ARTE E CULTURA
Comunicato Stampa

Too early too late. Un punto di osservazione sul Medio Oriente.

18/03/15

Visita alla rassegna "Too early too late" Pinacoteca Nazionale di Bologna Dal 27 gennaio al 12 aprile 2015

FotoAll’inizio di febbraio ho visitato la rassegna di arte mediorientale allestita alla Pinacoteca di Bologna; mi sembrava un’ottima occasione per accedere a un’indagine non solo strettamente artistica ma culturale e geopolitica sui territori del cosiddetto Medio Oriente.

La riflessione sul differente sviluppo (e sul confronto con l’Occidente) dei paesi dell’Asia Centrale e del Medio Oriente prende il via dalla mostra del 2014 Il piedistallo vuoto, che focalizzava l’attenzione sulla scena artistica dell’Est Europa e dei territori dell’ex blocco sovietico.

“Too early, too late. Middle East and Modernity a cura di Marco Scotini, con la presenza di quasi sessanta artisti, oltre cento opere - provenienti dalle più prestigiose collezioni private italiane - e documenti storici, volti a indagare il rapporto dell’ Oriente con la modernità occidentale e raccontare la complessa struttura sociale di un’ area culturale in transizione.”

L’esposizione costituisce un interessante punto di osservazione e, nonostante la mia estraneità agli universi rappresentati, desidero segnalare alcuni video, fotografie, e opere decisamente significative. Rituale è forse l’aggettivo più appropriato per descrivere numerose opere della rassegna.

White House realizzato da Lida Abdul nel 2005; Ascent di Vyacheslav Akunov 2004, Strange Space di Kutlug Ataman 2009, presentano caratteristiche ricorrenti: staticità della ripresa, descrizione di singoli eventi, ripetizione dei gesti (salire le scale, imbiancare rovine, guardare video nel video, camminare bendati nel deserto).

In generale le azioni ripetute in sequenza ininterrotta trasmettono una sensazione di instabilità e di ansia, come se fossero generate dalle compulsioni di qualcuno (controllo, ossessione, insicurezza). In questo caso la reiterazione dell’azione non risulta invalidante, né ansiosa o patologica ma rivela una esperienza spirituale. Esiste un legame tra queste azioni e il comportamento gestuale della preghiera. Ogni azione ripetuta ricorda un mantra, una pratica di transizione e di passaggio, una formula sacra ripetuta all’infinito, apotropaica in alcuni casi oppure spirituale e interiore, ma sempre rituale e slegata dall’esterno.

Il movimento verso l’alto dell’ascensione sulla torre medioevale di Akunov, come le pennellate cadenzate di Lida Abdul appaiono come un processo rituale, una ricerca di equilibrio di meditazione e di raccoglimento. Una reazione più immediata e diretta si sperimenta sul fronte delle fotografie: No.53 Trackers e_ No.54 Trackers 2005_ di Ahlam Shibli, convogliano l’attenzione sulla questione dei membri palestinesi dell’esercito israeliano; o forse è il contrario: il racconto dei volontari palestinesi in servizio nell’esercito israeliano canalizza l’attenzione sui ritratti. In queste foto è concentrato tutto il racconto dell’esistenza, dall’instabilità, al rischio, al desiderio di cambiamento, all’ingiustizia.

La stessa descrizione di contrasti e contrapposizioni, accurata e minuziosa si ritrova nel gruppo di statuette ceramiche realizzate da Moataz Nasr - Elshaab - nel 2012.

Piccoli viandanti di ceramica, bendati, attoniti, feriti o provvisti di mascherine si affacciano da una mensola. Come i soprammobili di un cinico, queste figure generano un vago disagio nello spettatore, alcune rivolgono lo sguardo al di fuori del piedistallo. Si manifesta così la contraddizione tra il formato (e il materiale) da soprammobile, -sembrano quasi oggetti di arredamento- e il crimine che mettono in luce.

Paola Nicoli.



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