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Il divieto di avvicinamento non necessita di una puntuale indicazione dei luoghi frequentati dalla persona offesa

28/07/14

La misura cautelare del divieto di avvicinamento ex art. 282-ter c.p.p. può contenere anche prescrizioni riferite direttamente alla persona offesa ed ai luoghi in cui essa si trovi, aventi un contenuto coercitivo sufficientemente definito nell'imporre di evitare contatti ravvicinati con la vittima, la presenza della quale in un certo luogo è sufficiente ad indicare lo stesso come precluso dall'accesso dell'indagato: essa è adeguata proprio laddove garantisce alla persona offesa piena libertà di movimento e nelle proprie relazioni sociali da possibili intrusioni dell'indagato, senza condizionarla e/o pregiudicarne la vita sociale.

Così statuendo, la Quinta Sezione penale di Cassazione ha rigettato, con sentenza n. 36887, depositata il 9 settembre 2013, un ricorso volto impugnare la misura cautelare ex art. 282-ter c.p.p., perché assegnata senza determinazione dei luoghi esatti oggetto del divieto.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto avverso un'ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame del Lecce, la quale revocava la misura degli arresti domiciliari, ma manteneva altre e diverse forme di limitazione di libertà dello stesso; segnatamente: da un lato, il divieto di avvicinarsi a tutti i luoghi frequentati dalla persona offesa (la di lui moglie) e dalla figlie della coppia, con particolare riferimento alle zone limitrofe la scuola frequentata dalle minori e, dall'altro, il divieto di comunicare in nessuna forma con la denunciante o con i familiari conviventi di quest'ultima. Avverso tale pronuncia, il ricorrente lamenta, nel procedimento de quo, la violazione degli artt. 274, 282-bis, 282-ter e 299 c.p.p., nonché motivazione carente e contraddittoria: in primo luogo, il Tribunale del Riesame, se, da un canto, avrebbe tenuto conto di quanto relazionato dagli assistenti del consultorio familiare ai fini del giudizio di attenuazione delle esigenze cautelari, dall'altro, non avrebbe, però, spiegato le ragioni che lo hanno condotto a non decidere una revoca tout court di ogni forma di restrizione; in secondo luogo, non sarebbe state - a suo dire - bene esplicitate le ragioni di cui all'assegnata misura ex art. 282-ter c.p.p., rubricata come "Divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla persona offesa", non essendo stati, appunto, meglio chiariti e indicati quali sarebbero questi luoghi abitualmente frequentati dall'ex-compagna e dalle loro figlie.
La Suprema Corte, partendo dal profilo della mera sostituzione della misura, sottolinea come l'esame di quanto relazionato dagli assistenti sociali era stato, sì, utile ad attenuare le esigenze cautelari, ma non già a eliderle completamente; anche perché il ricorrente, in passato, avendo già goduto di una revoca, era, poi, incorso nell'emissione di una nuova ordinanza custodiale, a dimostrazione - suggerisce la Quinta Sezione penale - di «una obiettiva incapacità di autodeterminazione». Tanto premesso, i giudici di Piazza Cavour passano a confutare la pretesa genericità della misura in esame, mostrando di aderire all'orientamento più recente ed estensivo, che legittima una non puntuale, ancorché corretta, individuazione dei "luoghi determinati" oggetto della restrizione: «la misura cautelare del divieto di avvicinamento, prevista dall'art. 282-ter c.p.p., può contenere anche prescrizioni riferite direttamente alla persona offesa ed ai luoghi in cui essa si trovi, aventi un contenuto coercitivo sufficientemente definito nell'imporre di evitare contatti ravvicinati con la vittima, la presenza della quale in un certo luogo è sufficiente ad indicare lo stesso come precluso dall'accesso dell'indagato» (Cass. Pen. n. 13568/2012). «La norma - continua la Corte di Cassazione - prende atto, a questi fini, della possibile insufficienza di una tutela, per così dire, "statica" dell'incolumità della vittima, laddove le circostanze rendano concreto il pericolo di un'aggressione della stessa nel corso dello svolgimento della sua vita di relazione e pertanto inadeguata una mera interdizione all'indagato del luogo di abitazione della persona offesa». Spiegano, poi, meglio gli ermellini come adeguata sia la misura di cui all'art. 282-ter c.p.p., laddove garantisce alla persona offesa piena libertà di movimento e nelle proprie relazioni sociali, da possibili intrusioni dell'indagato, senza condizionarla e/o pregiudicarne la vita sociale. Aggiungono, ancora, come rilevante, anche perché avvenuto in concomitanza con l'introduzione del reato di atti persecutori, sia stata l'integrazione operata dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con Legge 23 aprile 2009, n. 38 all'interno della disposizione in oggetto, che prescrive come ora il divieto si estenda non solo ai luoghi frequentati alla persona offesa, ma alla persona offesa stessa: è proprio direttamente rispetto alla persona offesa che la misura va e deve, infatti, esser presa.



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