Christian Aleotti, we are champions… and heroes
Potremmo essere campioni ed eroi. Anzi, siamo già campioni e potremmo essere eroi, anche per un solo giorno. È incredibile come due canzoni, scritte nello stesso anno, siano riuscite a farsi contro canto: un gioco di rimando, uno specchio, attraverso il quale gridare al mondo che ce la possiamo fare e forse siamo eroi già per questo.
Correva l’anno 1977, “We Are the Champions” dei Queen e “Heroes” di David Bowie, uscivano insieme e non sarà stato un caso. Il mondo viveva un momento incerto, come sempre del resto: terrorismo politico e le prime conseguenze delle crisi petrolifere che avrebbero condizionato tutto il resto del millennio erano solo alcune delle variabili instabili che condizionavano la vita di persone e imprese. E, per il capo di un’azienda, il modus operandi era quello non farsi tante tante domande sulla performance, si guardavano i risultati. Insomma si faceva e basta.
Oggi - racconta Christian Aleotti, co-CEO di Cellularline - per il leader di un’impresa o di una startup, come per un suo dipendente, il successo e soprattutto la capacità di essere efficienti sta nel comprendere e anticipare con fiducia le molte incertezze tipiche della nostra epoca. Tipo: riorganizzazioni causate dalla pressione commerciale; nuove richieste da parte delle generazioni di lavoratori più giovani e anche di quelli che lo sono meno; digitalizzazione del lavoro, globalizzazione del mercato. Solo per citarne alcune, le quali accomunano tanto il dipendente quanto il suo datore di lavoro.
L’export e la tecnologia – continua Aleotti - sono e resteranno una incredibile opportunità per il lavoro, e i talenti italiani devono essere sempre più competitivi e sfidanti.
Perché?
Per la volatilità innanzitutto: i cambiamenti del mercato sono repentini.
Per l’incertezza: al cambiamento segue la precarietà del nostro lavoro, intesa come fluidità delle nostre mansioni e necessaria evoluzione costante delle nostre competenze.
Per la complessità: le nostre decisioni sono sempre più interdipendenti. Ciò che decidi di fare, ricade molto velocemente sugli altri.
Per l’ambiguità: le informazioni che possiamo reperire sono a volte fallaci, insufficienti e interpretabili, a fronte delle fonti non sempre verificate. E su queste pesa l’asimmetria delle conoscenze del collaboratore, del dipendente e dell’amministratore di un’azienda.
Tutte cose che vanno messe nell'agenda di un imprenditore, sottolinea ancora Aleotti.
L’insicurezza personale è la prima conseguenza: le persone, tutte, diventano più estreme nell'esprimere le loro certezze e le loro preferenze individuali quando vivono in uno stato di incertezza. In questo modo gestire un team diventa complicato. E quando si apre una falla nel team, i gap di comprensione si fanno più grandi. Come fare quindi?
Per quanto mi riguarda, a maggiore incertezza bisogna rispondere con più attendibilità, ascolto, complicità e comprensione dell’altro.
Nel mio quotidiano ho messo a punto una sorta di ricetta: semplificare le informazioni, essere più diretto, trasparente e condividere quel che faccio.
E qui, forse, si può tirare un sospiro di sollievo perché la condivisione è alla base di ogni azione ormai, piaccia o no. Le ambiguità fanno sempre male pertanto si deve essere più direttivi e decisionisti stabilendo obiettivi chiari e fornendo al team le informazioni necessarie per il raggiungimento degli stessi.
Ora, c’è sempre qualcuno che si sta chiedendo se tutte queste abilità le possiede già. Il punto è che queste (benedette) soft skills vanno coltivate prima che arrivi il momento di applicarle. Tradotto: allenarsi a farlo nella vita quotidiana, in ogni rapporto, come i 30 minuti di attività fisica quotidiana consigliati dal medico. “Nothing will keep us together, we can beat them, for ever and ever, Oh we can be heroes, just for one day”.
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