ARTE E CULTURA
Articolo

La Violenza dentro e fuori il Teatro

25/11/10

Quando la cronaca descrive la violenza ed il dolore della collettività ha l'implicito rischio di proporsi in veste voyeuristica, anche dove non persegua questo intento. Sono le riflessioni etiche, se contestuali, a contemperare tale effetto collaterale del diritto di informazione. Anche l'Arte del Teatro non sfugge a tale regola.

"Un mese fa, ho riflettuto a lungo se fosse il caso di mettere in scena la pièce di "Blue Beard: To Want, To Need, To Be" e solo numerose riflessioni all’interno del laboratori dell’Atelier LiberaMente l’hanno salvata dalla malignità della coincidenza, dell'attualità, dallo sgomento dello "avvenuto per davvero". La scomparsa e poi la triste fine di Sarah Scazzi non poteva essere separata da quanto un laboratorio di dramma terapia va elaborando, soprattutto se quanto si lavora è così tematico." Pochi giorni fa scrivevo così sulle pagine del blog dell'Atelier di Drammaterapia, riferendomi alla cronaca del delitto di Sarah Scazzi, alla "maligna" coincidenza di un allestimento drammaterapico (il Barbablù) e vicende reali che stanno "appassionando" l'Italia della sera, ma anche del pomeriggio e della mattina... Che delitti del genere possano avvenire è dimostrato dai fatti; che siano sentore di una gioventù che ha perso i valori solo ora (sic), è tutto da vedere; che dentro di essi dorma il "mostro" che, ad esempio, l'Atelier va a a rappresentare, ha bisogno di qualche precisazione in più.

Nel l'aprile del 2001, con il mio gruppo scientifico,organnizzai presso la scuola dei miei figli (classi elementari allora) un convegno universitario sulla "Violenza Intra ed Extra Familiare". Una assise scientifica molto importante, non solo per la presenza di diversi accademici, magistrati ed agenzie impegnate nel sociale (l'Associazione Moige) e criminologhi come me, ma perchè intendeva raccogliere esperti e famiglie a discutere insieme fenomeni che hanno le loro radici nella vita di ogni giorno ed è ovvio che a questa debba essere rimandato un messaggio interpretativo ed educativo, possibilmente di prevenzione.

Pochi mesi prima vi era stato l'inquietante delitto di Erika ed Omar a Novi Ligure ed anche in quel caso tutti si erano chiesti come potesse essere accaduto qualcosa di così terrificante in una famiglia tanto "normale". Basta rileggere la cronaca accertata del duplice omicidio, quella angosciante dell'uccisione del fratellino dodicenne, per comprendere che nulla di simile può realmente accadere se non vi sono delle premesse, vuoi di ordine psicopatologico che di ordine sociale, di conflitto familiare. Ma quello che gli esperti si trovarono a discutere in quella sede scolastica (location volutamente decentrata rispetto l'accademia) fu il "pabulum" culturale di difficoltà, incomprensioni, disadattamento che spesso, senza assurgere a dignità di disturbo mentale, conduce i giovani e meno giovani a gravi disturbi del comportamento, alla asocialità e dissocialità, al crimine, alla deviazione delle condotte sessuali, dunque alla rottura di quel silenzioso patto familiare, gruppale, sociale, non redatto su carta, che garantisce i comuni intenti di vita della comunità umana. Riguardo poi alle considerazioni che desiderano vedere sempre nell'ultima generazione i disastri educazionali della precedente, con lo sdegno tipico del gap generazionale, veniva ricordato quanti e quali giovani militassero nelle "bande" ideologiche degli anni di piombo e come non vi fosse alcun disturbo di personalità a poter giustificare le stragi, in quei casi. Più volte, abbiamo dibattute su queste pagine che situano il "nostro" teatro nel sociale (da noi definito teatro "totale") che l'abitudine è sovrana in ogni aspetto della vita umana: quella che lavora per il milgioramento di tanti aspetti dell'esistenza, ma anche l'abitudine a non parlare con i figli, quella di perdere lo scandalo dell'offesa, della violenza, dell'indifferenza a non interrogarci sul pensiero di chi ci è vicino e dei suoi bisogni.

Veniano alla pièce, Bue Beard, To Want, To Need, To Be. Barbablù della fiaba e Gilles de Rais storico appartengono alla categoria degli assassini seriali e, per l'ultimo dei due, non è difficile ricorrere alla nosografia di un omicida seriale organizzato, di tipo edonistico e compulsivo. Differente la storia che stà dietro lo sviluppo di un'idea omicida in un adolescente, del movente di presunta invidia ed energia rabbiosa che sembrano costituire il quadro in cui si giustifica l'assasinio di Sarah. Certo è che sia lì che nella storia di una "follia" perpetrata dal killer plurimo Gilles de Rais, vi è un contesto che in qualche modo "partecipa" il delitto con omertà, dissimulazioni, ambiguità, indifferenza, tornaconto personale e, per il killer storico, ipocrisia. Se l'opinione pubblica può approfittare di segnali così tragici per leggere le proprie paure ed appassionarsi al poker della carte giudiziarie degli incidenti probatori, delle deposizioni, crediamo che si dovrebbe utilizzare ogni "emergenza" del dolore, dell'inganno e del tradimento "a quanto si crede" per riflettere, discutere e migliorare questa umanità; perchè non diffidi di se stessa, perchè non si esalti senza conoscenza.



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