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Due cuori e nessun tetto: “Ecco la nostra relazione da clochard”

13/02/17

Clochard sinonimo di solitudine? Non è così per Maria e Robertino, due senzatetto di Como che, dal 2005, si fanno forza l’uno con l’altra, mano nella mano, attraversando le difficoltà che la vita ha messo loro in faccia. Li abbiamo intervistati grazie all’aiuto de I Vicini di Strada di Como, associazione di volontariato che si occupa di marginalità. 

FotoInizia a raccontarsi Maria: “Ho 53 anni, nata a Milano da papà veneto e mamma casertana”.

Raccontami la tua infanzia
“Ho perso mio papà a 14 anni e ho una sorella. Comunque ho avuto una bella infanzia e anche una bella giovinezza. Ho studiato ragioneria e poi ho lavorato. Ho avuto dei buoni posti, ho lavorato bene. Poi la ditta è fallita, ha cambiato gestione. Poi ho lavorato con un notaio che poi ha chiuso lo studio. Successivamente ho fatto la badante e non la vorrei più fare perché stata davvero dura. Ora barcameno un po’ tra Sardegna e Toscana, però con un lavoro che ha poco futuro. Stai bene al momento e basta”.

Alla chiusura dell’ufficio notarile nel quale lavoravi, cos’è successo?
“Ho lavorato in una agenzia immobiliare, dopo basta. Ho fatto solo lavoretti. Poi ho lavorato anche in università, alla Statale di Milano”.

Robertino: “Io intanto lavoravo alle piscine comunali di Bollate. Quando ho conosciuto Maria lavoravo lì”.
Maria: Sì, vivevo a Bollate perché avevo una relazione con una persona da un po’ di tempo”.

Quindi, Maria, ai tempi la tua vita era stabile e riuscivi a mantenerti?
“Ho sempre lavorato e mi sono sempre mantenuta. Avevo una casa, stavo bene. Ho viaggiato molto, sia per lavoro che per piacere. Poi ho perso il lavoro e, nel frattempo, ho conosciuto lui.
L’età era quella che era, ho iniziato a lavorare 14 anni. Poi avevo 40 quando ho terminato il mio lavoro alla Montedison. E da lì si sono susseguiti i miei altri lavori e, alla fine… non ero più giovane.

Ho dovuto anche seguire mia mamma che stava male, è stata malata per dieci anni prima di morire ed è mancato anche il marito di una mia sorella in età giovane. Abbiamo avuto insomma diverse difficoltà familiari allo stesso tempo.
Poi anche io mi sono ammalata, ho avuto problemi al cuore e mi hanno operata”.

Come vi siete conosciuti tu e Robertino?
Maria: “Sfortuna vuole che, quel giorno, il bar dove andavo solitamente fosse chiuso. Così mi è capitato di andare da lui. Era il 2005”.

Robertino: “È entrata, ‘mi scusi mi fa un caffè’? Poi, quando è venuta in cassa per pagare, le ho detto: ‘Non mi devi niente, luce dei miei occhi’. Così abbiamo iniziato a frequentarci, chiudevo il bar alla sera, stavamo lì un po’ e parlavamo”.

Maria: “Non avevamo la possibilità di vivere insieme. Io ero in affitto in una casa, poi ho dovuto lasciare tutto perché, non avendo più un lavoro, non potevo più pagare”.

Robertino: “Io, invece, dormivo dove lavoravo perché da tempo non avevo più una casa. Sono partito da Linate, ho lavorato lì per 5 anni. Poi mi è stata riscontrata la tubercolosi e ho fatto 6 mesi al centro di Sondalo (Valtellina ndr.). Da lì, ripartito, ho trovato lavoro a Bollate. Il mio capo poi è andato in Toscana e io l’ho seguito. È grazie a lui che lavoriamo io e Maria da anni, sempre con lavori temporanei”.

Maria: “Ogni volta che lavoriamo in Toscana, Sardegna, a Bollate, è sempre grazie a lui. Abbiamo in quei casi vitto e alloggio ma non abbiamo mai retribuzione. È per quello che, quando torniamo, siamo punto a capo… anzi peggio.

Sono solo lavori stagionali. Lavorando così non abbiamo niente. Siamo peggio di prima, tornando a Como, perché tante cose si interrompono: tanti non ci credono che andiamo a lavorare senza prendere soldi, pensano che fingiamo. E tutto così diventa difficoltoso. Ci sta bene per il momento perché almeno riusciamo a vivere meglio in quei momenti”.

Come siete arrivati a Como?
Robertino: “Sono venuto a Como perché i miei parenti sono di queste zone. E lo stesso nostro aggancio di lavoro mi aveva trovato qui una occupazione”.

Maria: “Io intanto ero a Milano e non stavo lavorando, quindi l’ho seguito a Como”.

Robertino: “Ho seminato curriculum da tutte le parti ma mai nulla. Però sono riuscito a trovare un lavoro stagionale anche a Cortina, dalla primavera alla fine dell’estate”.

Quindi dal 2005 non avete una casa, un posto fisso, un lavoro fisso… come potete definire questa esperienza? Cosa significa non avere un tetto sopra la testa da così tanto tempo?
Insieme: “Non ho parole. Non so descriverlo. Non lo spero per nessuno”.

Maria: “Ho fatto una bella vita, dignitosa con il mio stipendio e la mia casa. Ora non so cosa dire, è brutto. Ti senti persa”.

Robertino: “I momenti di sconforto ci sono. Sono stato 3 mesi e mezzo senza poter vedere Maria, stavo davvero male”.  

Maria: “Il classico ‘mal comune e mezzo gaudio’. Insieme ci si consola”.

Robertino: “Giovedì 14 marzo 2016 lei ha rischiato di morire. Ha avuto un arresto cardiaco. È stato bruttissimo. Per fortuna, in quel momento passava un membro della Croce Rossa, le ha aperto immediatamente il giubbino, le ha fatto il massaggio cardiaco e ha chiamato l’ambulanza. Pensa che eravamo lì che stavamo parlando tranquillamente e mi si è accasciata addosso. Quando è uscita dal reparto, hanno messo a me un registratore del cuore. Anche io ho problemi cardiaci”.

Robertino, quindi tu hai una famiglia a Como?
“Mia mamma, mio papà e mio fratello. Siamo andati a mangiare da mio papà a Natale. Ora non potrei stare da loro, non c’è posto. Vivono in una casa davvero piccola. Mio fratello, invece, vive in una casa comunale, quindi non possiamo andare da lui.

Mio papà si è proposto di aiutarmi economicamente per trovarmi un appartamento. Però io non ho accettato. Avrebbe significato far spendere un sacco di soldi a mio padre e non avrei potuto poi mantenermi, non avendo un posto fisso”.

Maria, tu invece hai solo tua sorella e non puoi appoggiarti?
“No, suo marito da 3 anni è malato. Non cammina più, è in carrozzina. E non ho certo intenzione di farli sentire a disagio, vivono già in una situazione precaria loro”.

Quindi ora dove state per dormire?
Maria: “Ora usufruiamo del programma ‘Emergenza Freddo’ di Como. Mentre, durante l’estate, siamo appunto in Toscana o Sardegna con questa persona che ci offre lavoro. Fino ad ora, comunque, abbiamo sempre trovato sostegno grazie alla Caritas.

Ho sempre dormito con un tetto sopra la testa grazie a loro. Non sono mai stata abbandonata. Quando mi hanno operata, mi hanno dato ospitalità dalle suore. Devo dire sempre grazie alla Caritas. Siamo arrivati a Como ormai 5 anni fa”.

Quanto conta l’aiuto dei volontari?
Robertino: “Secondo me conta tantissimo. Il volontario ci mette tutta l’anima e la volontà, bisogna poi vedere a chi va in contro questa volontà. Alle volte trovano cafoni. Loro ci mettono tutta la loro buona volontà anche in quel caso ma di certo per loro non è semplice”.

Maria: “La vita in questa condizione è brutta. Però la vedi in una maniera diversa. Ti insegna tanto”.

Qual è l’insegnamento più grande che traete da questa esperienza?
Robertino: “Di non ripeterlo più”.

Maria: “La comprensione verso gli altri. Tante volte, tante cose, le si prendono sotto gamba. Ora invece ci ragioni di più, comprendi di più”.

Come immagini il tuo futuro?
Maria: “Ora niente. Ho paura. C’è speranza però ho tanta paura”. 

Qual è la vostra canzone?
“E… di Vasco Rossi”.



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