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Giro d'Italia 2002: nove splendidi, maledetti chilometri

03/02/14

Una delle edizioni più controverse e discusse della storia del Giro d'Italia, quella del 2002, fino ad uno spettacolare ed inatteso epilogo.

Polemiche, esclusioni clamorose, doping, inchieste della magistratura. Anche il Giro d'Italia 2002 sembrava tristemente avviato al suo epilogo con una cronaca più lontana possibile da quella che dovrebbe essere consona ad un evento che scavalca lo sport e fa parte ormai del patrimonio culturale del paese.

Fuori Garzelli e fuori Simoni per due positività all'antidoping, fuori Casagrande per una scorrettezza ad una volata per un isnginificante Gpm di terza categoria: la corsa rosa aveva perso uno dopo l'altro gli uomini che l'avevano fatta grande negli ultimi anni. Un altro Giro d'Italia da dimenticare, sempre più distante da una dimensione umana, da un sano confronto sportivo.

L'ultimo tappa di salita arriva a Folgaria. In rosa c'è l'australiano Evans, della Mapei orfana di Garzelli. Evans è un'autentica scoperta: viene dalla mountain bike, è per la prima volta protagonista in un grande giro, in salita come a cronometro ha dimostrato di essere un talento naturale. La lotta per il primato del Giro d'Italia è ancora apertissima: dietro all'australiano tanti corridori in poche decine di secondi possono essere in grado di attaccarlo. Va subito in crisi Aitor Gonzalez, giovane speranza spagnola, poi Dario Frigo. Ai 9 km dall'arrivo il Giro d'Italia volta pagina: scatta Paolo Savoldelli, prova a seguirlo l'americano Hamilton, ma deve desistere. Evans cede di schianto. Savoldelli, il Falco, vola agile verso Folgaria e verso il rosa, prima di lui arriva solo Tonkov, in fuga già da molti km.

Hamilton arranca, viene passato dall'ottimo, regolare Caucchioli. Evans crolla paurosamente, fa fatica a portare in vetta la sua bici, sbanda, viene rincuorato dai compagni: un autentico dramma sportivo. Forse nemmeno il quarto d'ora di ritardo subito negli ultimi nove km rende l'idea della crisi dell'australiano come l'immagine della maglia rosa ripiegata su se stessa e superata a velocità doppia dai corridori che si erano staccati ad inizio tappa. Un finale drammatico, epico, che ha restituito qualcosa di importante al Giro d'Italia e al ciclismo intero: l'umanità dei corridori, non più robot invulnerabili sotto un controllo scientifico esasperato, ma uomini forti e fragili al tempo stesso, soprattutto uomini.



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