ARTE E CULTURA
Comunicato Stampa

Visita alla mostra “Tutankhamon Caravaggio Van Gogh. La sera e i notturni dagli Egizi al Novecento”

09/02/15

Recensione della mostra "Tutankhamon Caravaggio Van Gogh." Vicenza, Basilica Palladiana. Dal 24 dicembre 2014 al 2 giugno 2015.

FotoNon sapevo bene cosa aspettarmi da un titolo del genere, avevo temuto nel consueto annuncio inaffidabile: Tutankhamon, Caravaggio, Van Gogh… ma alla fine mi è sembrato quasi riduttivo, da moltissimo tempo non mi capitava di vedere unite insieme in una mostra tante opere straordinarie.

L’argomento è polisemico e quindi tanto vale farsi un’idea personale.
E’ un racconto della notte come passaggio tra la vita e la morte, sinonimo di eternità, di melancolia, di senso di straniamento, di redenzione, di illuminazione, di libertà fuori dai vincoli, di disperazione, di follia, di rottura dei legami e di tradimento.
"La notte da vivere e da raccontare. Raccontarla per la sua essenza d’amore, diventata il punto di partenza e il punto di arrivo. Cercare immagini ovunque nel mondo, che potessero dire di quella notte il senso, e il mistero. Essere. Esserci."1)

Si può dare qualsiasi interpretazione agli accostamenti dei dipinti antichi e contemporanei e la lettura suggerita non è limitante.
"Non desidero spiegare niente a nessuno, ho solo la gioia di mostrare che una finestra di Giorgione, Oltre alla quale sta il velluto di una notte chiara, la possa appendere accanto a una finestra dipinta da Loperz Garcia quasi cinquecento anni dopo, quando una tangenziale butta la notte della periferia di Madrid dentro quella stessa finestra aperta. Penso che si possano fare mostre anche così, dove, sulla stessa parete, a Bellini non debba per forza succedere Giogione, e dopo di lui Tiziano." 2)

Quando ero alla mostra, non ho seguito la traccia né ascoltato l’audioguida; ho letto il catalogo soltanto dopo, con calma. In quel momento le descrizioni mi sembravano inutili, E’piacevole passare da un’opera all’altra senza pensare al filo conduttore e sollevare ogni tanto la testa per guardare i legni del soffitto disegnato da Palladio.

Il lavoro realizzato è colossale; la provenienza delle opere è varia quanto lo sono i dipinti: Boston, Roma, Cardiff; Budapest, Detroit, Hartford, Bilbao, Liverpool, Rotterdam, Southampton, Venezia, Lubecca, Amsterdam, Utrecht, Copenaghen e Madrid sono solo alcune delle città da cui provengono le opere: una eterogeneità e una ricchezza che lasciano sbalorditi.
In rassegna si scorrono reperti Egizi, pale d’altare, notturni romantici, crocifissioni aliene o larve, come nei dipinti di Francis Bacon e di Antonio Zoran Music, santi secolarizzati nelle tele di Caravaggio e locali termo-saldati in quelle di Edward Hopper.

L’eternità della morte è celebrata all’ingresso con i ritratti del Fayum o le teste e le statuette dell’antico e del medio regno. Questi reperti fuori contesto esercitano un fascino quasi metafisico. Una realtà parallela, irreale che non ha molto a che vedere con il tempo e con i secoli ma che è più legata alla sua mitologia e all’estraneità preziosa dei materiali come l’alabastro, la quarzite o la pietra nera lucidata.

Se poi si vuole approfondire la storia di ogni singolo reperto, nell’ultimo capitolo del catalogo le schede di ogni opera sono una fonte imperdibile di informazioni. Descrivono il procedimento dell’invetriatura della ceramica (un rivestimento ottenuto dalla lavorazione di silice di quarzo friabile o sabbia) e la destinazione d’uso dei ritratti funebri del periodo imperiale romano. Realizzati per coprire le teste delle mummie, erano destinati a una inusuale collocazione:” Le mummie con ritratto non erano collocate entro sarcofaghi, né venivano sepolte, comunque non subito. Gli autori classici menzionano la consuetudine degli Egizi di pranzare insieme ai morti, e sembra che le mummie bendate dei parenti fossero conservate in casa come oggetto di culto per una o due generazioni prima di essere consegnate alla sepoltura”.3)

Nella sezione dedicata alle incisioni si trovano otto tavole di Rembrant Van Rijn e altrettante all’acquaforte e bulino di Giovanni Battista Piranesi, tutte emotive, irrazionali e commoventi.
La luce accecante del soprannaturale di Rembrant illumina le scene in un solo punto e si disperde ai bordi, come nei lampi della polvere di magnesio delle fotografie di Jacob Riis degli emarginati di New York di fine ottocento.

Con le Carceri d’invenzione la reazione è diversa, più soffocante e prolungata, il tempo non è fissato in un istante ma è iterato, cupo e solenne.
Il Capriccio con scale e pilone circolare o con arcate e piazza monumentale mi hanno sempre ricordato le nostre stazioni di inizio novecento. Ritrovo lo stesso aspetto funereo e monumentale a Milano Centrale, con la sua ornamentazione colossale e un po’ tetra, non troppo rassicurante né pulita.

Mi sembra che anche le vicende personali di alcuni dei protagonisti della mostra possano essere riconducibili al tema della mostra.
I “Suicidi della società” come Nicolas de Staël, Mark-Rothko o Vincent van Gogh, avrebbero potuto sfoggiare le loro foto tessera accanto all’opera in esposizione.
Cercare in un’ espressione il motivo di tanto sfinimento avrebbe forse rappresentato un’altra interpretazione della notte.

Paola.



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