Ferro 3
Il capolavoro di Kim Ki-duk
Bello, bellissimo, questo film del non detto colpisce per la forza dei suoi silenzi. Due persone con una stessa ineluttabile strada da percorrere che non ha bisogno di approvazioni verbali. Un uso magistrale di soggettive indirette rende bene l’idea di uno sguardo altro, di un’istanza narrante defilata, che spia il protagonista , che a sua volta fa di tutto per essere invisibile, come in un gioco di scatole cinesi. Il pessimismo entra come solito nel cinema di Kim Ki-duk ma solo per un attimo, nella scena della pallina da golf che colpisce la donna nella macchina di passaggio. I corpi, i dettagli, sono parte di un microcosmo di affetti dimenticati, immagini in bianco e nero dove i frammenti sono incollati come in un puzzle sbagliato. Kim Ki-duk ci fa vedere e sentire il dolore senza sottrarsi al sentimento e all’emozione (la sequenza di lei sul divano altrui, da sola: da lacrime). Forse ognuno di noi è davvero una casa vuota in attesa che qualcuno apra la serratura. Il silenzio, che potrebbe includere un’attesa, in questo film e invece necessario, sono le immagini a parlare, sorrette da una sublime colonna sonora che permea tutto il film(la canzone e' GAFSA di Natacha Atlas). Un film in-visibile, ma non per gli occhi del cuore.
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