ARTE E CULTURA
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Drammaterapia e psicosomatica: leggere le ombre

11/03/11

Attore ed Interpretazione, un laboratorio virtuale e fisico della riproduzione del mondo e dei suoi significati condivisi.

Nel corso di un Laboratorio sulla "Psicosomatica", tenutosi lo scorso anno, abbiamo discusso di quanto per l’attore –e maggiormente l’attore in drammaterapia- sia importante esperire ed insieme riflettere cosa del corpo influenzi la psiche e quanto quest’ultima ingeneri riflessi somatici. Il codice che ho appena usato –essenziale sottolinearlo- è in realtà obsoleto, in quanto riflette la superata nozione di corpo e psiche quali unità distinte, con una reciproca influenza che può essere misurata, valutata, persino curata. Le cose non stanno effettivamente così: l’unità corpo e psiche è indisgiungibile e dunque inseparabile nell’analisi di qualsiasi fenomeno riguardi l’individuo. La nostra mente riassume costantemente l'esperienza del corpo. E’ piuttosto la fonte dei segnali (apparentemente solo fisici o solo psichici) ad attrarre la nostra attenzione, ad addolorarci o darci piacere, ad essere il punto di partenza per la nostra riflessione; in realtà ogni fenomeno è psicosomatico e dunque somato-psichico. Tuttavia, dato che in questa sede si parla di quanto l’attore può osservare ed utilizzare attraverso le proprie percezioni, sensazioni ed emozioni e dato che siamo tutti lontani dall’aver raggiunto livelli di coscienza così “sottili” da percepire ogni fenomeno in noi come “unitario” (per dirla con Maslow, ci situiamo ancora a gradini piuttosto bassi della sua “scala di valori” e dunque giudizio), può tornare utile, strumentalmente, parlare di psicosomatica. Far riflettere l’attore dramma terapico sul fatto che se incontra una “resistenza” alla interpretazione di un dato ruolo, di una determinata parte, nessuna tecnica da sola potrà aiutarlo a superare quello che viene giudicato un apparente “ostacolo”, se invece non lo interpreterà come un utile “segnale al confine” che gli sta indicando qualcosa di lui, momentaneamente incomprensibile.
Ho indicato questo “inciampo” del percorso attoriale “segnale al confine”, ma di quale confine stiamo parlando? Non si allude solo al giudizio di “significativo”, giacchè ogni errore di per sé è comunque significativo, ed è quindi bene fare un piccolo passo indietro, verso la teoretica della dramma-terapia nel suo aspetto antropologico e psicodinamico. Confine è un limite astratto che qui adottiamo al posto di “luogo oltre il quale finisce il conosciuto” e, dato che parliamo di “segnale”: qualcosa ti sta avvisando che sei giunto alla soglia del territorio che tu conosci. Cos'è che invia questo segnale, quale il mittente? Si è realizzata una dinamica inconscia che ha posto l’individuo nell’imbarazzo “formale” (=conscio) di trovare risposte adattive alla situazione in atto, proprio perché qualcosa di “irrisolto”, “rimosso” o semplicemente mai affrontato è giunto a sollecitare sensi ed attribuzione di senso nell'area che noin è sotto il dominio della coscienza ordinaria. In dramma-terapia, il processo dramma- terapico lavora proprio in questa dimensione: la pratica ritualistica di esercizi atti a far esperire parti sconosciute o nascoste del proprio Sè induce al confronto con zone inesplorate della nostra psiche e, sollecita fantasmatiche che inizialmente possono male coniugarsi con il "copione" in questione, quello conosciuto di noi stessi, ovvero della parte in prescrizione performativa. Quello che ho definito “imbarazzo” coglie l’attore improvvisamente, nel silenzio della sua consapevolezza, ma a volte nel fragore di quelli che ora possiamo per comodità definire riflessi “psicosomatici”: il pianto, l’ilarità, persino la noia, il sonno, la stanchezza, l’eccitazione, il rapimento verso modificazioni più o meno importanti dell’ordinario stato di coscienza indicano che vi è un “tentativo di catarsi” in atto, il, cui esito non è certo, ma sicuramente importante ed utilizzabile. Tutto questo sia nella dimensione individuale che gruppale della dinamica fisica e psicologica.
Secondo quanto brvemente esposto, di Psicosomatica parla il corpo e l'anima dell'attoreintomo fisico, sono tutte psicosomatiche le nostre emozioni esp mentre apprende e mentre performa.
Il corpo dell’attore non è un contenitore di emozioni, né quest’ultime possono ovviamente esistere senza il suo corpo. L’attore che recita è dunque l’espressione figurata (ma sensibile e vivente) di quanto la realtà psicosomatica sottenda l’intimo collante tra il nostro gesto ed il “significante”. Egli è simulacro dell’esperienza umana, un cristallo che si offre specchio alla nostra presenza, che fa potenzialmente vibrare allunisono chi assiste. Ciò di cui si è "spettatori", in effetti, è lo “spettacolo” del teatro, quell’incontro assolutamente partecipativo tra recitante e pubblico (Grotowsky), incontro “costitutivo” intendo dire. Il processo dramma terapico scava, esplora e porta alla luce attraverso passaggi e percorsi che sono psichici e fisici e relazionali. Lo spazio delle significazioni allora si estende oltre l’anima ed il corpo del soggetto, permeando e modulandosi nell’esperienza con l’altro. Anche questo spazio più dilatato diventa psicosomatico, alla stessa stregua di quanto lo è, per un soggetto allergico alla lattuga, leggere la parola “lattuga” su una rivista. Le nostre "crisi allergiche", nel lavoro della drammaterapia, ci parlano di noi separati o negati, inespressi. Guai a dare un antistaminico, peggio che mai il cortisone. Questo aiuterebbe perversamente a sopportare per sempre il compromesso delle malattie dell’anima.
“Perché la psichiatria organicista, quella che impiega i farmaci per intenderci, utilissimi, anzi in alcuni casi indispensabili per alleviare le condizioni di chi soffre, non ascolta con una certa continuità e frequenza le parole che sgorgano dalla sofferenza e che riproducono in modo drammatico le condizioni d'esistenza di ciascuno di noi, e in modo vertiginoso alcuni abissi che solo l'arte, la poesia, la musica, la mistica fanno dischiudere, chiedendo spesso il sacrificio dell'artista, del poeta, del musicista, del mistico?”.
(Umberto Galimberti. Scoprire Il dolore dell'anima,“"La Repubblica", 12 febbraio 2007)



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