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I poeti di vico acitillo

ALESSANDRO FO visto da Ninnj Di Stefano Busà

I Poeti di Vico Acitillo, di Alessandro Fo, Poetry Wave, Napoli 2009

di Ninnj Di Stefano Busà

D’incomparabile bellezza e stile queste poesie di Alessandro Fo. Hanno insieme la tenerezza e l’asprezza di una carne dilacerata che si va ricomponendo da sé, si va richiudendo dalla sua stessa cicatrice, dalla pacata dolenzìa di un reperto appartenuto a non so chi o a che cosa.
Enigmatica, profonda, abissale, ma anche magmatica, estrema, avventurosa, fluente, come di fiume che scorre tra due argini che non si toccano mai, ma che nell’equidistanza, nel parallelismo trovano la forza di coniugarsi e trasfondersi.
Così mi appare la poetica di Fo, un raro connubio di “fioriture” mutevoli e “mutandi”, dentro un linguismo che incide notevolmente sulle sfumature, insiste sui minimi particolari, sulle orchestrazioni, sui ritmi sempre intensi, accompagnati da costruendi dettami che mostrano la realtà nuda e remota, ma dentro una liturgia sacrale che li trasfonde e li immortala
Fo è uno di quei poeti che utilizza l’apparente quotidianità dei luoghi, dei tempi, delle cose
pur minime, per dar loro un’aurea d’eternità, ridare loro smalto e potenza.
Lo fa con tale maestrìa da imporre loro (alle cose) una veste regale, una forza e vivacità che vanno ad imprimere ai versi un corrispettivo armonico, uno stile suo personale abilmente messo a “punto” da un coordinamento di immagini che sono l’esclusione assoluta di ogni infingimento di scrittura.
Fo è molto abile ad utilizzare strumenti di (re)strutturazione mnemonica che sanno cogliere l’intera gamma del reale e la prospettica visione delle cose.
Pochi poeti come lui hanno la capacità di saper impostare e tessere un tale canovaccio tra l’ironico e la parodia, tra l’affabulazione e il sarcasmo, tra il bene e il male, tra la luce e l’ombra, tra la verità e il nulla: una poesia polisemica che non vive di luce riflessa, ma è fonte luminosa, dà splendore, prospettiva, in forma marcatamente quotidiana; sfiora la gamma completa degli avvenimenti umani, estraendone di ognuno la qualità dell’anima (anima mundi), perché ogni sentimento, ogni verso esprima le caratteristiche peculiari di un messaggio universale, intriso, sì, di tristezza e affanno, ma anche solare in cui vige e si trasforma il vissuto di ognuno, attraverso una perizia (la sua) che incanta, astuta quanto basta, illimpidita da un virtuosimo formale che fa la differenza, fatto di giochi e alliterazioni(?), di metafore e allegorie profonde, quasi ai limiti di un più gozzaniano momento lirico, che interloquisce dal profondo col suo “io” intimo e meditativo.
In definitiva, trattasi di un poeta intellettualmente colto, preparato, con un (so)strato culturale molto elevato che usa la parola come lama quando affonda nel miele, la tratta con la provvisorarietà imposta dai tempi e dai luoghi che inevitabilmente la vita impone, ma con una nota distintiva di eleganza, di super raffinata padronanza del linguaggio poetico, come mi pare oggi ve ne siano pochi.

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