Figlio del fulmine o fenomeno della scienza?
Per i romani il Tartufo era “figlio del fulmine”, oggi un Centro all'avanguardia studia la sua coltura.
SANT'ANGELO IN VADO (PU)- Il tartufo tra leggenda e scienza. Il prezioso tubero, diamante della tavola, è da sempre in cima ai desideri culinari dei buongustai che fino dai tempi remoti lo cercano nei boschi, tra querce, pioppi e roverelle.
I romani lo chiamavano il «figlio del fulmine», perché cresceva sotto le piante colpite dalle saette di Giove. La rapida variazione dell'elettricità era, secondo gli antichi, il motivo della sua nascita. Nel Medioevo gli uomini credevano che le streghe si nutrissero di questo fungo durante le notti di luna piena.
Oggi sappiamo che la loro apparizione non dipende né dal fulmine né da sortilegi. Al Centro Sperimentale di Tartuficoltura di Sant'Angelo in Vado i ricercatori puntano ad identificare con precisione le particolarissime condizioni ideali che permettano lo sviluppo del Tartufo. Qui da anni vengono prodotte le piante micorrizzate, cioè alberi le cui radici “ospitano” il fungo: il Tartufo infatti vive in simbiosi con la pianta, traendone il nutrimento e rifornendola a sua volta di acqua e sali minerali. In laboratorio è possibile riprodurre quest'unione:il micelio, la parte vegetativa del fungo, avvolge la radice formando un ingrossamento, la micorrizza. Dopo un'attesa che può durare anni il micelio formerà il frutto, cioè il tubero che arriva sulle nostre tavole.
All'eccellenza internazionale da oltre 30 anni, il Centro Sperimentale di Tartuficoltura riassume in sé la storia della tartuficoltura nella provincia. I primi tentativi furono fatti nel monte Pietralata dove fu impiantata la prima tartufaia artificiale. La storia delle tartufaie è legata alle opere di rimboschimento attuate dagli anni trenta fino al dopoguerra nei monti del Furlo, delle Cesane, di Carpegna. In questo periodo ai vivai provvisori che servivano per le opere di rimboschimento viene sostituito un vivaio unico governativo che doveva sorgere in posizione centrale, appunto Sant’Angelo in Vado. Le operazioni di rivegetazione richiedevano in media un milione di piante all’anno. Queste operazioni servivano a combattere la grave disoccupazione che colpiva questi territori montani.
Nel 1955 il comandante del Corpo Forestale dello Stato Mannozzi Torini volle dare un nome al vivaio di Sant’Angelo che venne definito Vivaio Valmetauro in onore del fiume e della valle. Da allora sono state micorizzate 865.000 piantine di nero pregiato e 155.000 di Tuber Aestivum (nero scorzone), mentre ancora oggi sono maggiori le difficoltà legate alla coltura del Tartufo Bianco Pregiato (Tuber Magnatum Pico).
Il Tartufo a Sant'Angelo in Vado è protagonista tutto l'anno, ma diventa sovrano della vallata nei fine settimana dal 12 ottobre al 3 novembre per la 50° Mostra Nazionale del Tartufo Bianco Pregiato.
Per Info: Segreteria Mostra del Tartufo tel. 0722 819924
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