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Nulla Die intervista Antonella Lia, autrice di Inferni familiari

08/02/16

Inferni familiari, Antonella Lia, Nulla Die Edizioni 2016


Antonella Lia, napoletana, autrice di numerosi saggi di cui uno appena edito da Nulla Die: Inferni familiari, pubblicato nella collana Nuovo Ateneo dedicata da Nulla Die a saggistica e manualistica.
D. Puoi presentare i tuoi libri?

R. Inferni familiari smaschera i misfatti compiuti nel quotidiano tra le pareti di casa, attraverso storie - talvolta grottesche - ambientate in famiglie come le nostre.
In una società affetta da “familismo”, si resta attoniti di fronte alle tragedie domestiche che fanno notizia sui giornali. Non sempre si comprende che sono effetto di rabbie e livori sedimentati per anni.
È proprio chi ama proiettare all’esterno un’immagine di perfezione, che commette - ai danni di partner e figli - soprusi, ingiustizie, ritorsioni, ricatti morali, violenze fisiche e psicologiche.
Ma una diffusa retorica nega ogni zona d’ombra, continuando a celebrare l’ideologia della “famiglia- nido-caldo-e-sicuro”…
La violenza fisica e psicologica adoperata nelle “migliori famiglie”, è affrontata (con un taglio diverso) anche nel mio precedente saggio Abitare la menzogna, pubblicato da Stampa Alternativa nella collana Eretica Speciale, nata per dare voce a chi non ne ha. Prevaricare un figlio è considerato da molti un giusto modo di allevarlo. Si tratta di comportamenti e atteggiamenti frequenti che passano inosservati, quali mortificare, umiliare, insultare o picchiare un bambino, svalutarlo sistematicamente, ricattarlo, così come disprezzarlo, prevaricarlo, deriderlo, perseguitarlo, oppure manipolarlo con dinamiche perverse.

D. Quale relazione vi è, perché è evidente che vi sia, fra la tua professione di psicoterapeuta, il tuo essere professionista e docente, e i tuoi saggi.

R. Lo psicoterapeuta lavora con le emozioni. E sono proprio le emozioni al centro delle storie narrate in Inferni familiari, così come in Abitare la menzogna. Obiettivo del percorso di psicoterapia è ritrovare la gioia di vivere, naturale in ogni bambino e talvolta soffocata proprio dalla famiglia di origine. Per alcuni genitori la spontaneità è manifestazione di cattiva educazione, l’amore viene imposto come dovere e la vita è una catena di sacrifici che si trasmette per generazioni. Si tratta di famiglie più attente al potere, al prestigio e all’apparente rispettabilità, che alla felicità dei figli.
Per le mie ricerche in ambito familiare, oltre che dalla professione di psicoterapeuta, ho potuto attingere da un osservatorio veramente immenso: una lunga serie di colloqui con genitori delle realtà più varie nelle scuole di Napoli. Durante la mia attività nelle unità socio-psico-pedagogiche del provveditorato, ho potuto osservare molta sofferenza nei bambini.
In questo senso i miei lavori - Inferni familiari, così come il precedente Abitare la menzogna (Stampa Alternativa) - sono stati un debito.
Questo mese è in edicola “Psicologia Contemporanea” con il mio articolo Figli maltrattati.

D. In Inferni familiari la soglia tra romanzo e saggio è spesso valicata: eppure è netto il divario tra realtà scientifico-professionale e finzione.
Ce ne parli?

R. Inferni familiari tenta di svelare le relazioni tossiche che sono alla base di tanti problemi emotivi… e in casi estremi originano le pagine di cronaca che ci scandalizziamo tanto.
Le storie narrate sono vere, con nomi diversi e particolari modificati per il giusto rispetto dei protagonisti. Qua e là ho alleggerito i “drammi” familiari con qualche paradosso… ma di fronte a tali tragicomici “infernetti”, come resistere alla tentazione di un po’ di umorismo?
Chi si guarda attorno con consapevolezza, può trarre dalla realtà circostante informazioni e dati che superano l’inventiva del narratore più creativo.
Ma se in Inferni familiari la soglia tra romanzo e saggio sembra spesso travalicata, ci pensa la grafica ad aiutare il lettore a distinguere tra le “storie” narrate e le riflessioni teoriche, e a poter fruire del libro come preferisce, leggendolo di seguito o… “saltabeccando” tra i racconti.
Il linguaggio sempre molto chiaro rende la lettura piacevole anche a chi non è un “addetto-ai-lavori”. Per quest’ultima categoria può essere interessante l’ampia bibliografia.

D. Napoli è la città di altre autrici che pubblicano con Nulla Die: come vivi la tua città?
DI.
R.Napoli non è solo una città difficile… è un vero e proprio “spazio della mente”. Determinate situazioni tipiche di alcune realtà metropolitane, a Napoli appaiono enfatizzate.
Anche la stratificazione sociale è “orizzontale”: è molto differente abitare nei quartieri alti, nel centro storico, al Vomero (una piccola città nella città) o nelle zone della periferia degradata.
Molti anni fa sono stata co-autrice di una ricerca di finanziata dalla Regione Campania (pubblicata dalla Regione e dall’Università) sulla percezione dello spazio edificato da parte dei minori a Napoli. Ebbene… è emersa un’allarmante correlazione tra le cognizioni dello spazio edificato e la rappresentazione del comportamento criminoso.
Ma a Napoli ho avuto un’opportunità unica in tutt’Italia, quella di lavorare nelle unità socio-psico-pedagogiche del provveditorato. È stata un’attività che mi ha concesso di osservare ed affrontare le più varie tematiche del disagio infantile e adolescenziale.

D. E come spieghi che il focus dell’attenzione di voi autrici napoletane si concentri su temi problematici quali la famiglia, le questioni di genere, lo sviluppo e la crescita, biologica sì, ma anche culturale e psico-sociale delle persone?

R. Purtroppo in questa città il “familismo” è diffuso. Per molti napoletani, i figli continuano ad essere “piezz’e core”… talvolta la mamma è più importante della moglie, tanto che “chi tene mamma nù chiagne”.
Si tratta di modelli culturali che condizionano.
Ma Napoli non è solo quella delle immagini retoriche. Per fortuna c’è una Napoli culturalmente “desta”, aperta allo sviluppo e attenta al cambiamento.
Svegliamoci tutti!



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