ARTE E CULTURA
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Il concetto di Animale in Cartesio

16/11/11

In Cartesio la differenza che passa tra l'uomo e l'altro-Animale è presto detta: “Il rapporto con sé dell’anima e del pensiero, l’essere stesso della sostanza pensante vi implicava il concetto di un animale-macchina privato di ciò che tutto sommato non è nient’altro che l’ego come ego cogito, ‘io penso’.

In Cartesio la differenza che passa tra l'uomo e l'altro-Animale è presto detta: “Il rapporto con sé dell’anima e del pensiero, l’essere stesso della sostanza pensante vi implicava il concetto di un animale-macchina privato di ciò che tutto sommato non è nient’altro che l’ego come ego cogito, ‘io penso’. Tale automa viene privato dell’‘io’, del ‘sé’, e a fortiori di ogni riflessione, cioè di ogni nota o riflessione autobiografica della propria vita”.

L'animale di Cartesio risulta privato della possibilità di autoposizionamento derivante dal famoso "Cogito ergo sum". L'uomo definisce se stesso tramite l'ego cogito, l'animale no.

Su quale base Cartesio ritiene che l'animale non possa essere apparentato all'uomo da un suo proprio, magari a seconda delle specie, "io penso"?
Non si sa. La base è un certo "senso comune".

Derrida sottolinea in Cartesio, come nella maggior parte dei grandi filosofi occidentali occupatisi della questione, il nesso che collega la condizione animale a una capacità di reazione ma non di risposta: gli animali sono “quegli automi che comunque non sarebbero mai in grado di rispondere o, anche se fossero in grado di ‘dire delle parole come noi’, sarebbero del tutto incapaci di farlo ‘attestando’ che pensano quello che dicono”.
Gli animali come automi, quindi: macchine prive della capacità di provare la propria capacità di pensiero. Certi volatili possono ripetere parole umane, ma questo non vuol dire che "ragionino". D'altronde non può essere solo questo il dato su cui ci si basa. Allora ci si chiederà nuovamente: su cosa fonda Cartesio l'affermazione per cui l'animale non è provvisto di "io penso" e "senso del sé"?

Derrida evidenzia qui, come seguiterà a fare, una generale dogmaticità nella definizione della natura animale (e ricordiamo per inciso l’importanza di tale procedimento nella elaborazione della propria identità e superiorità da parte dell’uomo): “Valore equivoco della testimonianza, attestazioni di cui Descartes forse abusa […] Con tutti questi ‘si vede’, che molto spesso si rifanno a una pretesa evidenza condivisa, allo stesso buon senso, la parola ‘testimonianza’ appare ancora più equivoca […] Quando qualcuno invoca un’infinità di esperienze che ‘attestano’, di cui si può testimoniare, ma ‘che non è qui il caso di riportare’, a un animale che conosco bene si drizzano le orecchie. Perché non è il caso di riportarle?”.

Già, perché?
Per Cartesio è evidente la subordinazione animale (sulla base del suo non aver l'"io" e il "sé"): si potrebbero citare testimonianze su testimonianze a riprova del fatto.
Poi però non riporta nessuna di queste testimonianze, né tenta di spiegarsi in alcun modo.
Quindi risulta evidente il carattere postulatorio di una simile affermazione.

Mi fermo un attimo per sottolineare, a scanso di equivoci, come questioni simili non siano solo "chiacchiere da filosofi". Sono delle spie della formazione di certi schemi mentali nel rapporto dell'uomo quell'"altro-da-sé" che è l'Animale, che hanno conseguenze pratiche spaventose.

L'affermazione di base è: tutti gli esseri appartenenti al regno animale sono diversi dall'uomo, sono altro rispetto all'uomo.
Il che significa: questi esseri non sono al pari dell'uomo.

La conseguenza è: se gli animali non sono al pari dell'uomo ma sono mere "macchine" come dice Cartesio, allora sono "cose" di cui l'uomo può fare quello che vuole, che può sfruttare a suo completo piacimento senza rimorsi.

Attraverso l’analisi di una lettera del 1638[1] Derrida arriva a sintetizzare quanto segue: “Descartes propone due criteri di discernimento […] due criteri che dovremo tenere a memoria perché determineranno tutta la tradizione dei discorsi che vorrei situare più tardi, fino a Heidegger e Lacan: 1) la non-risposta, l’incapacità di rispondere alle domande […] 2) una deficienza non specificata”.

Quanto letto in Cartesio, spiega Derrida, è senza dubbio correlato all’autofondazione dell’io attraverso il pensiero, il pensiero e non il respiro, potremmo dire, il pensiero e non la vita.

Derrida pone in luce un certo numero di ‘assiomi’ o ‘credenze’ che Cartesio, Kant, Heidegger, Lacan e Lèvinas condividono nei confronti degli animali: la mancanza di parola o risposta, l’incapacità al simbolo, l’incapacità di un’organizzazione segnica superiore non programmata.

Nonostante alcune modalità comuni, tuttavia, le singole teorie dei vari filosofi danno sempre adito a riflessioni significative, come vedremo nei prossimi post...



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