ARTE E CULTURA
Comunicato Stampa

I giorni della civetta: Mario Francese

14/06/18

A Reggio Calabria si è svolta una conversazione sulla figura dell'uomo e del giornalista Mario Francese, vittima di mafia. L'incontro, organizzato dal Circolo Culturale „L'Agorà” rientra nel programma denominato „I giorni della civetta” che è il filo conduttore di una serie di incontri che ha per protagonisti diverse figure che si sono battute per il trionfo della legalità. Il titolo ricalca al plurale il romanzo che diede la fama a Leonardo Sciascia “Il giorno della civetta”. Da queste premesse il nuovo appuntamento dedicato al giornalista Mario Francese che venne ucciso a Palermo la sera del 26 gennaio 1979 per “lo straordinario impegno civile con cui la vittima aveva compiuto un’approfondita ricostruzione delle più complesse e rilevanti vicende di mafia degli anni Settanta”.

Venerdì 8 giugno si è svolto a Reggio Calabria un incontro, a cura del Circolo Culturale „L'Agorà” avente come tema „I giorni della civetta: Mario Francese”. „I giorni della civetta” è il filo conduttore di una serie di incontri organizzati dal Circolo Culturale „L'Agorà” che ha per protagonisti diverse figure che si sono battute per il trionfo della legalità. Il titolo ricalca al plurale il romanzo che diede la fama a Leonardo Sciascia “Il giorno della civetta”. Da queste premesse il nuovo appuntamento dedicato al giornalista Mario Francese che venne ucciso a Palermo la sera del 26 gennaio 1979 per “lo straordinario impegno civile con cui la vittima aveva compiuto un’approfondita ricostruzione delle più complesse e rilevanti vicende di mafia degli anni Settanta”. Quella fu l'ultima volta che Mario Francese ebbe salutare amici e colleghi della redazione parlermitana del “Giornale di Sicilia” con il suo classico "Uomini del Colorado, vi saluto e me ne vado". Mario Francese, giornalista di punta del Giornale di Sicilia, reo di aver pubblicato un’inchiesta sulla diga Garcia (350 miliardi stanziati da Regione e Cassa del Mezzogiorno per espropriare le terre comprate a dieci volte di meno da Nino e Ignazio Salvo e Totò Riina). Si scoprirà poi che l’assassino è Leoluca Bagarella. Nato a Siracusa , si trasferì a Palermo dove completò gli studi liceali per proseguire con quelli universitari. Nel campo giornalistico inizia la sua avventura prima come telescriventista all’agenzia Ansa, diventando in seguito corrispondente de «La Sicilia» di Catania, per il quale scriveva di cronaca nera e giudiziaria. Successivamente a «Il Giornale di Sicilia» dove ebbe ad interessarsi alla cronaca giudiziaria. A far data dalla strage di Ciaculli (attentato dinamitardo avvenuto il 30 giugno del 1963 nei pressi di Palermo, dove persero la vita 4 uomini dell'Arma dei Carabinieri, 2 dell'Esercito Italiano, e un sottufficiale del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza) Mario Francese fu in prima linea nell'analisi della sfera della malavita organizzata siciliana. Il suo fu uno dei primi esempi di «giornalismo investigativo». Questi alcuni de dati che sono emersi nel corso dell'incontro organizzato da Circolo Culturale „L'Agorà”, al quale ha partecipato il giornalista Fabio Papalia (direttore della testata on line Newz.it). Nel corso della conversazione sono stati letti i saluti da parte del Presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci che ha evidenziato che „la vita e le opere di personaggi come Mario Francese rappresentano una importantissima testimonianza, non soltanto del coraggio e dell'amore per la verità di cui i Siciliani sono capaci, ma anche del prezzo, tragico, altissimo, e spesso gravido di conseguenze anche "ulteriori" – tragedie nelle tragedie – che essi sono disposti a pagare in nome della legalità. „ .
Inoltre, e non per ordine d'importanza il saluto/testimonianza da parte di Giulio Francese, presidente dell'Ordine dei Giornalisti della Sicilia, nonchè figlio di Mario che nella sua toccante testimonianza ha voluto ricordare la figura del padre e quella del fratello Giuseppe che „ha avuto un ruolo fondamentale per fare riaprire il processo, ha riletto tutte le carte di papà, le ha trascritte, catalogate. Si è costruito una sua robusta cultura sulla mafia e, nello specifico, sui corleonesi, è diventato giornalista perché gli altri giornalisti tacevano, ha scritto, ha fatto da pungolo ai magistrati che alla fine, dopo 20 anni dall'omicidio, su nostra richiesta, hanno riaperto l'inchiesta e celebrato un processo che ha portato alla condanna di mezza cupola di Cosa nostra. Giuseppe però quella lotta con se stesso e contro tutti l'ha pagata, si è stremato in questa rincorsa alla verità che era diventata la sua missione, la sua ragione di vita. La sentenza, la sua vittoria, non ha cancellato il suo dolore e il grande vuoto che gli è rimasto dentro. E si è suicidato, forse pensando di andare finalmente a raggiungere papà.”

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