano reazioni fisiologiche di forte stress quando assistono alla decapitazione di un loro simile, e quando è loro avvicinata della carta imbevuta del sangue degli individui decapitati.
Nel 2006 uno studio non dissimile di Dale Langford pubblicato su Science arriva a dimostrare che i topi provano angoscia nel vedere un altro topo soffrire.
E a ulteriore riprova di empatia in questi animali vi sono altri esperimenti riguardanti l'"effetto testimone": i topi soffrono di più se viene loro inflitto del dolore dopo che questo dolore è già stato inflitto ad altri, e loro vi hanno assistito.

Spostiamoci su un altro argomento, quello dell'altruismo reciproco generalizzato.
Nel 2007

i media scientifici diedero ampia risonanza a uno studio degli zoologi Claudia Rutte e Michael Taborsky in cui si asseriva che i ratti mostrano ciò che essi chiamarono "altruismo reciproco generalizzato", ovvero la capacità di fornire aiuto a un individuo sconosciuto e non consanguineo dopo aver sperimentato su se stessi l'aiuto di un ratto estraneo. Rutte e Taborsky addestrarono dei ratti a un esercizio di cooperazione consistente nel tirare un'asticella per far ottenere del cibo a un compagno. Gli individui precedentemente aiutati da partner che non conoscevano avevano una maggiore probabilità di aiutare gli altri. Prima di questi studi si riteneva che l'altruismo reciproco generalizzato fosse una caratteristica esclusiva degli esseri umani e forse degli scimpanzé.

Secondo Mark Bekoff una situazione estremamente utile per studiare e valutare la sensibilità e la "moralità" degli animali è quella del gioco. Nel gioco fra i ratti abbiamo tutta una serie di atteggiamenti che richiedono l'osservanza di alcune regole, premi/punizioni per chi le segue o le infrange, e quindi una distinzione fra comportamenti considerati corretti e altri considerati scorretti:

Sergio Pellis ha scoperto che i ratti, durante una sequenza ludica, si controllano a vicenda, adattando il comportamento per mantenere il clima di gioco. Quando viene meno l'osservanza delle regole si interrompe anche l'interazione giocosa, che, quindi, persino nei ratti, ruota intorno alla correttezza e alla fiducia. In base alle osservazioni di Pellis, nei ratti adulti gli individui subordinati dirigono gli atti ludici verso quelli dominanti (poggiando il muso sulla loro collottola oppure avvicinandolo senza stabilire il contatto fisico), cercando di mantenere un rapporto simmetrico così da non farsi male e da far capire al ratto dominante che si tratta di gioco e non di lotta. I ratti dominanti tendono a sottrarsi a questi incontri con tattiche difensive da adulti, mentre i subordinati, quando subiscono un attacco per gioco, si girano pancia all'aria nella posizione difensiva dei cuccioli.

Gli autori scrivono

È probabile che, durante il gioco sociale, mentre si divertono in condizioni di relativa sicurezza, gli individui apprendano i criteri tramite cui riconoscere quali comportamenti sono accettabili, per esempio quanto può essere forte il morso, quanto rude l'interazione e in che modo risolvere i conflitti senza dover interrompere l'interazione giocosa.
La correttezza e la fiducia in un analogo comportamento da parte degli altri vengono premiate. È possibile inoltre che gli animali generalizzino i codici di comportamento appresi durante il gioco con determinati individui ad altri membri del gruppo e ad altre situazioni in cui entra in campo la giustizia, quali la reciprocità del grooming, la condivisione del cibo, la negoziazione del rango sociale e la difesa delle risorse. L'ammissibilità delle azioni è regolata da codici di condotta la cui esistenza dice molto sull'evoluzione della moralità.

Sembra incredibile parlare di empatia e comportamenti morali nei topi e nei ratti, eppure l'etologia più recente sta riservando grandissime sorprese su una quantità di animali non umani semplicemente enorme.

Putroppo però, come abbiamo visto, gli studi sull'empatia fra roditori sono spesso spaventosi, nonostante si possa arrivare a corroborare certe ipotesi senza ricorre al dolore e alla tortura psico-fisica. Per Bekoff e Pierce questi esperimenti sono "orribilmente crudeli", e inoltre

è profondamente grotteco eseguire un tal genere di esperimenti quando una buona biologia evoluzionistica, in nome della continuità evolutiva, ci dice che gli animali posseggono queste qualità. L'ironia sta poi nel fatto che i ratti e i topi, le specie più frequentemente utilizzate nella ricerca, presumibilmente proprio perché in loro accadono meno cose "nella testa" e "interiormente" rispetto ai primati, si rivelano decisamente più dotati di quanto ipotizzato dai ricercatori.


Oltre alla loro comprovata "intelligenza" (anche se sarebbe sempre meglio parlare di "intelligenze", distinguendo vari tipi di intelligenza) i roditori a noi più comuni dimostrano socialità complessa, capacità empatiche, comportamenti morali.
Ovvero: più di quanto si è mai stati inclini a concedere loro.



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