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Covid e scuola: sarebbe ora di cambiare

20/11/20

Tempo di Covid e pandemia: il sistema scuola mostra il suo vero volto senza più i veli della demagogia. La scuola è il luogo degli studenti, il loro ambiente di vita e il loro mondo ma è anche un indispensabile contenitore supplente delle famiglie. La scuola è una parte essenziale della società; in ogni ordine, grado e tipo è pubblica, pubblici in ogni caso sono i suoi effetti sull'istruzione e sulla cultura, le ricadute dirette sulla società. Il sistema scuola è una gigantesca idrovora che richiede e consuma risorse attorno cui ruotano interessi socioeconomici immensi, un bacino di utenza commerciale dalla valenza economica e sociale enorme ma nulla toglie a che possa anche essere il crogiuolo di una nuova coscienza sociale e culturale in grado di cambiare il mondo e gli stili di vita, le motivazioni e gli approcci. Una società senza relazioni personali non è che un mucchio di individui disadattati e dispersi. Ripensando la scuola, i giovani che sono il presente della società possono insegnarci a cambiare e migliorare il nostro mondo.

FotoLa Scuola è IL "LUOGO" degli Studenti e sarebbe proprio ora di chiedersi chi la frequenta e la vive, come e per quali scopi e motivi differenti, quale sia veramente la sua importanza, la sua funzione.
Mai come in questo momento di pandemia sanitaria la scuola ha mostrato il suo vero volto e la sua vera importanza: nessuno può più considerarla un semplice strumento di istruzione e acculturamento: è un indispensabile contenitore supplente delle famiglie.
Un organismo sociale di primaria, assoluta importanza e indipendente dall’offerta formativa; la scuola deve rimanere aperta e fruita o le famiglie non riescono più a svolgere la funzione di sostegno sociale che a loro è attribuita. La sua valenza è cambiata, lo era da tempo ma solo ora non è più finalmente possibile travestirla di chiacchiere erudite e demagogiche.
Il futuro della nazione, perfino quello del mondo, dipende ancora dalla scuola ma non più, o non solo, per l’istruzione finalizzata al lavoro.
I figli direttamente o indirettamente, oggi sono i primi consumatori e la loro protezione coincide con quella dell’economia nazionale. Questo è quanto.
Il lavoro del resto e purtroppo, manca sempre di più e contribuisce a scoprire i nervi dell’istituzione. L’offerta formativa generalizzata e liceizzata contrasta con le necessità del mercato del lavoro ma è necessaria ad evitare una troppo rapida immissione dei giovani su un mercato oltremodo saturo e carente.
I genitori che ancora lavorano sono troppo impegnati a farlo ‘per pagarsi il diritto a lavorare’ quelli che il lavoro lo hanno perso sono impegnati a cercarlo o a ‘tirare a campare’ e non hanno tempo da dedicare ai figli, ai loro capricci, ai loro vizi, ai loro bisogni che oltretutto faticano a supportare.
Per le famiglie di lavoratori i figli costituiscono un enorme costo e per la società un indotto commerciale ancora maggiore. Insegnanti, educatori, psicologi, babysitter, corsi sportivi, scuole di danza, ginnastica, laboratori integrativi, auto, trasporti e chi più ne ha più ne metta.
I figli ‘devono’ essere affidati ad un sistema scolastico, pubblico o privato che li intrattenga, li impegni, li accolga per il tempo lavorativo dei genitori. Un blocco nel sistema scuola diventa un dramma famigliare oltre ad un tracollo economico.
I figli di qualunque età non sono più un problema o una risorsa famigliare, secondo l’ambiente e il punto di vista ma decisamente sono sia un problema che una risorsa sociale.
Formazione continua. I figli più grandi devono continuare gli studi all’infinito, tra lauree senza sbocco professionale, dottorati con destinazione precariato, master e recupero di professionalità spendibili. I lavoratori devono riqualificarsi per rimanere al lavoro.
La scuola, di ogni ordine e grado è una gigantesca idrovora che richiede e consuma risorse.
Mancano le strutture ma l’unico sciopero rilevante nell’attività scolastica è quello che ogni anno, nel mese di maggio, può bloccare l’approvazione dei nuovi testi scolastici; tutti gli altri che ogni anno si succedono intermedi alleggeriscono l’impegno accontentando gli studenti e anche il personale e regalando costose e forzate vacanze. Lo stato trattiene le somme e la gente spende più soldi.
L’adozione di testi sempre rinnovati, più che altro nella grafica, nella patinatura, nell’abbondanza di immagini riempitive che contribuiscono sostanzialmente a giustificarne i prezzi al pubblico sempre più elevati, comporta la sopravvivenza di migliaia di posti di lavoro nelle case editrici e nell’indotto ma queste devono avere conferma degli ordinativi molti mesi prima della distribuzione prevista per avere il tempo di stamparli e poi distribuirli. Il blocco ritarda questi tempi e contrasta questi interessi. I contenuti dei libri sono più o meno sempre gli stessi ma senza il rinnovo periodico delle edizioni addio economia. Un problema sociale.
Quanti sono i paninari che vivono della presenza scolastica?
La scuola non è o non è più solo un'istituzione a orari e programmi imposti, programmi che ogni anno rimangono sempre più incompletamente compiuti! Occorre cambiarla e per farlo occorre capirla! Lo si potrebbe fare ascoltando gli studenti e gli insegnanti per esempio ma sulle motivazioni. Uno spunto di riflessione necessario! Come cambiare davvero?
La scuola di ogni ordine e grado è pubblica, anche quella privatizzata o privata; quella maggiore come quella minore. Pubblici in ogni caso sono i suoi effetti sull'istruzione e sulla cultura e le ricadute dirette sulla società. Quello che la società alla scuola chiede, dalla scuola pretende ed esige.
Attorno alla scuola ed ai suoi effetti ruotano interessi socioeconomici immensi!
I ragazzi, gli insegnanti, i lavoratori, i sindacati, la burocrazia, le famiglie, i programmi, gli obiettivi di tutti gli attori richiedono una critica alla scuola, alla società della quale la scuola rappresenta una parte essenziale.
Almeno una critica sarebbe opportuna, un cambiamento radicale ad una scuola che dovrebbe istruire quantomeno, ad un livello pressoché uniforme contrastando i ceti sociali, elevando il livello culturale medio, stimolando libertà di pensiero, creatività, tecnica, adattabilità nei confronti delle richieste della società e anche dell’industria produttiva.
Obiettivi tutti questi non raggiunti, anzi, un fallimento totale, certificato e dimostrato.
Il sistema rincorre con affanno, molto distaccato, il progresso sociale, economico, commerciale, tecnologico e non raggiunge neppure i minimi risultati di equità culturale e sociale che ne giustificano la struttura.
La didattica a distanza, soluzione imposta dalla nuova situazione sanitaria è osteggiata e rifiutata da tutti: insegnanti e ragazzi e per un ben preciso motivo.
Nata con lo scopo condivisibile di permettere alle scuole di montagna di offrire un’alternativa agli spostamenti dei ragazzi su lunghi costosi e scomodi tragitti, si scontra con il sistema non supportato a sufficienza delle reti di comunicazione, inadeguate e lente se non addirittura assenti, in gran parte del paese. Il suo utilizzo intensivo si scontra da parte degli insegnanti con l’impreparazione e l’indisponibilità a modificare il comodo, gratificante, atteggiamento di supremazia culturale nei confronti degli studenti e la necessità di aggiornarsi e di aggiornare le metodiche di relazione.
Per i ragazzi invece il motivo è ancora più semplice: loro che su internet ci sono tutto il giorno, sono sempre connessi ma a gli serve il contatto fisico e relazionale.
I ragazzi hanno bisogno di guardarsi, toccarsi, parlare, sognare, cantare, ballare, giocare. La scuola è il loro mondo, il loro ambiente di vita quotidiano, un mondo separato e distinto da quello della società degli adulti, un mondo in cui le relazioni sociali si sviluppano e si intersecano facendoli crescere. Come i piccoli animali che sono, hanno bisogno di incontrarsi, annusarsi e scontrarsi.
Una società senza relazioni personali non è una società ma un mucchio di individui disadattati e dispersi.
Migliaia di insegnanti attuali e scomparsi dedicano e hanno dedicato e prestato la loro vita al mondo scolastico, a milioni di ragazzi che hanno contribuito personalmente a formare, nel bene e nel male, scontrandosi sempre con il sistema organizzato e conformista.
Chi ricorda qualche nome di insegnanti capaci per merito del valore legale del titolo di studio, autoaccreditati e in nome della meritocrazia autocertificati, inseriti e conformi, insegnanti di mestiere che non hanno saputo uscire dagli schemi e creare una relazione speciale individuando e stimolando interessi e curiosità, talenti, predisposizioni, indipendentemente dai test, dai voti, dalla classificazione sociale che questi comportano?
I ragazzi, in ogni epoca sempre quindici- diciottenni che frequentano la scuola, sono la scuola e come sono già stati in passato, saranno il futuro del mondo ma certamente sono il presente della società che li considera semplici utenti di servizi, consumatori in pectore. I ragazzi quelli che credendo di essere semplicemente lì per imparare con fatica e sacrificio, insegnano tanto a chi li guarda e ascolta.
Sono loro che in tutto il mondo capiscono e determinano la necessità di un cambiamento radicale nei modi e nei contenuti degli stili di vita perché loro sono il presente e partono da dove i loro insegnanti sono arrivati.
Un omaggio a chi ci ha provato perché insegnare non è un mestiere o meglio non è solo un mestiere ma partecipazione e coinvolgimento totale, infinite discussioni, confronti, pratiche attuate con risultati non sempre quelli attesi.
Lo stipendio, i libri, le verifiche, i voti unica valutazione accettata, le classi A e quelle B, punizioni formali e fasulle dei comportamenti scorretti, insopprimibili e tollerati, anche condivisi, comprensibili ma formalmente intollerabili, collegi docenti e consigli di classe, progetti richiama finanziamenti, corsi di autoformazione, noiosa correzione di compiti necessaria solo per dare voti; meritocrazia? Formalità e regole; le famiglie che intervengono e chiedono servizi sempre più sostanziali all’immediato, indifferenti per necessità agli scopi e alle potenzialità dei figli; lo stimolo a competere, sempre e comunque per motivi che gli alunni- utenti non capiscono, non condividono, non apprezzano.
Tutti questi contenuti non sono la scuola ma ‘il sistema’.
La gratificazione di un ricordo e di un riconoscimento dopo anni, nell’apprendere che molti allievi hanno superato i maestri o comunque trovato la loro via con soddisfazione è la ricompensa migliore di ogni insegnante.
Sarebbe ora di cambiare e di prendere atto della realtà: la scuola è un bacino di utenza commerciale dalla valenza economica e sociale enorme e come tale deve essere considerata ma nulla toglie a che possa anche essere il crogiuolo di una nuova coscienza sociale e culturale in grado di cambiare il mondo e gli stili di vita, le motivazioni e gli approcci. Questa è la cultura!



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