ARTE E CULTURA
Comunicato Stampa

La lingua italiana in una prospettiva di genere

14/03/22

Breve riassunto sul webinar organizzato dalle università di Firenze e Udine e dal Comitato Unico di Garanzia, con il patrocinio dell’Accademia della Crusca, su “La lingua italiana in una prospettiva di genere”, in data 1 Marzo 2022.

FotoIn data 1 Marzo 2022, si è tenuto un webinar organizzato dalle università di Firenze e Udine e dal Comitato Unico di Garanzia, con il patrocinio dell’Accademia della Crusca, su “La lingua italiana in una prospettiva di genere”, che ho seguito con molta attenzione e di cui riporterò i principali punti affrontati in questo articolo. Il webinar è stato una risposta alle varie sperimentazioni e proposte degli ultimi tempi per l'utilizzo del simbolo della ə al posto del maschile non marcato come simbolo di inclusività per le persone di genere non binario.

Il primo intervento è stato quello del Prof. Marco Biffi, che come esperto in storia della lingua italiana, ha esposto con chiarezza la problematica culturale che stiamo vivendo, ovvero quella dell’inclusione sociale delle persone di genere non binario, e come la lingua non può esserne la cura. Il Prof. Biffi pone infatti l’accento su un dato importante e che in pochi conoscono: la cultura di quasi il 50% degli italiani si ferma alla terza media, dove spesso per queste persone l’italiano è una seconda lingua, giacché la prima è costituita dal loro dialetto. Questo significa che nel momento in cui si attuerebbe un cambiamento morfologico, come la ə al posto del maschile non marcato, questo sarebbe devastante per tutte queste persone che hanno acquisito la lingua italiana in maniera non poco faticosa. La lingua, infatti, non cambia a colpi di plebisciti, ma a seguito di cambiamenti naturali, e non ideologici e radicali imposti.

Il secondo intervento è toccato a Federigo Bambi, docente di lingua giuridica e accademico della Crusca, il quale invece ha affrontato la questione del punto di vista giuridico, considerando l’educazione costante alla scrittura a cui è esposto chi lavora in questo ambito. La lingua è infatti un organismo vivente e deve fare i conti prima con quella parlata e solo poi con quella scritta, che ne è una sua corrispondenza grafica e visiva. Cosa significa questo: che non si può usare un simbolo scritto come la ə che non corrisponde a nessun suono parlato, perché renderebbe la lingua artificiosa, andando contro ad uno dei suoi principi fondamentali che è quello dell’economia.

Le questioni di genere in ambito linguistico però non nascono oggi, ma risalgono già ai movimenti femministi degli anni ’70, e questa tematica è stata trattata dalla Professoressa Cecilia Robustelli, la quale ha giustamente fatto notare che in passato le proposte linguistiche femministe non sono arrivate alla linguistica perché non era a quella che miravano, bensì alle donne, nelle quali volevano stimolare una reazione. Quello che succede oggi, invece, è completamente diverso, poiché queste proposte non sono sostenute da nessuna teoria scientifica, in quanto nascono da ambienti non addetti ai lavori: I discorsi avanzati sono infatti insensati, perché la lingua è strumento di comunicazione e travisarla in questo modo significa svilirla della sua funzione comunicativa.

L’analisi del Professore Nicola Strizzolo invece è stata di natura sociologica e si è soffermata soprattutto sul meccanismo psicologico della proiezione, ponendosi dunque questa domanda: essendo il simbolo della ə indefinito e da riempire, cosa ci si proietterebbe dalla propria indefinizione di genere? Il Professore ha dunque fatto delle ricerche, immaginando che la ə fosse una persona e come quindi un corpo indefinito, nel quale si assembra la propria immagine privata per farla diventare pubblica, apparisse nell’immaginario collettivo, nel caso particolare limitandosi al solo mondo dello spettacolo e quindi ai maggiori artisti di genere non binario del panorama italiano. Il risultato è stato che questi corpi sarebbero stati quasi tutti di uomini, e questo come conseguenza di una proiezione. E dunque la domanda sorge dunque spontanea: in una società dove tutti i corpi da riscrivere sono di base maschile, cosa verrebbe proiettato sulla ə o altri simboli?

Nella seconda parte del convegno si è passati dalla teoria alla pratica, dove diversi esperti e ricercatori hanno proposto alcune strategie linguistiche da poter utilizzare per garantire eguaglianza ed inclusione di genere, specificando che il linguaggio giuridico ed amministrativo non può assolutamente essere il campo per la sperimentazione. Queste strategie di non marcatura del genere possono essere l’uso di nomi generici (“il corpo docente” invece di “i docenti”), le forme passive, così come il maschile non marcato che non fa riferimento al genere, oltre all’uso corretto della terminologia utilizzata dall’ambiente LGTB.

La conclusione è stata che formazione, cultura e rispetto per l'altro sono i tre ingredienti principali per il corretto uso di un linguaggio inclusivo: non basta la cultura se non c’è sensibilità e messa in discussione delle proprie certezze, così come non regge una sensibilità senza una formazione di base. Il Dottor Francesco Bilotta ha infatti sottolineato quanto siamo ancora lontani dalla messa in discussione del patriarcato, quando molti uomini vengono attaccati solo perché tali e oggetti di una proiezione, che però non fa altro che alimentare le stesse e vecchie dinamiche di potere. Dal suo canto, però, la lingua italiana offre molto spazio d’azione per l’inclusività, il che significa che siamo noi tutti in primis che dobbiamo metterci in discussione e stare attenti a non cadere in stereotipi e pregiudizi frutto dei nostri bias cognitivi, perché solo un reale lavoro su di sé ci può portare ad un corretto autocontrollo e ad un suo conseguente miglioramento della qualità delle nostre comunicazioni.





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