SALUTE e MEDICINA
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Drammaterapia, Biliardo e Cambiamento

23/11/10

Il gioco del biliardo costituisce una formidabile metafora di come funzioniamo, tra dentro e fuori come in quasi tutte le cose della vita, comprende variabili controllabili, non sempre controllabili, ed alcune del tutto casuali; ha a che fare con abilità apprese, su attitudini innate e fattori psicologici che possono lavorare verso il successo o solo verso una “sponda”.

La palla che ti si mette di traverso alla tua strategia di tiro condiziona la tua abilità, ma, allo stesso tempo, quella che casualmente colpita aggiusta il tiro e manda la tua in buca…non era stata prevista! Ma c’è un aspetto più particolare di cui desidero parlare ed è l’affollamento della palle sul tavolo e dentro la buca. Qualcosa con cui ci imbattiamo costantemente nella vita quotidiana, ma che riguarda, metaforicamente, anche contesti specifici di lavoro sulla persona, terapeutici e sulle risorse; nel nostro caso il processo drammaterapico.
Nel gioco, il nostro sforzo di dirigerle sul tavolo perché entrino in buca è mirato e funzione di quanto abbiamo detto; potenza del tiro, angolatura dello stesso, punto di impatto della stecca sulla palla, ostacoli sul percorso, gioco delle sponde. Ed oltre che giusto a volte è invece ingrato il nostro tentativo di sentirci totalmente potenti nel condurre il gioco. Ma sotto il tavolo, dentro la buca, tutte le palle vivono lo stesso destino di essere guidate in quel luogo oscuro, le più fortunate e le ultime e lì avviene una cosa particolare che segue le leggi del caos e che, tuttavia, ha una regola principale non derogabile. Non sappiamo quali palle e come si disporranno, ma sicuramente i punti di contatto tra esse, in un luogo accalcato di ospiti, ogni volta potrà variare dietro la spinta dell’ultima. Tutte dovranno rivedere i loro rapporti, i loro indirizzi e rubriche di contatto! Un ennesimo elemento rifarà riconfigurare l’intero sistema: le palle si muoveranno e troveranno finalmente molte volte una loro collocazione. Nell’inconscio, un fatto non rimane mai isolato dall’intero sistema e persino il linguaggio onirico ci dimostra questo, attraverso la sua apparente produzione “folle”. E' nella realtà che noi ci lusinghiamo di creare scaffallature ermetiche.
Un insight che si leghi ad una operazione interna importante finirà per determinare, come affermava Milton Erickson, una serie di cambiamenti fuori “a cascata”, persino tra soggetti diversi. Nessun compartimento stagno nel mondo dell’inconscio, come nessuna differenza tra effettivamente avvenuto o solamente fantasticato, tra presente, passato e presentimento futuro. Le "palle" del nostro destino ruotano costantemente con la possibilità (solo se la cogliamo) di riconfiguare la nostra esistenza e dirigerla differentemente. E tornando sulla superficie del nostro “tavolo”, varranno a questo le abilità, la motivazione ed l'attenzione, ma anche il gioco imprevedibile e creativo di quanto non riusciremo mai a sapere prima. Nel processo drammaterapico tutto lavora come su quel tavolo ed il risultato è costituito da quella stessa partita. Tutte le partite lavorano nel senso di migliorare il giocatore e di non misurarlo mai con l’euforia o lo smacco di un singolo risultato. Venendo al setting di drammaterapia, la persona è "obbligata" ad un adattamento costante tra quanto conosce di sè ed il repertorio inespresso dei suoi personaggi interni: una costante riconfigurazione di quel modello del mondo che sempre Erickson poneva al centro della nostra stasi, come delle scoperte nella vita. Nel teatro la "finzione" emula la realtà, tuttavia senza confodersi con essa, ed in questo è il suo importante processo di svelamento; i due piani convivono e sono convinto che più di uno spettatore viva quella speciale condizione di light trance che permette di far lavorare l'io cosciente con quello più profondo. Nella drammaterapia quanto appena detto è preso come assunto e permette di farne uno statuto operativo formidabile, spesso capace di "aggirare" anche le più importanti resistenze verso il cambiamento.



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