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Il risarcimento per l’irragionevole durata del processo, ai sensi della legge 24 marzo del 2001 n. 89 (legge Pinto)

26/10/20

La legge 24 marzo del 2001 n. 89 (legge Pinto), ha introdotto un procedimento per il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, derivanti dall’irragionevole durata del processo. Lo scopo di tale previsione è di tutelare il principio di ragionevole durata dei processi sancito dall’art. 6 CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) e dell’art. 111 della nostra costituzione (il giusto processo).

FotoLa legge 24 marzo del 2001 n. 89 (legge Pinto), ha introdotto un procedimento per il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, derivanti dall’irragionevole durata del processo.
Lo scopo di tale previsione è di tutelare il principio di ragionevole durata dei processi sancito dall’art. 6 CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) e dell’art. 111 della nostra costituzione (il giusto processo).
Indipendentemente dal grado in cui si concludono, il procedimento disposto dalla legge Pinto si applica alle controversie civili, ai procedimenti penali, ai procedimenti amministrativi, alle procedure fallimentari, e ai procedimenti tributari.
Ai sensi dell’art. 3, co. 1, L. 24/03/2001, n. 89, la competenza a decidere sui ricorsi per equa riparazione spetta al Presidente della Corte d’Appello (o da un diverso magistrato designato), nel cui distretto ha sede il giudice davanti al quale si è svolto il primo grado del processo, e la pronuncia sulla domanda di equa riparazione deve avvenire entro il termine ordinatorio di 30 giorni dal deposito del ricorso.
La soglia della durata ragionevole del processo prevista dall’art. 6 paragrafo 1 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, e dalla unanime giurisprudenza di legittimità, è di 3 anni per il giudizio di I grado, di 2 anni per quello di II Grado, e di 1 anno per quello di III grado (per un totale di anni 6, ma solo se esperiti tutti e tre i gradi di giudizio).
La Corte di Cassazione a tal riguardo ha osservato che “ai fini del riconoscimento dell’equo indennizzo, previsto dalla L. 24 marzo 2001 n. 89, anche quando il processo si sia svolto davanti a due diversi gradi giurisdizionali, è necessario avere riguardo all’intero giudizio, sommando ogni singola fase o grado, dall’introduzione fino alla pronuncia definitiva, secondo quanto deve desumersi dall’art. 4 che prevede un termine di decadenza per la proposizione della domanda di equa riparazione con decorrenza dal momento in cui la decisione, che conclude il giudizio, sia divenuta immodificabile” (Cass. Civ. Sez. I, 6 settembre 2007, n. 187220).
La proposizione della domanda di equa riparazione è subordinata alla sussistenza dei seguenti presupposti: irragionevole durata del processo; attuazione dei rimedi preventivi di cui all’art. 1-ter, L. 24/03/2001, n. 89 (tale requisito, richiesto a pena di nullità, è stato previsto dal 01-01-2016 e si applica ai procedimenti la cui durata, dopo il 31-10-2016, eccede i termini ragionevoli).
La Cassazione 26 gennaio 2004 n. 1338, 1339, 1340, 1341 ha precisato che il danno non patrimoniale “è una conseguenza presunta della violazione della ragionevole durata del processo e che quindi esso non necessita di alcun sostegno probatorio relativo al singolo caso ed il giudice deve ritenerlo sussistere ogniqualvolta non ricorrano nel caso concreto le circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente”.
Il legislatore ai fini di una più completa valutazione ha richiamato uno dei criteri di maggiore rilevanza impiegati dalla Corte di Strasburgo nella valutazione della violazione in oggetto, ossia il criterio della rilevanza della posta in gioco, difatti debbono essere rilevate la peculiarità del diritto azionato e l’importanza degli interessi in gioco e, dunque, assumono particolare valutazione, soprattutto, tutti quei procedimenti aventi ad oggetto diritti personali ed inviolabili dell’individuo, specie se trattasi di danno alla salute (in questi casi, per l’appunto, l’irragionevole durata del processo ha maggiore peso e rilevanza ai fini dell’indennizzo in esame).
L’indennizzo disposto dalla legge Pinto riguarda esclusivamente il lasso di tempo eccedente il termine ragionevole di durata del processo.
La norma specifica che, ai fini della determinazione dell’indennizzo, deve tenersi conto: a) dell’’esito del processo’; b) del ‘comportamento del giudice e delle parti’; c) della ‘natura degli interessi coinvolti’; d) del ‘valore e rilevanza della causa, valutati anche in relazione alle condizioni personali della parte’.
La legge di Stabilità 2016, iniqua sul punto modificato, ha poi ridotto la soglia minima e massima entro cui potrà essere liquidato l’indennizzo: il riformulato art. 2-bis, comma 1, ha infatti indicato nuovi parametri di liquidazione dell’indennizzo fissando un range compreso tra € 400 e € 800 per anno o frazione di anno superiore ai sei mesi di eccedenza sulla durata ragionevole del processo (in precedenza il range era fissato tra € 500 e € 1500), prevedendo tuttavia correttivi in aumento per i casi in cui il ritardo si sia eccessivamente prolungato, potendo la somma liquidata essere in tali casi aumentata sino al 20% per gli anni successivi al terzo e sino al 40% per gli anni successivi al settimo. L’ultimo comma dell’art. 2 bis prevede, peraltro, che, anche in deroga agli estremi dell’anzidetta “forbice”, “la misura dell’indennizzo non può in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice”, facendo emergere che con l’eventuale ulteriore indennizzo del danno patrimoniale unito a quello non patrimoniale la misura dell’indennizzo può, in deroga all’anzidetta forbice, essere pari al valore della causa o del diritto accertato dal Giudice, ma non superiore.
E’, dunque, consigliabile, anche e soprattutto al fine di ‘promuovere’ (in ogni ambito, e su iniziativa di chiunque sia stato leso dall’irragionevole durata del processo) una giustizia ‘giusta’ e in tempi ‘giusti’, di introdurre il ricorso per l’indennizzo ai sensi della legge 24 marzo del 2001 n. 89 (legge Pinto) ogni qual volta il diritto a una ragionevole durata del processo sia stato, palesemente e gravemente, violato.
Lo Stato, il quale è garante e promotore del rispetto della legge, non può, e non dev’essere, immune alle sue stesse leggi.
C’è, dunque, ancora bisogno di promuovere l’essenza del ‘diritto’ e della ‘giustizia’ in seno a una burocrazia tutta italiana, nella quale continuano ancora a prodursi ‘processi lumaca’…!!!
Stefano Ligorio



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