ARTE E CULTURA
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Michael's gate

29/05/19

Il capolavoro umano.

FotoPorta una firma genetica il Michael’s gate di Gilberto di Benedetto, l'impronta digitale di un uomo, un uomo
in fuga, un uomo che vuole scappare; è ferito e ha le mani imbrattate di sangue.
No, non è la fuga che siamo abituati dai media a sentir raccontare tutti i giorni, a tutte le ore, non è un
martire della causa buonista che tanto sta a cuore ad alcune sinistre che tali sono solo nel nome che
recano. Quell'uomo è uno di noi, quel suo sangue ha un codice genetico che assomiglia al nostro, ed è vivo
e redivivo come quello di San Gennaro, che si scioglie al momento giusto per tornare a sgorgare alla
Shining, sotto lo sguardo del suo interlocutore.
È caldo, molto caldo e rosso; fa infuriare i tori e crea allucinazioni infernali nel magma ribollente che altro
non è se non il nostro specchio.
Un vero Dorian Gray questo dipinto, che vive e non è inficiato dal passaggio del tempo, è fluido primordiale
quello che dimora nel cuore della terra e che esiste fin dalla nascita del nostro pianeta, portando nel suo
scorrere i misteri insvelati, e le teorie più assurde che da sempre il piccolo umano ha coniato per spiegare la
natura e le forze che la governano, fino alla ricerca della creazione, del giusto e dello sbagliato, dei premi
terreni e di quelli ultraterreni, un viaggio di sola andata al paradiso o all’inferno, inferno abitato dalle stesse
fiamme, dalle stesse lave e dalle stesse paure del mondo che ci regge, ma molto migliore, se pensiamo che
la guardia della censura laggiù non si addentra.
No, perché ci sono fuochi che non si possono spegnere, non ci possono togliere la passione, la rabbia, il
desiderio di cambiare ciò che non funziona. Lasciamo le nostre impronte come chi ha combattuto ha
lasciato il proprio sangue, ed ora esse divengono la nostra firma. Ella continua a parlare di noi, di ciò che
eravamo e di ciò che saremo, di quanto siamo veri, reali, al di fuori della rete virtualismica e atomizzante
dell’epoca post Humanitas del 2000 fatta di Avatar e social, onnipresenti, sostitutivi, monopolizzanti vetrine
specchiate che fanno chiudere i battenti ai locali, alle piazze, alle gallerie d'arte..
Quell’uomo che fugge ferito, contaminato, ma deciso, sta evadendo da questo; fugge da questa realtà che
di reale non ha quasi più niente ma ancora, come prima, solo il nome.
Quello che vediamo è un eroe, sta combattendo l'invasione degli zombie e dei droni nell’overworld, sta
cercando gli ultimi confini, non è d'accordo di divenire un automa, di farsi innestare un programma che gli
impedirà di pensare altrimenti. È ancora vivo, è ancora selvaggio, ha magma e sangue e tanta rabbia, tanta
forza di resistere. Colpisce la tela con le sue mani calde, scatta una scintilla che genera l'incendio. Quel
pezzo inanimato di iuta diviene una Sindone che si erge a bandiera dell’umanitá ancora pensante, che si
pone ancora domande, che non vuole vendere tutto ciò che essa è ad un’entitá sovraordinata, in un’unica
terra promessa, il paradiso del consumo. Questa umanità vuole ancora vivere coi suoi demoni, vuole avere
il diritto di dire che ha paura, vuole manifestare il proprio dissenso, vuole ancora fare una rivoluzione, non
accetta un divenire di cui non sarà protagonista.
Ciò che c’è non è tutto; il futuro si può scegliere, si può non diventare uno zombie e forse questo dipinto è
un antidoto al morso che tutti noi abbiamo ricevuto. Ci ricorda chi siamo, con il nostro ardore, che
sappiamo ancora rendere reale.
Perché in un attimo i dati diventeranno sabbia elettronica e non resterà più alcuna impronta.
Tocca questa tela come San Tommaso, con la tua mano, e sciogliti. Questo fluido è molto meglio dei cristalli
liquidi, è la tua sostanza, quella che vive in tè, è lo specchio di tè, di ciò che sei, un capolavoro umano.
Erika Kant (Cantinotti) www.michaelsgatemuseum.com



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David Coen (Associato responsabile comunicazione)
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