GASTRONOMIA
Articolo

Gusto e convivio

19/09/07

I cinque sensi e l'eros a tavola.

Il gusto è un senso un po' particolare, ricollegato agli altri in modo molto stretto: vedere una tavola imbandita risveglia il gusto, e percepire il profumo di un piatto ne fa sentire il sapore in bocca.
Soprattutto gusto e olfatto sono strettamente connessi, tanto è vero che quando abbiamo il raffreddore facciamo fatica a capire ciò che stiamo mangiando.
Per apprezzare un cibo usiamo tutta la bocca: lingua, palato, saliva e labbra danno informazioni su ciò che stiamo mangiando. Alla fine dell'Ottocento, si pensava che quest’organo fosse diviso in quattro zone distinte, corrispondenti ai gusti fondamentali: dolce, salato, amaro, acido.
Teorie più moderne hanno dimostrato che tutti i sapori si possono percepire nelle zone della lingua che hanno le papille o gemme gustative, anche se la sensibilità ad ogni tono è maggiore in determinate aree.
Definire un gusto è difficile quasi quanto descrivere un odore. Entrambi sono dotati di vita propria, ed aprono finestre che riportano alla memoria episodi dimenticati nel tempo. Il sugo preparato la domenica mattina dalla nonna; le fette di pane con marmellata e burro, o olio e pomodoro, confezionate dalla mamma per i primi giorni di scuola; l’assaggio del mosto durante le vendemmia dell’adolescenza.
Il sapore è associato alla sessualità, anche se abbiamo perso l’abitudine di baciarci e leccarci l’un l’altro. Il gusto si può coltivare come si coltiva l’orecchio, senza pregiudizi, con spirito curioso, lentezza e soprattutto ironia.
Quando si pianifica un menù amoroso bisogna valutare bene i diversi sapori affinché siano complementari.
Anthelme Brillat-Savarin nella sua Fisiologia del gusto (1825), una serie di gustose meditazioni sui piaceri della tavola, dichiara:
“… il gusto cosi come la natura ce l’ha concesso, è ancora quello fra i nostri sensi, che, tutto ben considerato, ci procura il maggior numero di godimenti:
1)perché il piacere di mangiare è il solo che, preso modestamente, non è seguito da stanchezza;
2)perché è d’ogni tempo, d’ogni età e d’ogni condizione;
3)perché torna di necessità almeno una volta al giorno e in un giorno può essere ripetuto, senza danno, due o tre volte;
4)perché può mescolarsi a tutti gli altri piaceri e anche consolarci della loro mancanza;
5)perché le impressioni ch’esso riceve sono a un tempo e più durevoli e più dipendenti dalla nostra volontà;
6)finalmente perché mangiando proviamo un certo benessere indefinibile e particolare che ci deriva dall’istintiva coscienza che mangiando compensiamo le nostre perdite e prolunghiamo la vita…”.



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