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Comunicato Stampa

Green Pass: solo l’autorità giudiziaria può vietare l’accesso agli esercizi pubblici

03/08/21

Il d.l. n. 105/21, vietando l’accesso agli esercizi pubblici a una determinata categoria di soggetti, ha usurpato una attribuzione riservata al giudice penale

FotoCome è noto, l’art. 3 del recente Decreto-Legge 23 luglio 2021, n. 105, ha inserito, all’interno del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87, il nuovo articolo 9 bis, il quale stabilisce che “a far data dal 6 agosto 2021, è consentito in zona bianca esclusivamente ai soggetti muniti di una delle certificazioni verdi COVID-19, di cui all’articolo 9, comma 2, l’accesso ai seguenti servizi e attività:
a) servizi di ristorazione svolti da qualsiasi esercizio, di cui all’articolo 4, per il consumo al tavolo, al chiuso;
b) spettacoli aperti al pubblico, eventi e competizioni sportivi, di cui all’articolo 5;
c) musei, altri istituti e luoghi della cultura e mostre, di cui all’articolo 5-bis;
d) piscine, centri natatori, palestre, sport di squadra, centri benessere, anche all’interno di strutture ricettive, di cui all’articolo 6, limitatamente alle attività al chiuso;
e) sagre e fiere, convegni e congressi di cui all’articolo 7;
f) centri termali, parchi tematici e di divertimento;
g) centri culturali, centri sociali e ricreativi, di cui all’articolo 8-bis, comma 1, limitatamente alle attività al chiuso e con esclusione dei centri educativi per l’infanzia, compresi i centri estivi, e le relative attività di ristorazione;
h) attività di sale gioco, sale scommesse, sale bingo e casinò, di cui all'articolo 8-ter;
i) concorsi pubblici”

A tacere della astratta illegittimità costituzionale della norma in argomento, e della sua patente incompatibilità con il Diritto dell’Unione Europea – segnatamente con il Regolamento (UE) 2021/953 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 giugno 2021, con il quale si pone in aperta collisione – e con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ciò che balza agli occhi con evidenza è la indiscutibile incompatibilità della stessa con lo stato di diritto, sotto il profilo della usurpazione, da parte del governo, di un potere riservato all’autorità giudiziaria.
Invero, tale disposizione, stabilendo un divieto generale, con riferimento a una specifica categoria di soggetti (i non muniti di “green pass”), di accesso agli esercizi pubblici, configura una prescrizione propria della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, che nel nostro ordinamento consiste in una particolare misura di prevenzione personale prevista dal Codice delle leggi antimafia, che ne demanda l’applicazione, in via riservata ed esclusiva, al giudice penale.

I soggetti destinatari e il procedimento applicativo della misura della sorveglianza speciale

L’art. 4 del D.lgs. n. 159 del 2011(codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), che individua i soggetti nei confronti dei quali si applica la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, concerne fattispecie di indiziati di diverse forme di criminalità, tutte connotate da particolare gravità, quali associazioni di tipo mafioso, criminalità di tipo associativo, reati con finalità di terrorismo, criminalità di tipo politico-fascista, atti violenti in occasione di manifestazioni sportive.
Si tratta, dunque, di una misura che trova applicazione nei confronti di soggetti che, sulla base di gravi indizi o di elementi di fatto sorretti da congrua motivazione, si ritiene abbiano posto in essere condotte integranti fattispecie delittuose connotate da particolare gravità ed idonee ad ingenerare un significativo allarme sociale.
Quanto al procedimento applicativo, la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza può essere proposta dal questore, dal procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove dimora la persona e dal direttore della Direzione investigativa antimafia.
Competente a decidere è il Tribunale – solitamente una sezione speciale - del capoluogo del distretto, nel territorio del quale la persona dimora, previa fissazione della data dell’udienza che si svolge con la partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero.

Il contenuto della misura di prevenzione della sorveglianza speciale

Con il provvedimento con il quale applica la misura della sorveglianza speciale, il Tribunale, qualora si tratti di tratti di persona indiziata di vivere con il provento di reati, prescrive di darsi, entro un congruo termine, alla ricerca di un lavoro, di fissare la propria dimora, di farla conoscere nel termine stesso all’autorità di pubblica sicurezza e di non allontanarsene senza preventivo avviso all'autorità medesima.
Prescrive, altresì, di non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza, di non accedere agli esercizi pubblici e ai locali di pubblico trattenimento, anche in determinate fasce orarie, di non rincasare la sera più tardi e di non uscire la mattina più presto di una data ora e senza comprovata necessità e, comunque, senza averne data tempestiva notizia all’autorità locale di pubblica sicurezza, di non detenere e non portare armi, di non partecipare a pubbliche riunioni (Cfr. art. 8, D.lgs. n. 159 del 2011).
Il Tribunale, infine, “può imporre tutte le prescrizioni che ravvisi necessarie, avuto riguardo alle esigenze di difesa sociale”.
Con riferimento a quest’ultima previsione, integrante una norma di chiusura, è d’uopo evidenziare che l’analisi della concreta prassi applicativa della misura in questione fa registrare un frequente ricorso, da parte dei giudici, alla prescrizione di non frequentare bettole o osterie, sulla falsariga di quanto stabiliva la legge n. 1423 del 1956 (che disciplinava le misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità, prima dell’entrata in vigore del codice delle leggi antimafia).
Alla luce di quanto sin qui esposto, si evince come, nel nostro ordinamento giuridico, il divieto di non accedere agli esercizi pubblici e ai locali di pubblico trattenimento, e quello, più specifico, di frequentare osterie e locali aperti al pubblico, configura una prescrizione che può essere impartita unicamente a una persona sottoposta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, all’esito di un procedimento giurisdizionale applicativo della misura stessa.

Ci troviamo, pertanto, al cospetto di un caso singolare, quanto inedito, di eccesso di potere al contrario – rispetto a quello, “comune”, ipotizzato dall’art. 606, lett. a), c.p.p., relativo all’esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi - da parte del governo, che è incorso in una marchiana usurpazione di una funzione giurisdizionale, in patente violazione della riserva di giurisdizione che il Costituente ha posto a presidio della inviolabilità della libertà personale.

La violazione dell’art. 13 della Costituzione

Non può condividersi l'impostazione dei sostenitori, ad ogni costo, della conformità a Costituzione del “Green Pass”, sulla base del rilievo che esso prevederebbe delle legittime limitazioni della libertà di circolazione ex art. 16 Costituzione e non della libertà personale.
Vanno qui richiamate le condivisibili coordinate concettuali tracciate da diversi Presidenti Emeriti della Corte Costituzionale e dalla giurisprudenza di merito (ex plurimis: Tribunale Reggio Emilia, sentenza 27 gennaio 2021, n. 54) con riferimento alla illegittimità del confinamento (vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare) imposto dal DPCM dell’8 marzo 2020 e dagli altri atti amministrativi conseguenti, per contrasto con gli artt. 13 e ss. Costituzione.
Invero, sebbene il governo, questa volta, abbia formalmente rispettato la riserva di legge imposta dall’art. 13 Cost. – essendo intervenuto con un atto avente forza di legge e non con un mero atto amministrativo, come avvenuto con il precedente esecutivo – analogo, nella sostanza, è l’impatto che la disposizione in commento determina sulla libertà personale.
A tale conclusione si ritiene di poter pervenire in stretta osservanza dell’insegnamento fornito, in subiecta materia, dalla Corte Costituzionale, la quale ha chiarito che la libertà di circolazione riguarda i limiti di accesso a determinati luoghi, come ad esempio, l’affermato divieto di accedere ad alcune zone, circoscritte, che sarebbero infette, ma giammai può comportare una limitazione della libertà personale (Corte Cost., n. 68 del 1964).
In buona sostanza, la libertà di circolazione non può essere confusa con la libertà personale: i limiti della libertà di circolazione attengono a luoghi specifici il cui accesso può essere precluso, perché ad esempio pericolosi; quando, invece, il divieto di spostamento non riguarda i luoghi, ma le persone, allora la limitazione si configura come vera e propria limitazione della libertà personale (Cfr. Sent. Tribunale Reggio Emilia, cit.).

Inoltre, come è fatto palese dal tenore letterale (“Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”), l’art. 16 Cost. afferma e tutela la libertà di circolazione dei cittadini, cioè la libertà di muoversi liberamente da un luogo ad un altro, senza necessità alcuna di richiedere permessi o render conto ad alcuno dei motivi dei propri spostamenti, e, nel far salve le limitazioni a tale libertà, pone dei limiti alla discrezionalità del legislatore, in quanto la libertà di circolazione e soggiorno può essere impedita solo in via generale, nel senso che l’inciso “limitazioni che la legge stabilisce in via generale” “debba essere applicabile alla generalità dei cittadini, non a singole categorie” (Cfr., Corte cost., (ud. 14-06-1956), 23-06-1956, n. 2).

Consegue, pertanto, che, versandosi in ipotesi di limitazione – latu sensu - della libertà personale e non di “semplice” limitazione della libertà di circolazione (in ogni caso illegittima, in quanto rivolta a una determinata categoria di cittadini), a nulla rileva l’avere, il governo, rispettato la riserva di legge, permanendo la insanabile violazione della riserva di giurisdizione, che consente soltanto all’autorità giudiziaria di emettere provvedimenti restrittivi o comunque limitativi della libertà personale, nel rispetto del diritto di difesa.
Neppure una legge (o un atto normativo avente forza di legge, qual è il decreto-legge), dunque, può prevedere nel nostro ordinamento il divieto di accesso agli esercizi pubblici o aperti al pubblico, disposto, di fatto, nei confronti di una categoria determinata di cittadini, posto che l’art. 13 Cost. postula una doppia riserva, di legge e di giurisdizione, implicando necessariamente un provvedimento individuale, diretto dunque nei confronti di uno specifico soggetto.

In conclusione, il Decreto-Legge 23 luglio 2021, n. 105 estende a quanti siano sprovvisti di “Green Pass” una misura che il nostro ordinamento riserva ai mafiosi e ai soggetti indiziati di forme di criminalità gravissime.
Ciò, in patente violazione della riserva di giurisdizione che il Costituente ha posto a tutela della inviolabilità personale – potendo la misura di prevenzione della sorveglianza speciale applicarsi unicamente all’esito di un procedimento giurisdizionale -, e affacciandosi altresì il dubbio di una irragionevole discriminazione integrante una violazione dell’art. 3 Cost.

Le altre misure amministrative che prevedono particolari forme di divieto di accesso

Per completezza, si conclude l’analisi con una rapida rassegna delle ulteriori misure - tradizionalmente ritenute di natura amministrativa – che il legislatore, sull’onda dell’incessante domanda di sicurezza, ha introdotto nell’ordinamento, dalle quali può scaturire un divieto di accesso a determinati luoghi.
Il Divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive, il c.d. “D.a.spo.” (art. 6, commi 2-bis, 3 e 4, legge 13 dicembre 1989, n. 401);
Il Divieto di accesso a determinate aree urbane (artt. 9-10, decreto-legge 20 febbraio 2017 n. 14, rubricato “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città”, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 18 aprile 2017, n. 48, anche detto, nel gergo, d.l. “Minniti”)
Il Divieto di avvicinamento, previsto dall’art. 13 del citato decreto “Minniti”, che consente al questore di disporre, per ragioni di sicurezza, nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o confermata in grado di appello nel corso degli ultimi tre anni per la vendita o la cessione di sostanze stupefacenti o psicotrope, per fatti commessi all’interno o nelle immediate vicinanze di scuole, plessi scolastici, sedi universitarie, locali pubblici o aperti al pubblico, ovvero in bar o esercizi di ristorazione, il divieto di accesso agli stessi locali o a esercizi analoghi, specificamente indicati, ovvero di stazionamento nelle immediate vicinanze degli stessi.
Ebbene, tutti i provvedimenti menzionati sono assistiti dalle garanzie del controllo giurisdizionale sancite dall’articolo 6, commi 2-bis, 3 e 4, della legge 13 dicembre 1989, n. 401(convalida del giudice in termini ristrettissimi con facoltà, da parte dell’interessato, di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, memorie o deduzioni), emergendo, in tal modo, come il legislatore abbia riconosciuto al divieto di cui si discute la natura di misura limitativa della libertà personale.

Alla luce di quanto sin qui esposto, è tutt’altro che irragionevole serbare delle riserve sulla compatibilità con lo stato di diritto del provvedimento in argomento, che pone dei seri dubbi sul rispetto delle garanzie costituzionali.

Si è tentato, in ultima analisi, di risolvere il problema della non percorribilità di un obbligo vaccinale – stante l’assenza di evidenze scientifiche in merito alla possibilità, da parte dei vaccini attualmente in commercio, di prevenire l’infezione e la trasmissione del virus SARS - CoV-2 – varando un provvedimento di chiara natura ricattatoria.
Ecco, allora - come si spera di aver illustrato, a dispetto dei diritti fondamentali degli individui - l’introduzione di un nuovo strumento di ostracizzazione di soggetti inopinatamente additati come pericolosi, per il sol fatto di aver esercitato una libera scelta.



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