ARTE E CULTURA
Articolo

Arte e animali in Vergogna di Coetzee

26/03/12

Cosa hanno in comune l'arte e il rispetto per gli animali? Vediamolo in uno dei più famosi romanzi del nobel J.M. Coetzee

L’ultima tematica che affronteremo in Vergogna riguarda l’attività artistica di David Lurie attorno al suo libretto d’opera.
Il lavoro di David attorno al suo libretto, che all’inizio del romanzo non è altro che un vago proposito, acquista un’importanza crescente e giunge “a consumarlo giorno e notte”.
Contemporaneamente, l’idea stessa dell’opera lirica viene trasformandosi, di pari passo al processo che investe il protagonista nella seconda parte del libro. “Byron in Italia, una meditazione sull'amore eterosessuale in forma di opera da camera”, così la definisce David nelle prime pagine del libro. Più avanti, discutendone con Lucy, preciserà l’intenzione di prendere a prestito la maggior parte della musica. Il primo progetto dell’opera è incentrato sugli ultimi anni di Byron a Ravenna, ospite dell’amante Teresa Guiccioli e del marito. Dopo l’assalto e lo stupro della figlia, David rivedrà a fondo il suo progetto. In un lungo passo del testo, nella casa saccheggiata a Cape Town, Lurie critica chiaramente la vecchia idea e pone le basi per la nuova opera:

Una pièce da camera sull'amore e la morte, con una giovane donna ardente e un uomo più maturo, che ha conosciuto la passione ma ora è spento; un'azione sorretta da una musica complessa e incessante […] Tuttavia, come già aveva avuto presentimento alla fattoria di Lucy, il progetto non lo avvince più. C'è qualcosa che non funziona, qualcosa che non viene dal cuore. Una donna che leva il suo lamento alle stelle perché i domestici ficcanaso la costringono ad appagare le proprie voglie nello sgabuzzino delle scope... e chi se ne frega?

Inoltre David trova dei problemi con la musica: “[L]a Teresa tramandata dalla storia - giovane, avida, caparbia, petulante - mal si adatta alla musica che David ha in mente, una musica le cui armonie, rigogliosamente autunnali ma affilate dall'ironia, gli riecheggiano smorzate nell'orecchio interno”.
Una nuova sensibilità anima David davanti al lavoro; gli aspetti formali passano in secondo piano davanti a quel qualcosa che non funziona, quel qualcosa che non viene dal cuore. La stessa musica, su cui in realtà David ha fantasticato fin quasi dall’inizio del romanzo, diviene un fattore di primissima importanza: la figura storica di Teresa si adatta male al suo progetto, e David decide di restare fedele alla musica, stravolgendo l’impostazione del suo lavoro. “David decide di tentare un'altra strada […] cerca di tratteggiare Teresa nella mezza età [1]. Ora Teresa è una vedova grassottella, e nella nuova versione dell’opera Byron è morto da un pezzo. “È questa l'eroina che stava cercando? Una Teresa più matura sarà capace di avvincere il suo cuore nelle condizioni attuali?”.
Quest’ultima frase stabilisce chiaramente il legame che intercorre tra la nuova opera e il nuovo “stato” del protagonista.
“Il tempo non l'ha risparmiata”. David immagina Teresa sfiorita, perseguitata dall’idea delle lettere, e dei libri che le raccolgono, in cui Byron la deride: “Questi libelli la feriscono nel profondo. Gli anni passati con Byron
costituiscono il momento culminante della sua vita. L'amore di quell'uomo è il suo unico vanto. Senza di lui non è più niente: una donna sfiorita, senza prospettive, che trascorre i suoi giorni in una monotona cittadina di provincia […]”. David si domanda se riuscirà ad amare la nuova Teresa abbastanza da scriverle una partitura musicale. Immagina la situazione, inserisce la voce del fantasma di Byron e lavorando rapidamente abbozza le prime pagine di un libretto:

Metti le parole sulla carta, si dice. Dopo sarà tutto più facile. Cercherai con calma fra i maestri [...] plagiando melodie e forse - chi può dirlo? - nuove idee. Ma gradualmente, vivendo le sue giornate in compagnia di Teresa e del fantasma di Byron, David si accorge che le canzoni rubate non saranno sufficienti, che i suoi due personaggi esigeranno una musica tutta loro. E, cosa strana, a spizzichi e bocconi la musica prende corpo.

David comincia ad adoperare un banjo di Lucy, e il plin-plon del giocattolo diviene inseparabile dal personaggio di Teresa.

Nell'opera non si avvicina né a Teresa né a Byron, e neppure a una miscela dei due: il suo posto è nella musica, nel suono piatto e metallico delle corde del banjo, nella voce che freme per liberarsi dal ridicolo strumento e innalzarsi ma viene continuamente trattenuta, come un pesce preso all'amo.
Questa dunque è l'arte, pensa, e questi sono i suoi meccanismi! Strano, ma allo stesso tempo affascinante!

Tornato a Grahamstown, abituatosi a passare intere giornate alla clinica, David finirà per suonare e cantare pezzi della sua opera a una platea di animali.
Sarà nel cortile della clinica che Zampasecca tenterà di unirsi al suo canto:

L'animale è affascinato dal suono del banjo. Quando David strimpella, si tira a sedere, piega la testa di lato, ascolta. Quando lui canticchia la parte di Teresa, e la sua voce comincia a gonfiarsi di sentimento (come se la laringe s'ispessisse: David sente il pulsare del sangue in gola), il cane sbatte le mandibole e sembra sul punto di mettersi a cantare, o ululare, con lui.

E David prenderà in considerazione l’idea di aggiungere una nuova voce alla sua opera: “David si chiede se oserebbe portare un cane in scena, perché levi il suo lamento al cielo tra le strofe di una Teresa disperata d'amore. Perché no? In un'opera che non verrà mai rappresentata, tutto è lecito”. L’idea sembra ancor meno assurda, dato che David immaginava, poco prima, il canto di Teresa come un ululato scatenato dalla passione. Poco dopo realizza, inoltre, come la sua “opera” si sia ormai ridotta a una "una lunga, esitante cantilena che Teresa lancia nel vuoto...”.
Il collegamento che Attridge istituisce fra la tematica animale e quella artistica sembra avvalorato anche oltre questo esplicito contatto: lo stesso cambiamento che Teresa subisce sembra avvicinarla a Lurie e più specificamente alla sua situazione di dis-grazia; e inoltre, un discorso più generale sembra porre in parallelo l’attività artistica di Lurie a quella dello stesso Coetzee, nella specifica situazione dell’apertura all’Altro-animale.
Derrida, in “Che cos’è la poesia?” afferma che il pensiero dell’animale “se esiste, appartiene alla poesia – ecco una tesi – ed è proprio ciò di cui la filosofia, per sua natura, ha dovuto privarsi. Qui sta la differenza tra pensiero filosofico e pensiero poetico”[2]. Ne L’animale che dunque sono, Derrida pone in evidenza il profondo disconoscimento della questione animale nella tradizione, ma riconosce al contempo una forte presenza animale nella letteratura e nell’attività poetica umana. Coloro “che dicono di assumere su di sé l’appello che l’animale rivolge loro, ancora prima di avere il tempo e la possibilità di sottrarvisi”, dice Derrida, “sembrano essere piuttosto poeti o profeti, che si esprimono tramite la poesia o la profezia”. È tra queste figure che si pone Coetzee nella sua ricerca poetica. Quanto abbiamo indagato nella nostra indagine, stabilendo dei parallelismi con la ricerca derridiana, vuole riconoscere lo statuto pienamente poetico dell’esperienza proposta al lettore di Vergogna per quanto riguarda i rapporti dell’uomo con l’alterità animale; evidenziando come attraverso l’attività poetica possano trovare risposta e rappresentazione alcune delle questioni centrali sollevate nella nostra breve incursione attorno al concetto di animale.
Come scrive Attridge: “Coetzee offre due soluzioni correlate alla moltitudine di problemi del periodo storico che viene a delinearsi nel romanzo. La produzione artistica e la rivendicazione della responsabilità umana nei confronti degli animali. Ciò che sostengo è che uno dei più incisivi risultati raggiunti dal romanzo risiede nella ficcante insistenza sul fatto che nessuno dei due arriva separatamente a costituire una via d'uscita concreta, mentre, al contempo, quando i due elementi convergono, producono un'esperienza, al di là della razionalità e dell'utilità misurabile, che si fa prova del loro fondamentale valore”[3].
Insomma Coetzee effettua una connessione alquanto particolare.
Noi non siamo solo raziocinio. Altre nostre facoltà conoscitive spesso ci permettono di sentire e comprendere subito la nostra fratellanza con gli animali (o ciò che è giusto e sbagliato fare nei confronti dei nostri simili).
Queste facoltà conoscitive che non hanno il loro punto di origine nella facoltà della ragione, giocano un ruolo fondamentale anche nella produzione di opere d'arte.
Ed ecco come l'arte e la necessità di una nuova posizione etica nei confronti degli animali convergono: entrambe possono (e devono) passare al vaglio della ragione, ma entrambe possono, inoltre, rendere conto di quella spinta etica di carattere empatico che l'uomo sente ma di cui spesso non riesce a rendere conto in base a riflessioni prettamente razionali.



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