SALUTE e MEDICINA
Articolo

La misconosciuta, particolarmente insidiosa, e frequente, malasanità in ambito psichiatrico

26/10/20

Spesso veniamo a conoscenza di casi di malasanità, talvolta anche eclatanti e/o clamorosi. Le statistiche, nel merito formulate dai più, tentano di rappresentare in quale branca medica insiste la maggior frequenza di queste circostanze; si va, dunque, dall’ambito ortopedico, dalla chirurgia in generale, all’ambito odontoiatrico, e via dicendo…

FotoSpesso veniamo a conoscenza di casi di malasanità, talvolta anche eclatanti e/o clamorosi.
Le statistiche, nel merito formulate dai più, tentano di rappresentare in quale branca medica insiste la maggior frequenza di queste circostanze; si va, dunque, dall’ambito ortopedico, dalla chirurgia in generale, all’ambito odontoiatrico, e via dicendo…
Queste discipline mediche, come anche altre qui non menzionate, sono caratterizzate da una frequenza maggiore di errori medici, perché, appunto, in tal ambito, si ha con il paziente, spesso, un ‘approccio’ anche di tipo chirurgico (non solo clinico), il quale ‘espone’, e per evidenti motivi, a dei rischi e a conseguenti danni (in caso di imprudenza, imperizia, e negligenza, dell’operatore), oltre che maggiori anche più consistenti, ma soprattutto ciò che rileva e che questi sono più oggettivamente provabili, diversamente da altre circostanze, spesso, comunque, non meno gravi…
Per cui le statistiche tendono, erroneamente, a prendere in considerazione il dato fattuale della mera frequenza della richiesta di risarcimento in alcune branche mediche, ma non la ivi reale incidenza dell’errore medico, il quale, dovrebbe, in un’analisi più profonda e precisa, tenersi, almeno in parte, ‘distaccato’ dalla casistica giudiziaria correlata.
Infatti, un conto e tenere presente la casistica degli errori medici, dei quali è più oggettivamente provabile, sia il nesso causale del danno, sia il danno stesso, e che di conseguenza producono una frequenza maggiore di richieste giudiziarie (in quanto, oltre che fondate, sono anche dimostrabili processualmente), un altro conto è tenere presente la casistica dell’errore medico, in quanto tale, scevra dall’eventuali successive iniziative o meno del paziente in sede giudiziaria.
Si pensi ad esempio alla violazione del consenso informato (suscettibile di altra e diversa richiesta risarcitoria, separata dal mero danno fisico), si pensi, appunto, che tale violazione è estremamente frequente in ambito medico-sanitario, ma si pensi anche a quanto poco, in generale, ne sappia a riguardo il paziente (con l’ovvia conseguenza che ‘chi non sa, nulla fa…’), e a quanto sia, eventualmente, estremamente difficile provarlo in sede giudiziaria, motivo per cui la casistica ‘ufficiale’ si riduce a poco o nulla nel merito.
Si pensi agli errori medici che avvengono nella formulazione di errate e superficiali diagnosi, o nella prescrizione di farmaci non adeguati, o a dosaggi non idonei; la realtà, infatti, è in parte diversa dalle ufficiali casistiche inerenti alle richieste risarcitorie in sede giudiziaria.
Urge precisare che, in questo mio articolo, voglio accendere i riflettori sulla casistica degli errori medici in ambito psichiatrico, per cui tale su argomentata mia premessa non deve minimamente ritenersi esaustiva del quanto, ma solo introduttiva di ciò che qui si vuol discutere.
In ambito della branca psichiatrica, ove è bene specificare che il più delle volte il medico competente ha a che fare con pazienti psichicamente ed emotivamente ‘alterati’, avvengono i più frequenti casi di malasanità (in rapporto, ovviamente, al numero quantitativo dei pazienti trattati) nel ‘silenzio totale’, e nell’oggettivo problema, per i pazienti psichiatri, di poterlo congruamente provare.
Casi di errore medico che si concretizzano molto spesso con l’assenza di un corretto e completo consenso informato nei confronti del paziente (anche perché paziente ‘psichiatrico…!!!’), con la superficialità in sede di diagnosi clinica, ma anche in corso di terapia (in cui frequentemente si scambiano nuovi sintomi, o peggioramenti di quelli preesistenti, per un aggravamento della malattia di base aggiungendo altri farmaci, quando, al contrario, frequentemente, sono meramente correlati ai complessi effetti collaterali delle interazioni tra più psicofarmaci somministrati) e, infine, prescrivendo psicofarmaci, sia qualitativamente, sia quantitativamente non idonei, ma anche in aggregate e ‘pericolose’ formulazioni tra di essi (cocktail), e che richiederebbero una precisa e attentissima pre-valutazione, nonché reale e profonda conoscenza, da parte dello psichiatra prescrittore, sia della farmacodinamica, sia della farmacocinetica, del singolo psicofarmaco, e ancor più inerente a ipotesi di aggregate formulazioni tra essi (cocktail).
Il consenso informato, in ambito psichiatrico, poi assume maggiore rilevanza e importanza, proprio perché trattasi, il più delle volte, di circostanze in cui si prescrivono psicofarmaci -attenzione, in generale, a pazienti psico-emotivamente ‘alterati’– verso l’uso dei quali massima attenzione e perizia dovrebbe essere posta dal medico competente, per evitare anche (tra le altre possibili conseguenze) il rischio di una dipendenza psico-chimica (oltre l’inevitabile s’intende), e il pericoloso, ma alquanto frequente, successivo ricorso al ‘fai da te’, circostanza quest’ultima non di rado conseguenza proprio di un mancato corretto e reale approccio da parte del medico verso il paziente, il quale ‘frustrato’ può decidere, mettendo a rischio la propria salute, di voler continuare a ‘fare da solo’.
Per non parlare che, assi frequentemente, molti medici di famiglia (ma anche specialisti di altre branche mediche) prescrivono psicofarmaci ai loro pazienti, senza averli indirizzati prima da uno psichiatra competente, per cui si assiste a pazienti che assumono psicofarmaci senza che nemmeno abbiano mai avuta una certificata diagnosi (per non parlare del consenso informato) da chi di competenza in materia (questi sono i casi in cui l’evento ‘dipendenza da psicofarmaco’ è maggiore in frequenza, e per ovvi motivi).
Per dirla in parole semplici prescrivere alcuni tipi di psicofarmaci (ad es. le benzodiazepine, ovvero i comuni ansiolitici) che danno certa e forte dipendenza esige -tassativamente-, da parte del medico, un più attento e preciso corretto e completo consenso informato a tutela dei diritti inviolabili, e della salute, del paziente psichiatrico.
Altra circostanza che si ripercuote sul paziente psichiatrico è che spesso, per via di tutte queste non rare negligenze, superficialità, imprudenze e imperizia, non trova la guarigione dalla propria malattia, anzi talune volte ai sintomi di essa si associano anche gli effetti collaterali di dannosi cocktail di psicofarmaci (e che a volte molto pesanti e invalidanti) e che nell’insieme possono rendere la vita davvero un inferno senza ‘apparente’ via di uscita.
La medicina psichiatrica è una scienza rigorosamente ancorata a ciò che è riproducibile, ma a differenza di altre branche specialistiche (dove esami ematochimici e strumentali aiutano e possono certificare la diagnosi, oltre che l’eventuale oggettivo andamento dell’effetto positivo o negativo di una terapia), in ambito psichiatrico le diagnosi e le terapie possono essere molto influenzate, sia dalla soggettività interpretativa del clinico psichiatra, sia da un errata esposizione dei sintomi da parte del paziente, esposizione dei sintomi da parte del paziente che, urge precisare -a differenza, come predetto, della medicina organica- rimane il fondamento unico su cui poggiare e fare la corretta diagnosi…
Il medico ha il dovere di essere sempre diligente nel suo nobile lavoro, ma il paziente ha il dovere, nonché il diritto, di essere altrettanto diligente in ciò che riguarda la propria salute, informandosi con ‘accuratezza’, e dovendo ricevere, per legge, un corretto e completo consenso informato -sempre e comunque- da parte di chi lo cura.
Concludo nel dire che articolo non vuole minimamente essere un incentivo a voler intentare domande risarcitorie in sede giudiziaria, difatti l’unico intento è quello di portare conoscenza affinché, chi si trovi in queste sfortunate circostanze, possa avere maggiore premura per sé stesso, imparando a saper porre, al proprio medico competente, le giuste domande e con le giuste modalità, per poter ricevere le giuste risposte ‘a tempo’.
Stefano Ligorio



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