SOCIETA
Articolo

Intervista a Corrado Maria Daclon: “Dove va l’America”

30/07/18

Il dopo elezioni e la presidenza Trump analizzate da un esperto di Stati Uniti e politica internazionale

FotoTrump è stato finora, nelle elezioni e durante la presidenza, molto più forte di quanto i sondaggi e i media abbiano previsto. Ancora oggi fa registrare una popolarità record al 45%, secondo il sondaggio del Wall Street Journal insieme alla NBC, rilevato proprio tra il 16 e il 18 luglio 2018, a ridosso del faccia a faccia con Vladimir Putin. Da dove deriva questa forza e perché è stata così sottovalutata questa sua capacità di far presa sugli americani?

Lo abbiamo chiesto a Corrado Maria Daclon, dal suo osservatorio privilegiato di segretario generale e fondatore della Fondazione Italia USA, oltre che docente di geopolitica ed editorialista.

“Forse - risponde Daclon - dovremmo chiederci al contrario perché i media e i sondaggi non siano stati in grado, direi in molti casi non abbiano voluto percepire quanto invece a diversi osservatori appariva chiaro sin dalle fasi della campagna elettorale presidenziale. Che la totalità dei media americani non abbia avvertito il profondo malessere sociale che vive la popolazione americana è abbastanza curioso”.

“Michael Moore, che certo non può essere tacciato di trumpismo - continua il segretario generale della Fondazione Italia USA - aveva perfettamente previsto già durante la campagna elettorale su Huffington Post perché Trump sarebbe stato eletto: ‘5 motivi per cui Donald Trump vincerà’. Continuare a ripetere fino alla notte elettorale, come hanno fatto tutti i media negli USA e in Europa, che la vittoria di Hillary Clinton era data all’85 o 90 per cento mi è subito parso qualcosa di avventato. Infatti Trump è arrivato a parlare di alcuni sondaggi falsati ad arte. Forse sarebbe stato giornalisticamente più obiettivo affermare che la battaglia era ancora aperta per entrambi i candidati”.

Abbiamo cercato di approfondire meglio con il nostro interlocutore le ragioni di questo gradimento: “L’America non è New York - puntualizza il professore - non è l’alta finanza o i salotti di Park Avenue. L’America sono le fattorie del Kansas, le industrie del Michigan. Continuare a pensare che quello che scrive il New York Times, che è impossibile trovare in un’edicola americana al di fuori della città di New York, è quello che pensa l’America rappresenta il classico errore che porta a sottovalutare fenomeni come Trump. Se qualche migliaio di newyorkesi legge il New York Times, altri 300 milioni di americani leggono la gazzetta del loro villaggio, o meglio non leggono nulla, o guardano sporadicamente qualche canale televisivo, o ascoltano la radio locale. Tra i repubblicani oggi la popolarità di Trump è all’88%, un record superato solo da George W. Bush, ma in una situazione straordinaria: subito dopo l’11 settembre. Analizzando i miei incontri avuti in passato con alcuni presidenti americani, da Bush a Obama, ho percepito subito che l’irritualità di Trump avrebbe rappresentato una rottura rispetto il passato e rispetto certe formule della politica”.

Perché Hillary Clinton non è piaciuta? “Hillary non è piaciuta alla maggioranza degli americani perché è il già visto - sottolinea Daclon - è stata già tutto, first lady, segretario di Stato, senatore. Se si vuole cambiare, se c’è una richiesta di cambiare, certo il modello di cambiamento non si può identificare con lei che vive di politica da sempre. Per questo Sanders riscuoteva molto successo nelle primarie, ed ora si parla persino di lui come candidato in un ticket presidenziale democratico nel 2020”.

E’ stata la rivolta dei contadini contro il sistema, secondo Alan Friedman. Condivide? “Condivido come sempre l’analisi dell’amico Alan Friedman - conferma Daclon -. E ripeto, l’America non è Manhattan, ma una realtà molto, molto più complessa e socialmente stratificata. Gli appelli di premi Nobel, gli endorsement di economisti, non solo non portano e non hanno mai portato nulla in termini di voti, ma in molti casi possono perfino allontanare il candidato dall’elettorato più comune delle fasce sociali popolari”.

Il partito democratico ha fallito? E si può dire che non ha vinto neanche il partito repubblicano? “Non parlerei più di partiti - risponde il segretario generale della Fondazione Italia USA - che dopo questa elezione, particolarmente nelle primarie, hanno dimostrato come in realtà gli elettori scelgano il candidato e non i partiti. Trump è il primo presidente ad aver vinto contro i media, contro i sondaggi, contro il partito democratico e, va detto, anche contro il partito repubblicano che gli ha scatenato contro un boicottaggio senza precedenti nella storia americana. L’elezione di Trump è solo un termometro di una febbre profonda, di una sofferenza sociale e di una dolorosa insoddisfazione. L’elezione di Obama aveva acceso attese ed aspettative enormi, ma come sappiamo maggiori sono le aspettative e più dirompenti sono le delusioni se queste aspettative non si realizzano”.

E l’Europa, chiediamo? “Penso - risponde il professore - che non sarà certo la politica estera americana a mancare di ruolo o ad avere un ruolo ridotto nello scenario internazionale, semmai sarà la politica estera dell’Unione Europea ad essere ancora, come purtroppo è ora, troppo assente e divisa”.



Licenza di distribuzione:
INFORMAZIONI SULLA PUBBLICAZIONE
Fondazione Italia USA
Responsabile account:
Giulio Di Biasi (volontario stagista)
Contatti e maggiori informazioni
Vedi altre pubblicazioni di questo utente
RSS di questo utente
© Pensi che questo testo violi qualche norma sul copyright, contenga abusi di qualche tipo? Contatta il responsabile o Leggi come procedere