ARTE E CULTURA
Comunicato Stampa

Antonello Silverini in mostra alla Triennale di Milano (2017)

20/11/17

Gli illustratori de «la Lettura» del Corriere della Sera espongono le loro opere nella mostra "Il Colore delle Parole" nell'ambito dell'importante appuntamento milanese.

FotoDa mercoledì 15 novembre 2017 sono in mostra alla Triennale di Milano le opere degli illustratori dell'inserto culturale "La Lettura" del "Corriere della Sera", tra i quali è Antonello Silverini. Su di lui lo storico dell'arte Carmelo Occhipinti, professore di storia della critica d'arte all'Università di Roma "Tor Vergata", ha da poco pubblicato un libro, intitolato «Antonello Silverini. Quello che si vede» (Roma, collana "Monografie" di "Horti Hesperidum", 2017), di cui è qui sotto riportato il brano riguardante le illustrazioni per il "Corriere della Sera" (C. Occhipinti, "Antonello Silverini. Quello che si vede", Roma, 2017. pp. 16-17):

«Prendete Sciascia o Pasolini: come ci guardano, umanissimi, che sembra pure che respirino. Prendete Kundera oppure Roth (fig. 8), Rushdie, Hoeullebecq che hanno ormai formato una intera galleria dentro il Corriere della Sera: i loro volti sono tutti rappezzati, rattoppati, maldestramente scontornati e dunque non sempre integri, eppure sono loro, vivi, davanti a noi, a sorvegliarci con la loro penetrante espressività, chi facendo una smorfia, chi un ghigno, chi standosene sovrappensiero. Ma Silverini è sempre lì, giocosamente partecipe, interprete acuto pure quando si esercita nelle restituzioni di costume e di ambiente. Mai vi troviamo niente che paia grottesco: l’uso stesso del collage non va inteso come ‘scomposizione’ di forme, bensì come ‘ricostruzione’ di sembianze, come ricerca psicologica di sfaccettature di ciascuna personalità, altresì come confronto tra punti di vista e approcci diversi.
Prendete il ritratto di Proust, fatto nel 2013 per il Corriere della Sera ed esposto nel 2014 alla mostra Fuori dal quotidiano: si tratta di collage digitale di pezzi di fotografie vistosamente de-teriorate, ingiallite e strappate, montate in modo da restituirci anzitutto, seppure costringendolo dentro un ovato, il volto riconoscibilissimo dello scrittore. Oh questi occhi, quanto fanno pensare ai collages della Höch: eppure cambia completamente l’atmosfera, che qui diventa incantata e piacevolmente musicale perché, ripeto, Silverini vuole riconciliarci con la tradizione, farci ritrovare il nostro tempo perduto, la nostra infanzia. Vediamo allora il corpo dello scrittore assottigliarsi come un foglio di carta che si infila tra le pagine del grande libro della Recherche al cui interno Proust continua tuttora a vivere. Adesso sulla copertina del romanzo sembra che stia aprendosi un gorgo, che prima o poi finirà per inghiottire le ninfee che galleggiano sullo stagno. Una clessidra. Una bustina di té, tutta zuppa. Le conchiglie, piuttosto che le madeleines le quali, in effetti, dovevano sembrare come "lo stampo della valva scanalata di una conchiglia di San Giacomo". Infine lo sfondo stupefacente, luminoso, indefinito, senza orizzonte, che ogni tanto sembra diventare muro intonacato su cui una finestra si apre verso il buio. Vi si posano, non si sa come, alcuni libri antichi, uno dei quali galleggia ancora, aperto, sospeso per aria [...]».



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