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Perchè l'Inosi e l'Hypnodrama in corso di Teatro Drammaterapico?

26/02/13

L'autore delinea brevente il ruolo che assume la conoscenza e l'esperienza con lo stato di coscienza modificato nella performance teatrale e, più in particolare, nel teatro drammaterapico.

La metodologia dell’Atelier di teatro drammaterapico segue i principi della drammaterapia già descritti dagli orientamenti della letteratura internazionale e, fondamentalmente dalle due grandi scuole, quella americana di R. J. Landy e quella britannica di S. Jennings . Il percorso che questi due differenti autori hanno fatto per giungere alla precisazione di alcuni aspetti fondamentali nella materia è autorevole, anche se, legittimamente, tende a sottolineare differenti aspetti del lavoro drammaterapico per giungere quindi a metodologie coerentemente diverse, almeno in parte. Se Landy, con il suo “concetto di ruolo”, intende il processo dramma terapico in qualche modo assimilabile fondamentalmente al percorso psicoterapeutico, Jennings lo legittima maggiormente all’interno del processo artistico proprio del teatro. Negli ultimi anni, proprio la professionale e fertile disputa tra i due orientamenti di pensiero ha portato a una ricca produzione di proposte e articolazioni metodologiche.

I punti fondamentali per i quali il teatro “drammaterapico” si differenzia da altri percorsi, nasce fondamentalmente da fattori autobiografici, come spesso ogni innovazione comporta. Per il direttore dell’Atelier, E. Gioacchini, essersi interessato da trentacinque anni di “stati modificati di coscienza”, passando attraverso la competente conoscenza dell’ipnosi formale, sperimentale e clinica e molte delle sue applicazioni, anche al di fuori del campo ristretto della psicoterapia ipnotica, ha comportato l’utilità di disporne nello strumentario dell’operazione dramma-terapica. Di qui l’importanza che l’allievo-attore acquisisca dimestichezza con le fluttuazioni della propria coscienza, che, si sa bene, non è sempre e assolutamente “ordinaria” e vigile nel corso del processo artistico, interpretativo e comunque performativo. La particolare competenza nel campo dell’hypnodrama moreniano (dove allo psicodramma si aggiunge la presenza di stati induttivi la trance), porta così il lavoro drammaterapico assai vicino alla consapevolezza di quello che Artaud indicava come "trance cosmica" o lo stesso Grotowsky chiamava “la Trance dell’Attore”, pura espressione dell’autenticità di un‘anima nell’atto di donazione all’altro (pubblico) dinnanzi a lui. L’atto di “autopenetrazione” che tanto sottolinea il Maestro, passa dunque per uno speciale stato di consapevolezza cosciente, ma all’interno di una condizione di trance, elementi questi che permettono all’attore di “non fingere di fingere” e qualificare il suo “come se” sulla scena appunto come atto "autentico". La propria storia, invisibile, fluisce all’interno della parte che stiamo interpretando, anche al di fuori di quel gioco d’immedesimazione dentro al personaggio, come propone Stanislavskij.
Se il metodo di Stanislavskij si basa sull'approfondimento psicologico del personaggio e sulla ricerca di affinità tra il mondo interiore di quest’ultimo come concepito dall’autore/regista e quello dell'attore, la metodologia delteatro drammaterapico e più in generale della drammaterapia sposa maggiormente lo statuto Grotowskiano. Come quest’ultimo indirizzo insegna, il rito scenico è inoltre ridotto all’essenziale, impoverita la macchina teatrale, ridotta generalmente all’essenziale dell’attore e dello spettatore: la scena di fuori si svuota dei suppellettili ingombranti della coscienza, formalizza la presenza di quelli essenziali e si rivolge al dentro... Quello che rimane sono i corpi con un anima, e questi non possono che essere corpi in cerca di vita ed espressione, offerti all’altro, in un incontro ogni volta unico ed essenziale. I moduli d’ insegnamento dell’Atelier di teatro drammaterapico intendono quindi facilitare il processo cognitivo e interpretativo nel lavoro attoriale, perché questo, più in generale, abbia dei positivi riflessi sugli schemi di pensiero e comportamento della persona; un’esperienza formativa il cui obiettivo è estendersi ad altre competenze parallele per un miglioramento della qualità della vita e che si sia in analisi o meno, il punto di partenza è sempre la conoscenza di se stessi.
Per questo, ad esempio, attraverso la danza-movimento-terapia, ci si avvale anche di esperienze propriocettive -presa di coscienza dello schema corporeo e della struttura del proprio corpo, contrazioni e distensioni muscolari, quindi mobilizzazione settoriale e totale-; delle tecniche cinestesiche -acquisizione di posture in relazione allo spazio e ad altri soggetti- e dell’esperienza aptica generale -risposta del soma a diversi tipi di stimoli tattili (il corpo “drammatico” di P Jones e quello “simbolico” di R. Graiger ).
In tal senso, gli esercizi di autoipnosi, proprio come quelli sul corpo che propone Grotowsky, intendono sollecitare la consapevolezza e la libertà emotiva del soma e della psiche, in modalità sinergica ed in funzione del sentimento di libertà e scelta che l’attore deve sempre saper comunicare a chi assiste al suo lavoro, ben esprimendo, simbolicamente il lavoro della nostra unita psiche-soma nei confronti delle richieste adattive della realtà. L'attore conosce bene questo: il corpo e la mente possono tradirsi vicendevolmente, l'abitudine arriva ad impigrire il senso dell'azione ed addormentarlo in essa, si pericola costantemente verso quella condizione così acutamente definita da Grotoswsky come pigrizia interiore, quella che io definisco la “paralisi della scoperta”. Oltre l'ipnosi ritualistica e iconografica della trance, si accede al serbatoio privato delle proprie esperienze con uno squisito atto di introspezione che definerei più "sciamanico" che classicamente "ipnotico", all’interno di una ritualistica propria dell’approccio antropologico.



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