ARTE E CULTURA
Articolo

Il nobel Coetzee e il rispetto dovuto agli animali morti

16/03/12

Riprende lo studio di "Vergogna" del premio nobel JM Coetzee. In questo articolo si analizza il difficile rapporto del protagonista con i cadaveri degli animali.

Riprendiamo lo studio. Questa tirata sarà lunga e piuttosto fosca, ma se vorrete seguirmi credo ne valga la pena.
Il protagonista di Vergogna, David Lurie, nel suo rapportarsi all’Altro-animale prova un forte senso di confusione.
Una scena in cui questa confusione è evidente avviene dopo l’incursione devastante dei tre sconosciuti nella casa di Lucy, dove si trovava anche David, e riguarda le due pecore che Petrus, ricomparso dopo la sospetta assenza durante l’aggressione, macellerà per la sua festa. Dapprima David, non sopportando di vederle affamate e legate lontano dall’erba, le sposta in una zona dove possono brucare; ma il mattino dopo le ritrova sulla terra nuda. David pensa che queste “abitudini contadine”, come le ha definite la figlia, siano caratterizzate da indifferenza e spietatezza, e valuta perfino l’idea di acquistare le pecore per salvarle.
Subito dopo realizzerà che per qualche motivo, la sorte dei due animali gli è venuta a cuore:

Non sa perché, ma fra lui e i due agnelli persiani si è instaurato una specie di legame. Non è un legame affettivo. Non è neppure un legame con quelle due bestie in particolare, visto che in mezzo a un gregge non le distinguerebbe. Tuttavia, all'improvviso e senza una ragione, la loro sorte gli sta a cuore.

La cosa non finisce qui: quando durante la festa di Petrus gli verrà passato il piatto con le cotolette d’agnello, David penserà: “Adesso mangio questa roba [...]. La mangio, poi chiederò perdono”.
Il cambiamento ravvisato in sé davanti ai due animali è talmente forte che David si chiede come può riuscire a Bev Shaw una tale comunione con essi, se bisogna essere fatti in un certo modo, “con meno complicazioni”, e se lui dovrebbe diventare come Bev, quella Bev che nella sua prima visita alla clinica aveva considerato “una sacerdotessa, gonfia di scempiaggini New Age”.
Decide di parlarne a Lucy, che gli chiede se nella questione c’entrino i due agnelli. David risponde: “Sì. No. Non ho cambiato idea, se è a questo che ti riferisci. Continuo a credere che le bestie non abbiano una vita individuale. Per quanto mi riguarda, non vale la pena tormentarsi perché certe crepano e altre restano vive. […] Però in questo caso sono turbato. Non so perché”. Il riconoscimento di una soggettività negli animali non è ancora teorizzata da Lurie, che tuttavia ammette di essere scosso, e di non sapere perché.
Da questo momento in poi, dopo l’aggressione degli sconosciuti, diventerà più chiaro uno dei motori centrali della nuova relazione di Lurie con gli animali: la condivisione della sofferenza, e quindi, a un livello più profondo, la condivisione della possibilità di soffrire. Herron non sottovaluta questo punto: “Come un essere umano continua a soffrire in quel posto, così gli animali. E sono le inaspettate implicazioni congiunte di queste sofferenze che sfidano le certezze del protagonista coetziano e infine lo trasformano”.
Dopo il precipitare della situazione, David “va alla clinica veterinaria il più spesso possibile, offrendosi
per tutti i lavori che non richiedono particolari capacità” (l’aiuto portato è il suo contributo “naturale”, in quanto essere umano). La domenica pomeriggio la clinica resta chiusa e David aiuta Bev a “dissolvere” i cani: “A uno a uno li tira fuori dalla gabbia del cortile e li porta in sala operatoria. Lì, negli ultimi minuti che le restano, la vittima riceve le attenzioni di Bev Shaw, che la accarezza e le parla per addolcirle il trapasso. Se, come capita il più delle volte, il cane non si lascia incantare, la colpa è di David: emana un cattivo odore («Sentono l'odore dei pensieri»), l'odore della vergogna”. Questo odore accompagnerà David fino all’ultima pagina del romanzo, quando prendendo esempio da Bev, avrà imparato a concentrarsi sull’animale per dargli ciò che infine, non avrà difficoltà a chiamare “con il suo vero nome: amore”.
Dall’accostamento dei due passi si può notare come lo “state of disgrace” di David fondi una possibilità di contatto con l’altro animale, e come il “gesto etico” che infine ne scaturisce possa essere riconosciuto dall’Altro, al punto da vanificare l’odore stesso della vergogna.
“Sentono l'odore dei pensieri”, questa frase di Bev finirà con lo scolpirsi nella mente di David; la ritroviamo in seguito a una delle discussioni con Lucy in cui tornerà ad accentuarsi la distanza fra i due: “Mia figlia, [...] la mia carissima figlia. Che mi è toccato in sorte guidare. Che un giorno non lontano dovrà guidare me.
Chissà se Lucy sente l'odore dei suoi pensieri?”. E ancora riguardo Melanie Isaacs, che David rivedrà a teatro: “Ci sono venti file tra lui e Melanie, ma David spera che in questo momento, attraverso lo spazio, lei riesca a sentire il suo odore, l'odore dei suoi pensieri.”. Con lo svilupparsi, nel corso del suo cadere in disgrazia, di una nuova capacità di sentire alimentata dal sempre più stretto rapporto con l’alterità animale, David sembra arrivare, in queste particolari situazioni, a sperare di poter proiettare la possibilità d’un sentire più profondo, attinto appunto dalla sua esperienza al fianco degli animali, anche negli altri esseri umani.

Lo stretto rapporto che David instaura più specificamente con la morte dell’Altro animale, lo conduce a prendersi cura dei corpi, delle carcasse della clinica veterinaria:

visto che Bev Shaw somministra l'iniezione, lui si occupa di eliminare le carcasse. La mattina dopo le esecuzioni, va con il pulmino carico all'inceneritore del Settlers Hospital, dove consegna alle fiamme i corpi chiusi nel loro involucro di plastica nera. Sarebbe più semplice portarli lì subito, lasciando che se ne occupassero gli addetti dell'inceneritore il lunedì. Ma significherebbe abbandonarli sul mucchio di rifiuti del fine settimana, in compagnia dell'immondizia dei reparti ospedalieri, delle carogne raccolte sul ciglio della strada, dei maleodoranti residui della conceria, un miscuglio casuale e spaventoso

e David non se la sente di infliggere un tale disonore ai cani. Inoltre, decide di spingere di persona i corpi fin dentro la fornace. La prima volta ha lasciato il compito agli addetti all’inceneritore:

Durante la notte il rigor mortis aveva irrigidito i cadaveri, così le zampe s'incastravano nelle sbarre del vagoncino; spesso, quando quest'ultimo tornava dal suo viaggio nella fornace, il cane era ancora lì, annerito e ghignante, con il pelo bruciacchiato e puzzolente, spogliato dell'involucro di plastica. Allora, prima di caricarli, gli operai hanno cominciato a pestare i cadaveri con le pale per spezzare le zampe irrigidite.

A quel punto David è intervenuto e ha preso il loro posto.
Più avanti leggiamo: “Per quale motivo si è preso questa incombenza? [...] Per amore dei cani? Ma i cani sono morti; e poi che ne sanno i cani di onore e ignominia? Per se stesso, allora. Per la sua idea del mondo, un mondo in cui gli uomini non dovrebbero prendere a badilate i cadaveri per bruciarli più facilmente”. Per la sua nuova idea del mondo, potremmo dire, in cui David sente di non poter permettere che i corpi dei cani vengano spezzati a colpi di vanga per esser bruciati più comodamente.
David è disposto a occuparsi di loro “quando ormai non possono più badare a se stessi”. “[A]desso è lui l'uomo dei cani: il becchino e lo psicopompo di queste bestie, il paria”. “Buffa cosa che un uomo egoista come lui si sia messo al servizio dei cani morti. Ci devono essere modi diversi e più produttivi di offrirsi al mondo, o a un'idea del mondo”. Come scrive Attridge, “a Lurie è chiaro che il suo apporto alla causa, misurato secondo parametri razionali, non ha nessun valore”[1]. Ciò che fa David per le carcasse dei cani si configura, in maniera evidente, come un gesto completamente distaccato da ogni valore razionale-strumentale, ossia un gesto inutile, folle.
Ma David arriva a sentire così profondamente l’onere di occuparsi dei corpi dei cani, che nel suo breve ritorno a Cape Town, pensa: “[Q]uesto lunedì, le bestie soppresse nella clinica saranno buttate nel fuoco in maniera anonima, senza che nessuno pianga per loro. Potrà mai essere perdonato per questo tradimento?”. La sofferenza di David indica la piena assunzione del principio di responsabilità verso l’Altro.
Ora, una nota personale.
Ricordo di essere rimasto estremamente turbato da questa scelta di Lurie, quando leggevo il romanzo. La scelta di prendersi cura dei cani morti.
C'è qualcosa di estremamente disturbante nel vedere qualcuno che manca di rispetto al cadavere di un animale.
Qualcosa che va oltre il rispetto della morte in sé, cui tutti gli uomini, volenti o nolenti, sottostanno. Riflettiamoci un attimo: la morte di una formica forse non provoca simili emozioni, ma la morte di un cane, ovvero, la morte di un essere che noi, anche quelli di noi che non lo ammetterebbero facilmente, riconoscono come la morte di un singolo, specifico individuo, ci sconquassa.

Prima del capitolo conclusivo dello studio, andiamo a considerare un ultimo filo narrativo.
Si tratta della “questione dell’anima”.
Dopo che Lucy ritrova il padre addormentato nella gabbia di Katy, poco dopo il suo arrivo, commenta, riguardo ai cani: “Questi animali ci onorano come dèi, e noi li ringraziamo trattandoli come oggetti”. La risposta di David, nella circostanza, è fredda e ironicamente teologica: “I Padri della Chiesa hanno dibattuto a lungo sull'argomento, e sono giunti alla conclusione che i cani non hanno una vera anima […] La loro anima è legata al corpo e muore con il corpo”. Lucy scrolla le spalle: “Probabilmente non ce l'ho nemmeno io un'anima. Se ne vedessi una, non saprei riconoscerla”. “Non è vero. Tu sei un'anima. Tutti noi siamo anime. Siamo anime prima ancora di nascere” “Lucy lo guarda perplessa”. Il passo è interessante in quanto la questione dell’anima è stata (e ancora è) un noto perno di gerarchizzazione nel rapporto uomo-animale, nonché uno dei capisaldi storici del pensiero occidentale a riguardo. Lucy resta perplessa davanti alla certezza con cui David le propina un pezzo del “suo” sapere scolastico.
Volendo, sarebbe fin troppo facile applicare la doppia procedura decostruttiva derridiana a queste affermazioni. Vengono privati gli animali di un qualcosa “proprio dell’uomo” (non hanno una vera anima, o non hanno un’anima come quella dell’uomo), ma tanto la privazione di questo aspetto all’animale, quanto la sua attribuzione all’uomo, non c’è bisogno di dirlo, sono operazioni che poggiano su basi dogmatiche. Tuttavia Lucy, come in seguito David, non accetta queste affermazioni sulla base di una ben meditata inferenza intellettuale: sarà la vita stessa di Lucy, la sua “esistenza” (con tutto ciò che le è proprio anche al di là di quanto esperibile con la sola ragione) e il suo profondo rapporto con gli animali[2] a renderle evidente l’arbitrarietà di una simile affermazione.
“Per oggi non ci sono più cani da uccidere. I sacchi neri sono ammucchiati sulla porta, ciascuno con un corpo e un'anima”. Questo intermezzo si riferisce ancora all’affermazione dei Padri della Chiesa secondo cui gli animali non possiedono una vera anima, ma solo un’anima che muore con il corpo. Il tempo, la disgrazia, hanno cambiato l’opinione di David: la tesi precedente appare ribaltata.
“In quella stanza succede qualcosa di innominabile: l'anima viene strappata dal corpo; resta per un attimo sospesa nell'aria, torcendosi e deformandosi; poi viene risucchiata e sparisce”. “David potrebbe risparmiare il cane storpio per un'altra settimana. Ma verrà il momento, inevitabile, in cui dovrà portarlo da Bev Shaw in sala operatoria [...]. Poi, quando l'anima se ne sarà andata, dovrà avvolgerlo e chiuderlo nel suo sacco [...] Quando giungerà il momento, farà questo per lui. Sarà poco, forse niente, ma lo farà”.
L’anima, la “vera anima”, non più inferiore, che David riconosce all’animale, viene estirpata nella stanza delle iniezioni, e David indugia su questa idea: proprio la presenza dell’anima a rendere innominabile l’atto che si compie in quella stanza.

La tematica dell’apertura all’Altro animale si configura quindi, anzitutto, come una sfida alla cultura razionalistica-strumentale in cui David, all’inizio del testo, dimostra di essere immerso. Dopo la critica autodistruttiva che David muove al sistema attraverso il rifiuto di sottomettersi alla commissione universitaria, ovvero attraverso il riconoscimento del desiderio come una forza “that exceeds and disrupts the razionalizations of his age”, nel successivo sviluppo del romanzo la “critica alla civiltà” (poiché di questo in fondo si tratta) del razionalismo egoistico, si delinea in tutta la sua forza: la cupa rappresentazione fa risaltare in tutta la sua urgenza la necessità di recuperare una capacità di sentire in grado di stabilire delle relazioni non-strumentali, non di comodo, non violente, con l’Altro da sé.
I fili narrativi che abbiamo analizzato comportano un’implicita condanna della chiusura, nonché della “distanza” (si ricordi l’atteggiamento ironico-dissacrante di David nei primi approcci alla questione) che la mentalità dominante impone all’individuo, davanti alla possibilità di una relazione diversa con l'Altro.
L’interesse a occuparsi dei cadaveri dei cani rappresenta un caso limite: immagine emblematica di un’assoluta distanza da qualsiasi valore utilitaristico. Riportiamo una frase riguardante Zampasecca, che attraverso una virgolettatura sembra evidenziata dallo stesso Coetzee: “Non lo sente 'suo' in alcun modo”. In chiusura di romanzo il rapporto di Lurie con gli animali è ormai plaesemente estraneo a qualunque logica reificante del “possesso”.
Vogliamo ora sottolineare, più in particolare, come in Vergogna sia rintracciabile anche un’altra questione da noi incontrata in qualche "post filosofico": numerose fra le situazioni analizzate convergono a testimoniare il riconoscimento da parte del protagonista di una individualità negli animali.
A partire dalla scena delle due pecore destinate al macello per la festa di Petrus, di cui David, profondamente scosso, parlerà con Lucy. La volontà di sottrarre i due persiani alla sofferenza prima, e alla morte poi, non si configura come volontà di salvare i due esemplari in quanto rappresentanti generici della loro specie, al di là di quello che afferma Lurie, ma di sottrarre proprio quei due esemplari, legati a una staccionata davanti ai suoi occhi, dalla sofferenza che li opprime e dalla morte cui sono destinati. David non li ha mai visti prima, non li “conosce” affatto, ma i sentimenti da cui si sente investito riguardano proprio loro, proprio quei due. Il confuso discorso alla figlia, in cui Lurie richiama di sua iniziativa la nozione di individualità per due volte nel giro di una pagina, sembra quasi confermare che proprio tale questione sia centrale nel più ampio cambiamento che David comincia a realizzare nei confronti degli animali.
In precedenza David aveva sostenuto con Lucy il discorso sull’anima dell’animale; e nell’evoluzione di questo filo il riconoscimento di una soggettività viene chiarito senza lasciare dubbi: ricordiamo i sacchi ammucchiati sulla porta, “ciascuno con un corpo e un’anima”, nonché l’importanza che la questione riveste nelle ultime pagine del testo; e ricordiamo inoltre il farsi di Lurie becchino e psicopompo dei cani, e il suo senso di colpa durante il viaggio a Cape Town.
Scrive Attridge: “Il suo servire gli animali morti è inteso come un riconoscere e un tributare loro cordoglio [as marking and mourning], ovvero riconoscere la soggettività della morte di ciascun cane, contestando la riduzione dei loro cadaveri a un mero accumulo di materia”[3].
David giunge non solo a prendersi cura dei loro cadaveri, ma anche a piangere per loro, mette in atto cioè, un vero “lavoro del lutto”. Sentendo, ancora una volta in maniera indistinta e difficoltosa, il bisogno di agire in tal modo nei confronti dei corpi animali, David giunge a conferire alla morte degli animali una dignità simile a quella riservata alla morte degli esseri umani, contribuendo a cancellare un altro dei limiti segnati dal nostro pensiero a distinzione dello status umano da quello animale.
Nell'ultimo capitolo dello studio vedremo come in Vergogna si possa rintracciare anche una critica alla questione della "reazione e non risposta" che abbiamo già visto in alcuni post dedicati a Derrida.
Si è parlato di “svolta etica” nel romanzo[4]. Abbiamo notato come gli animali giochino un ruolo fondamentale, proprio come la questione, più in generale, sembra diventare centrale nella pruduzione letteraria di Coetzee negli anni da Disgrace a Elizabeth Costello. Il passaggio del romanzo in cui questa sembra caricata di un valore più generale è ancora una volta una discussione tra David e Lucy: “Cerca Petrus e riferiscigli quello che ti ho detto. Gli cederò la terra con un regolare atto di proprietà”. David risponde: “Che umiliazione […] Tante grandi speranze per poi ridursi così”. “Sì, concordo con te, è umiliante. Ma forse è il punto di partenza giusto per ricominciare da capo. Forse è una lezione da accettare. Bisogna saper ricominciare dal fondo. Senza niente. Senza una carta da giocare, senza un'arma, senza una proprietà, senza un diritto, senza dignità”. “Come un cane”. “Sì, come un cane”.
È un passaggio che dà adito a molteplici interpretazioni[5]: potrebbe essere considerato in relazione alla situazione sudafricana, oppure più in generale in rapporto al “tempo” in cui viviamo. Nella nostra lettura vogliamo sottolineare come l’umiliante “lezione da accettare”, che si configura come una “ripartenza dal basso”, possa essere figura tanto di quel recupero dell’“animale” sacrificato pre la fondazione dell’idea della superiorità dell’umano; quanto di quel recupero attraverso il rapporto con l’animale di una capacità di sentire in grado di stabilire un contatto autentico con l’Altro da sé, di fondare quindi un nuovo senso etico basato non sulla ragione strumentale, ma sul riconoscimento della condivisione con l'Altro di un qualcosa di comune e profondo; forse proprio “quell’oscuro concetto di mondo” cui abbiamo già fatto riferimento, parlando di Heidegger.



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