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Il clima che cambia e gli effetti attesi

03/11/20

Le proiezioni dai modelli climatici dell’IPPC destinati ai decisori politici del mondo nel rapporto del 2018 indicano aumento fino a 1,5°C e poi a 2°C, della temperatura media globale delle aree terrestri e oceaniche, al 2050. Il valore di 2°C è un limite ritenuto insuperabile per l’economia e la sussistenza delle popolazioni umane alle condizioni attuali.

L’azione antropogenica che ha contribuito al riscaldamento per circa 0,5°C nell’ultimo secolo, se mantenuta al tasso attuale risulta capace di produrre un ulteriore incremento pari a 0, 5°C entro questo secolo attuale. Quale sia l’azione antropogenica è presto detto: lo sviluppo produttivo esponenziale dell’Europa e degli USA nel secolo scorso, il mantenimento delle emissioni gassose ad effetto serra e l’aggiunta dall’inizio di questo secolo della Cina e dei paesi asiatici con le economie in forte crescita. Il resto dell’aumento di temperatura è naturale e attiene ai cicli periodici su scala geologica di un progressivo aumento dopo il picco glaciale di circa dodicimila anni fa.
Il riscaldamento è indicato come la causa dei picchi di calore che si verificano nella gran parte delle regioni abitate, delle precipitazioni intense e disastrose in diverse regioni e della probabilità di eventi siccitosi con carestie in alcune altre regioni. È ovvio che non tutta l’umanità può essere accusata dell’azione di inquinamento atmosferico ma l’informazione tende a suggerire questa ipotesi tentando di distribuire il carico di responsabilità e il costo conseguente. La maggior parte dell’umanità invece ha solo pagato e paga il prezzo senza averne goduto né goderne i benefici.
Ecco dunque insorgere il problema climatico e la necessità di un’azione forte e condivisa.
L'accordo di Parigi ha coinvolto 190 paesi, (conferenza sul clima COP21 del dicembre 2015) ed è il primo accordo universale giuridicamente vincolante per un’azione di contenimento e moderazione. del riscaldamento globale entro 1,5°C, al massimo 2ºC nel secolo in corso.
È entrato in vigore il 4 novembre 2016 con la ratifica di soli 55 paesi, pari comunque a circa il 55% delle emissioni attuali in atmosfera. Molti paesi hanno aderito solo in via di principio e gli USA si sono defilati in ragione di un valore assoluto molto minore di quelli europei e cinesi.
Percentuali e valori assoluti, impatto e densità di popolazione, interessi e ambizioni sono purtroppo indipendenti dai cambiamenti nel comportamento umano, negli stili di vita e sull’utilizzo del suolo che sarebbero assolutamente necessari per affrontare il futuro.
L’azione antropogenica inquinante interferisce con tutti i fattori ecologici complessivamente e risulta capace di modificare completamente il sistema nel quale agisce vive e si sviluppa l’umanità e gli equilibri che ne permettono la sopravvivenza. Già il contributo attuale persisterà negli effetti per un periodo di millenni continuando a causare ulteriori cambiamenti a lungo termine. Il riscaldamento comporta l’innalzamento irreversibile del livello dei mari che continuerà a salire anche dopo il 2100 e lo farà anche se il riscaldamento globale sarà contenuto nel migliore dei modi. L’inquinamento sta provocando la modifica degli habitat, la riduzione numerica delle specie pescabili e dunque della sua capacità di produrre benessere per gli uomini. Ogni aumento di 0,1 metri nell’innalzamento globale del livello del mare rispetto al 2010, significherà decine di milioni di persone in più esposte ai rischi ambientali, per molti sistemi umani ed ecologici. Oltre le economie ne risentiranno la salute delle persone e le loro condizioni sociali.
La riduzione delle risorse colpirà le popolazioni già svantaggiate che vivono ai margini dell’umanità tecnologica e ricca, vittime di carestie e scomparsa di habitat in grado di sostenerle per il caldo, l’innalzamento dei mari con modifica geofisica delle linee costiere e perdita delle zone di pesca e dell’allevamento, con acqua salata e inquinata in falde ora più o meno potabili e irrigue, gli incendi, le devastazioni metereologiche, le inondazioni.
Molti sistemi agronomici mondiali saranno parzialmente compromessi e molti dovranno essere radicalmente modificati con pianificazioni di decine di anni e interventi onerosi.
Le pattumiere del mondo, il sud del mondo non potrà resistere. Le popolazioni non potranno fare a meno di migrare massivamente verso nord. Il bisogno genera necessità e la necessità violenza. Oltre quelle che già ci sono scoppieranno altre guerre per il controllo delle risorse e dell’acqua peggiorando le cose.
Una parte della migrazione, la gran parte, sarà di tipo economico; si riverserà verso le aree ad economia maggiormente solida e lo farà sempre di più, trasportando le radici culturali delle popolazioni in movimento.
L’inurbamento nelle megalopoli sarà esponenziale creando serissimi problemi di integrazione tra culture e generando stratificazioni sociali di ogni tipo.
La gestione civile delle grandi città, la fornitura di servizi, la garanzia di sicurezza e cibo diventeranno la vera scommessa.
La tecnologia aiuterà ma sarà costosa richiederà immensi sforzi economici che qualcuno dovrà pagare e non potrà risolvere tutti i problemi. L’inquinamento, il degrado, la violenza, lo scontro urbano, sembrerebbero essere un futuro prevedibile nel secolo in corso.
Disuguaglianza e discriminazione, ingiustizia e inequità sociale ed economica costringeranno tutti a cambiare il proprio stile di vita, volenti o nolenti.
Lo hanno capito i giovani di tutto il mondo che insorgono contro questa continuazione di iniquità economica e sociale ma soprattutto contro la continuazione dei fattori antropogenici del cambiamento climatico ed ecologico.
L’adattamento sociale e la loro mitigazione sono gli imperativi.
I rischi riguardano ora tutta l’umanità secondo la localizzazione geografica delle aree interessate dagli effetti del riscaldamento, dalla vulnerabilità e dai livelli di sviluppo delle popolazioni e infine dalle scelte politiche sociali ed economiche che verranno fatte dai paesi evoluti dalle economie forti dagli stili di vita inquinanti ed energeticamente decisamente dispendiosi. Scelte che potranno essere coordinate, condivise, eque oppure indipendenti, localizzate al servizio esclusivo dell’economia e di chi ne gode e finché potrà goderne.
Occorrono interventi su due fronti: le grandi metropoli e le megalopoli sempre in espansione con la loro economia e società da integrare, le problematiche localmente limitate, e sul resto del pianeta utilizzato male dall’uomo con le aree produttive, inquinate e inquinanti e le zone di produzione agronomica e alimentare ma non bisogna dimenticare che esistono anche la biodiversità e gli animali e le piante e che in quelli, nella natura risiede la chiave per ogni possibile futuro della specie umana.
Sarebbe opportuno imparare a rispettarla.
Gli obiettivi dei giovani ecologisti sono semplici e chiari: mantenere e migliorare gli ambienti di vita e l’ecosistema in ogni parte del mondo! Ma non hanno le risorse né il potere per farlo dunque possono solo urlare sperando di essere uditi e ascoltati nel frastuono della informazione e disinformazione mirate ad altri interessi di parte.
Gli impatti negativi del cambiamento climatico non sono uguali nelle aree regionali, nazionali e mondiali. Clima ed ecologia, eguaglianza e diseguaglianza sociale, integrazione culturale, equità e ingiustizia, non possono essere argomenti affrontati separatamente ma le soluzioni non sono standardizzabili e anzi devono essere differenziate.
Occorre uno sforzo globale e veramente condiviso in nome e per conto della specie umana e non solo. Non c’è tutto il tempo per tergiversare. Non c’è tempo da perdere.



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