Educazione e cervello: il ruolo dell’educatore nel rispetto della neurofisiologia
In un'epoca in cui il mondo virtuale sta prendendo il posto delle relazioni e delle esperienze reali nel cervello dei nostri ragazzi, è necessario che gli educatori, genitori, insegnanti, conoscano le principali tappe maturative del cervello umano per restituire ai bambini e agli adolescenti il piacere di sapere e di scoprire se stessi, gli altri, il mondo vero.
Intervento al Convegno
“Cari bambini, cari ragazzi: Idee per rapportarsi con i minori”
Sala della Prefettura di Viterbo
28 Marzo 2009
“Gli Dei hanno dato agli uomini due orecchie
e una bocca per poter ascoltare il doppio
e parlare la metà.”
(Talète, 624 a.C.)
“Adulti imparate ad ascoltarci
le nostre parole valgono
sono importanti, dateci a mente.
Ritornate bambini
riscoprite le vostre emozioni perse
vedrete che ci capirete meglio.”
(Anonimo dell’ITIS)
Quando si parla di sviluppo non ci si riferisce ad un processo lineare ed omogeneo, bensì ad un complesso divenire di diverse variabili endogene che si intersecano, a loro volta, con le variabili ambientali. Dopo gli studi, fondamentali, di Piaget, Vigotskij, Bruner (versante cognitivo) e di Anna Freud, Klein, Mahler (versante psicodinamico), oggi siamo concordi nell’affermare che lo sviluppo inteso come susseguirsi di tappe è superato, e preferiamo parlare di costruttivismo, secondo modelli interazionali dinamici in cui l’organico (potenzialità e vulnerabilità) è costantemente embricato con l’esperienziale (funzionale o disfunzionale) per dar luogo a transazioni sistemiche.
Per costruttivismo intendiamo, in sintesi, l’interrelazione dinamica tra cervello (fisiologia, biologia, genetica) e ambiente (socio-educativo e affettivo) dalla quale dipendono, appunto, tempi, modi e qualità dello sviluppo individuale in quanto incessante relazione dinamica tra dentro e fuori, o meglio, tra le diverse dimensioni di ciò che è interno al soggetto e le diverse dimensioni di ciò che lo circonda (esperienza).
Insomma, non c’è individuo senza interazioni, ovvero senza relazione, a tutti i livelli.
In questo universo relazionale rientra a pieno titolo il rapporto tra adulti e ragazzi, che sarò l’oggetto di questo intervento.
Ma prima è necessaria una premessa, con alcuni cenni sulla maturazione neurofisiologica.
Cenni di neurofisiologia dello sviluppo cerebrale
Il cervello si accresce con sorprendente rapidità nei primissimi anni di vita, in costante dipendenza tra struttura/esperienza (connessionismo), per poi decrescere in velocità di accrescimento negli anni successivi.
Ma tale tasso di crescita non è invariabile per tutte le aree cerebrali: maturano con maggiore velocità le aree primarie legate ai sensi e le porzioni sottocorticali deputate ad elaborare le emozioni (cervello arcaico, finalizzato alla sopravvivenza e all’adattamento).
Sviluppano più tardivamente quelle legate al pensiero, alla cognitività (neocorteccia, finalizzata all’elaborazione soggettiva delle esperienze) ed in questa neocorteccia la più tardiva a maturare è quello prefrontale, legata alla soggettività, all’autodeterminazione, alla soluzione dei problemi, al decision-making, che non si completa prima dei 20-22 anni.
Di conseguenza un individuo non può giungere all’autodeterminazione se non gradualmente, dinamicamente, in relazione alle fasi di sviluppo e in sinergia sistemica tra dotazione biologica ed esperienze vissute.
Prime fasi dello sviluppo e attaccamento
Possiamo dire che lo sviluppo del cervello è esperienze-dipendente e la principale fonte di esperienza per ogni neonato/bambino proviene dal tipo di accudimento che riceve e dall’attaccamento che stabilisce che chi si prende cura di lui.
Se l’adulto che si occupa del bambino è presente, disponibile, caldo, accogliente, empatico, ossia se sa rispondere con coerenza e costanza ai bisogni affettivi (prim’ancora che materiali) del bambino, darà luogo ad un attaccamento sicuro, il bambino sarà sereno e capace di distaccarsi dalla figura di accudimento per iniziare i primi processi di autonomia – esplorazione.
Nei primi anni di vita è dominante l’emisfero destro del cervello, deputato ad elaborare le informazioni a valenza emozionale-relazionale, in una fase di età = sviluppo neurofisiologico pre-verbale.
La plasticità neuronale è somma: con grande velocità si formano numerosissime connessioni sinaptiche e si produce quell’arborizzazione dendritica che porterà il cervello a disporre di miliardi di collegamenti tra cellule nervose, i neuroni.
Successivamente, con l’acquisizione dell’importantissimo strumento del linguaggio, le attività individuali e sociali tendono ad essere mediate dalla parola e questo crea uno shift a sinistra, ovvero tende a divenire dominante l’emisfero sinistro.
Quando il bambino giunge a scuola, nel suo cervello sono già avvenuti (o meno) importantissimi sviluppi che ne fanno un soggetto sicuro, ovvero insicuro, evitante, dipendente, ecc.
Adolescenza e sviluppo dell’identità
Un importante fenomeno che caratterizza l’adolescenza è lo sviluppo del sé: la maggiore maturità intellettiva rende l’adolescente più interessato e più critico verso il proprio ambiente di vita e maggiormente consapevole come soggetto dell’interazione con un contesto sociale più ampio.
Mentre nelle precedenti fasi di sviluppo il fanciullo si identificava con persone della sua esperienza concreta, durante l’adolescenza la scelta dell’oggetto di identità diventa molto più complesso, le relazioni si estendono e irrompe – grande novità rispetto al passato – l’utilizzo dei mezzi di comunicazione virtuale che rendono l’esperienza soggettiva a rischio in quanto si crea una dissociazione tra crescita ed esperienza.
Dal punto di vista neuropsicologico l’adolescente comincia a formarsi il suo “Io” cosciente sulla scorta di conferme/rifiuti delle pregresse memorie (apprendimenti) in relazione alle nuove esigenze.
Infatti, nel cervello dell’adolescente le pregresse memorie, nell’infanzia assorbite e vissute automaticamente, acriticamente, cominciano ad essere filtrate alla luce di un proprio senso di identità (ancorché in formazione), del proprio “io cosciente”.
I lobi prefrontali (autodeterminazione e progettualità) iniziano a maturare e a “rileggere” criticamente le informazioni depositate precedentemente in memoria, operando conferme o rifiuti.
L’adolescenza può rappresentare il periodo di maturazione di “semi” gettati nell’infanzia, dando luogo a un divenire più o meno armonioso delle potenzialità e delle idee del soggetto (costruzione dell’individualità nel tempo e nello spazio = progetto finalizzato), oppure può costituire un periodo estremamente critico di vulnerabilità in assenza di un pregresso progetto educativo funzionale non solo all’attualità ma anche al divenire (frattura rispetto all’infanzia e ricerca “casuale” di una identità più o meno condizionata = tentativi ed errori).
Il ruolo degli adulti
Considerando che lo sviluppo umano è dato dal più o meno armonioso incontro del substrato organico con l’ambiente di relazione dell’individuo, il ruolo dell’adulto è fungere da mediatore saggio, maturo, consapevole, tra questi due habitat.
In altre parole, il nostro intervento educativo deve far sì che possa aver luogo questo incontro fisiologico e dinamico nel modo migliore, predisponendo per quanto possibile un ambiente stimolativo adeguato all’espressione delle potenzialità innate (autopoiesi).
L’educazione, in questo senso, non deve limitarsi a fornire dati di conoscenza (informazione) ed a permettere la formazione, ma deve rappresentare lo strumento elettivo dell’individuazione, dello sviluppo dell’individualità, ossia dell’emersione di quell’unicum dinamico dato dall’incontro, per così dire, tra natura e cultura.
Noi educatori, genitori, insegnanti, abbiamo un ruolo importantissimo in questo processo di sviluppo, un ruolo complesso e di grande responsabilità, soprattutto nella fase storica attuale in cui, come accennato, emerge una terza dimensione nelle relazioni umane, quella virtuale.
Questo complicato intersecarsi di dimensioni ci obbliga ad uscire dalla logica lineare, bidimensionale, del tipo binario o… o…, se… allora…, e ad entrare nella logica sistemica, circolare, di tipo multifattoriale, che dà vita ai processi auto-poietici, dai quali può emergere l’autodeterminazione individuale.
Nella prima fase di sviluppo, allorquando il bambino vive soprattutto di emozioni, il ruolo dell’adulto è permettere il radicarsi di un solido attaccamento, foriero di sicurezza in se stesso, grazie ai noti processi di identificazione/separazione.
Nella seconda infanzia, il cosiddetto periodo di latenza, il ruolo dell’adulto è consentire al bambino di sperimentarsi serenamente nell’ambiente fisico-naturale e in quello di relazione, sostenendolo di fronte alle frustrazioni, arricchendolo di stimolazioni cognitive in sintonia con i suoi vissuti emozionali.
Tali stimolazioni devono raggiungere l’individuo, specialmente in età evolutiva, con gradualità e piacevolezza, fino a creare un dialogo tra i propri sensi (recettori degli stimoli) e l’ambiente esterno (che tali stimoli invia).
Una stimolazione improvvisa, troppo intensa o troppo prolungata pone i recettori (e l’organismo in toto) in condizione di difendersi (stress o trauma) e crea una memorizzazione negativa rifiuto evitamento.
Stimolazioni carenti, sporadiche, blande, al contrario, non producendo piacere, non eccitano sufficientemente il sistema percettivo/mnestico, fino a creare individui apparentemente insensibili alla bellezza della natura e dell’incontro con l’altro.
E’ di fondamentale importanza, pertanto, che gli adulti educatori sappiano guidare, facilitare questo processo, consapevoli che dovrebbero esporre i bambini quanto più possibile, con gradualità e piacevolezza, agli stimoli provenienti dall’ambiente naturale, promovendo una sorta di gioco a ricercare, riconoscere, distinguere la varietà di input che il mondo invia (integrazione mondo naturale/mondo artificiale).
Così verrebbe a ricrearsi quel sentimento di unità e di appartenenza con la Natura che è stato frustrato e negato dal predominio del mondo artificiale, prodotto dall’Uomo.
Come accennato la televisione e i videogiochi, apportando informazioni in assenza o in contrasto con l’esperienza, rischiano di creare dissociazioni e fantasie (che non sono utili alla creatività) fino alla psicopatologia.
Infatti: i ritmi serrati dei passaggi delle immagini, le musiche di accompagnamento che caricano ancor più l’emozionalità del soggetto, le storie spesso del tutto irreali e inverosimili, i forti contrasti cromatici (specialmente nei cartoni animati), e soprattutto la violenza spesso “spacciata” come modalità vincente di soluzione dei problemi e dei conflitti, producono nel cervello tutt’altro che gradualità dello stimolo, e non certo quella piacevolezza fisiologica che permette e consolida - unitamente all’esperienza concreta che coinvolge quanto più possibile attivamente tutti i sensi - memorizzazioni e apprendimento.
Al contrario, TV e videogame producono un’eccitazione del Sistema Nervoso Centrale innaturale e patogena perché:
crea dissociazione tra ambiente e stimoli naturali e ambiente e stimoli artificiali;
crea dissociazione tra informazioni artificiali ed esperienza diretta, indispensabile nelle prime fasi di sviluppo del bambino;
quelle stimolazioni artificiose e forzate eccitano particolari distretti neuronali a discapito di un’integrazione sinergica intra- ed inter-emisferica;
per queste (ed altre) ragioni ormai è accertato scientificamente che la ripetitività e spesso l’ossessività di taluni stimoli possono scatenare persino crisi epilettiche.
Inoltre è dimostrato e riportato in letteratura che quanto più tempo un bambino passa davanti a uno schermo, tanto meno egli risulta socievole ed altruista, proprio perché in lui si riducono i tempi e le opportunità, e di conseguenza le motivazioni, all’esperienza pro-sociale (sé in relazione agli altri ed all’ambiente).
Perché un soggetto viva in armonia con se stesso e con l’ambiente sociale e naturale che lo circonda occorre che, grazie alla facilitazione degli educatori:
1. il suo cervello riceva sempre informazioni (energia) in cui il mondo naturale abbia la precedenza su quello artificiale/simbolico (tale funzione si sviluppa successivamente nel sistema nervoso);
2. tali informazioni siano integrate, ossia sollecitino in lui contestualmente cognitività (la nozione, il dato) ed affettività (l’emozione correlata);
3. gli stimoli non privilegino uno o alcuni aspetti delle potenzialità dell’individuo, ma siano finalizzati a stimolare la globalità del soggetto nelle sue varie manifestazioni (fisiologiche, comportamentali e sociali);
4. gli educatori (in primo luogo genitori ed insegnanti) facilitino l’esperienza diretta, concreta, attivando con le stimolazioni fisiologiche tutti i sensi del bambino e guidandolo per mano in un’esperienza reale, significativa, creativa e non minacciosa;
5. il bambino capisca i nessi di causa/effetto tra l’uomo e l’ambiente, fondamentali nell’attuazione di comportamenti rispettosi di sé e dell’ambiente stesso;
6. le “regole” e il contenimento necessari per dare stabilità alla cornice di riferimento siano amorevoli, affettuosi, duttili. La loro natura deve permetterne in parte l’introiezione (aspetti sostanziali), in parte la rielaborazione (aspetti formali), affinché l’individuo in via di sviluppo possa sentirsi soggetto delle proprie scelte e non mero conformista o obbediente (ciò che darebbe luogo a frequenti processi di ribellione).
In adolescenza, quando il soggetto sente prorompere la spinta all’autonomia, il ruolo dell’adulto sarà quello di permettere l’evoluzione delle “regole” fino ad allora trasmesse. Autonomia, infatti, implica autoregolazione, affermazione del Sé, autodeterminazione.
A questo punto dell’evoluzione individuale, i genitori, gli educatori, oltre a continuare a trasmettere il proprio discreto esempio di vita, devono sostenere i ragazzi tramite un ascolto empatico, non giudicante, che non rappresenti solo contenimento e sostegno, bensì costituisca un accompagnamento verso l’individuazione, verso un rapporto non più fatto di dipendenza o di interdipendenza, ma di intersoggettività.
I ragazzi hanno bisogno di essere ascoltati e capiti, non giudicati, perché possano a loro volta imparare ad ascoltare e capire gli altri nei loro bisogni e nelle loro difficoltà. E torniamo qui al concetto di educazione come relazione che fa dà sfondo a tutto il mio intervento.
Infine, ricordo che nella relazione = esperienza intersoggettiva, il cervello continua ad acquisire informazioni utili alla plasticità neuronale, ad aumentare quell’arborizzazione dendritica che andrà a vicariare anche la diminuzione dei neuroni conseguente all’invecchiamento, permettendo all’individuo di rimanere giovane nel proprio cervello attivo, recettivo, desideroso di conoscere e di sperimentarsi nell’intero arco della sua esistenza.
Autore:
Dr. Marisa Nicolini, psicologa-psicoterapeuta
Responsabile Sportelli d’Ascolto Psicologico
Centro Visana Viterbo, Via Lega dei Dodici Popoli, 27
Clinica Parioli Roma, Via Felice Giordano 8
CTU del Tribunale di Viterbo
Cell. 328 8727581; e-mail: m_nicolini@virgilio.it