SOCIETA
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Uomini e umanità contro la natura

22/10/20

Se si vuole sbagliando, imputare all’umanità intera la colpa dei cambiamenti allora si deve pensare all’umanità intera nell’ affrontare i problemi insorgenti. Non esiste la ricetta, unica e migliore ma l’obiettivo è comune: adattarsi e cambiare per sopravvivere. Dalle scelte politiche, sociali ed economiche, dipendono la capacità di adattamento e la mitigazione degli effetti. I giovani hanno ragione.

Il sistema floreale e di conseguenza quello faunistico è sostenuto dalla luce, non tanto dal calore che ne è un effetto collaterale, spesso negativo come nei deserti.
Le fasce climatiche sfumano l’una nell’altra cambiando i limiti e le connessioni in funzione dell’inclinazione dell’asse terrestre, variabile su un periodo ciclico di circa ventiseimila anni detto precessione degli equinozi. In funzione della rotazione e dell’inclinazione dell’asse, il sistema ecologico cioè degli equilibri sul pianeta è costantemente dinamico, in rapporto con l’azione gravitazionale e radiante del sole e della luna, organizzandosi in ciclicità di vario periodo.
È abbastanza certo che le emissioni di gas serra, aerosol e dei loro precursori dal periodo preindustriale ad oggi non siano la sola causa, di un riscaldamento globale come quello previsto di 1,5°C al 2050 poiché esistono altri fattori radianti su cui non si può avere controllo, tuttavia il riscaldamento già dovuto alle emissioni antropogeniche attuate e all’eventuale loro continuazione, è un dato di fatto.
Se la geologia è una scienza uno dei suoi principi si chiama ‘attualismo’: ciò che è già stato può tornare ad essere, ciò che è già avvenuto può tornare a succedere, almeno in modo molto simile.
Nei tre miliardi di anni da quando è comparsa la vita e nell’ultimo milione in cui è comparsa la specie poi diventata umana di cose ne sono successe e tante.
È l’incremento della disuguaglianza sociale tra aree differenti del mondo, il cospicuo aumento della povertà in molte aree del mondo e nelle megalopoli il vero problema da affrontare e decisamente tentare di risolvere.
Solo un sistema di adattamento sociale drastico, un cambiamento radicale dei percorsi di sviluppo climaticamente resilienti nelle varie aree diversamente colpite, può affrontare il problema.
I popoli svantaggiati ora lo saranno sempre di più ma avrebbero da insegnarci molto essendo certamente più vulnerabili ma anche più resilienti.
La civiltà occidentale può imparare molto da quelle marginali, indipendenti ancora, in parte, dall’immenso fabbisogno energetico e tecnologico di cui noi ormai siamo schiavi e dipendenti.
Diventano di primaria importanza interventi internazionali, condivisi, che agiscano sulla giustizia sociale e l’equità non solo impulso alla crescita continua dell’economia commerciale e produttiva.
Occorrerebbe tornare ad essere popolo unito di uomini e non solo di consumatori.
Riduzione dell’inquinamento di aria acqua e suolo, processi integrativi delle culture differenti obbligatoriamente destinate all’incontro, devono divenire un mantra costante, un obiettivo comune.
I giovani lo hanno capito, i loro movimenti ecologisti, per quanto manovrati e strumentalizzati, lanciano un messaggio concreto e reale: se non si cambia ci si estingue o almeno si vivrà male e sempre peggio.
L’impatto locale dei cambiamenti climatici è differente nei diversi contesti geofisici e di sviluppo. I sistemi agronomici sono parzialmente compromessi come quelli di acquacultura. Gli effetti sociali sulle popolazioni delle aree interessate cui si uniscono guerre e conflitti sono devastanti aumentando la loro necessità di migrazione.
Inquinamento è il corollario della vita ma ogni eccesso è deleterio. La natura presenta sempre il conto per ripristinare gli equilibri compromessi.
Le pandemie ricorrenti, dalla peste alla spagnola, dall’ebola, all’Aids, al coronavirus ne sono un esempio.
Le droghe pesanti di origine antropogenica usate per la guerra e anche la tecnologia con diffusione capillare, creano dipendenza a scopi economici e riducono la reattività delle persone.
La vulnerabilità dei sistemi sociali differisce secondo l’ambiente in cui si strutturano e questo succede tra nazioni e stati, tra regioni differenti delle nazioni, tra città e campagne, tra ambienti costieri e montani.
Non esiste la ricetta, unica e migliore ma l’obiettivo è comune: adattarsi cambiando per sopravvivere o almeno vivere bene.
L’Europa come le Americhe sono state popolate dalle migrazioni imposte dalla necessità e dai cambiamenti climatici. Ora è ancora!
Occorre collaborazione a livello planetario: i giovani hanno ragione. Occorre creare un equilibrio sostenibile tra il benessere sociale più ampio possibile, la prosperità economica maggiormente diffusa ed equa e la protezione ambientale a salvaguardia della biodiversità.
Si vive meglio in un ambiente migliore, più naturale, più sano: a ciascuno è affidato il compito di cooperare ma alla politica quello di pianificare ed agire. Occorre coinvolgere pienamente le comunità, in ogni ambito, in un sistema integrato supportato dall’educazione, dall’informazione, dalla ricerca scientifica. Solo questo può avviare davvero ed accelerare cambiamenti comportamentali che siano coerenti con l’adattamento necessario alle mutate condizioni climatiche.
Qualsiasi cambiamento rapido, (un secolo di vita umana) come l’aumento o anche la diminuzione, del riscaldamento globale ha una influenza sull’utilizzo del suolo, sulla salute, dunque sulla qualità e gli stili di vita, sullo stato di benessere fisico e sociale delle persone.
Dalle scelte politiche, sociali ed economiche, dipendono la possibilità di adattamento e la mitigazione degli effetti.
Se si vuole vigliaccamente, imputare all’umanità intera la colpa dei cambiamenti, allora si deve pensare all’umanità intera nell’affrontare i problemi insorgenti.



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