MUSICA
Comunicato Stampa

Il nuovo interessante disco di Peppe Columbro “Lo chiamavano Peter Pan” con riflessioni sulla vita in maniera fiabesca

11/12/13

Un percorso artistico difficile, quello di Peppe Columbro, il giovane cantautore nativo di Mesiano ma residente a Messina, caratterizzato dalla determinazione e dalla caparbietà. Recentemente, l’autore di “Lo chiamavano Peter Pan” ha registrato un periodo di successi ed esibizioni in varie manifestazioni musicali di notevole prestigio. Alessandra D’Angelo lo ha intervistato.

FotoUn percorso artistico difficile, quello di Peppe Columbro, il giovane cantautore nativo di Mesiano ma residente a Messina, caratterizzato dalla determinazione e dalla caparbietà. Recentemente, l’autore di “Lo chiamavano Peter Pan” ha registrato un periodo di successi ed esibizioni in varie manifestazioni musicali di notevole prestigio. Alessandra D’Angelo lo ha intervistato.

“Sono figlio di De Andrè e Rino Gaetano, Guccini e Concato, De Gregori e Zucchero”. Peppe Columbro ne snocciola tanti di nomi. Il suo è un pantheon composito. Ci fa entrare perfino Sting e Bob Marley, spalla a spalla con Edoardo Bennato. Ma quando canta, quando scrive, la voce è solo sua. E il suo temperamento emerge da uno dei tanti aneddoti che racconta, sorridendo: “Ho un cognome celebre, all'università non facevano che chiedermi se fossi imparentato con Marco. Io rispondevo: è lui che mette in giro questa voce, è lui che dice di essere mio parente”.

Un disco pubblicato dalla Smilax Publishing a inizio anno, “Lo chiamavano Peter Pan”, due premi vinti in una sola estate: il primo posto al festival internazionale di Contursi lo scorso agosto e il miglior arrangiamento alla XI edizione di “Una voce per Pithecusae, Remember Mia Martini”. È qui che, accompagnato da Peppe Russo alla fisarmonica, Pietro Giordano al basso e Roberto Mento alla batteria, il giovane calabrese esegue una cover del “Giudice” di De Andrè. Il suo vero maître à penser. È a lui che, nel 2006, dedica il primo singolo autoprodotto, “Faber”. Come un esordiente Bob Dylan, che in “Song to Woody” celebrò il suo maestro, Woody Guthrie. O come lo stesso De Andrè, che prestò tributo allo chansonnier George Brassens, traducendone molti brani dal francese all'italiano.

“Fabrizio mi ha influenzato culturalmente, prima ancora che musicalmente”, spiega Columbro. “Per il modo in cui costruisce le cose e le porta sul palco, per la sua visione della vita. Durante gli anni ho analizzato tutti i suoi testi”. E non stupisce che, nello studio in cui ha registrato il suo album, su un tavolino tra una vecchia poltrona e la porta, ci sia un libro che quei testi li raccoglie tutti, accanto al catalogo di una vecchia mostra su De Andrè. Poi, in ordine sparso, ci sono le tre armoniche a bocca di Peppe, la sua chitarra classica, una tastiera, due pc, una poltrona con su una coperta (la preferita di Lucky, il cane, quello del video di “Lo chiamavano Peter Pan”) e una cassettiera colorata. È qui che, durante le prove, si siede Giusy Parisi, che accompagna Peppe alla voce. Quando non canta all’impiedi, dando le spalle alla finestra e agli ulivi. Perché la cornice che circonda la sala è di natura selvaggia e di viste sullo Stretto.

E non a caso due dei nove brani dell'album sono dedicati al mare. “Le mie canzoni sono le conclusioni che traggo sulla vita, proposte in maniera fiabesca e scritte in modo da permettere a chi ascolta di dare la propria interpretazione”. Alle prove, Peppe canta ad occhi chiusi. E mentre i brani si incatenano, il cielo man mano scurisce. Russo alterna la fisarmonica al pianoforte e, nelle parentesi strumentali, duetta con Marco Modica, il violinista. “Prendi il dolore e fanne poesia. Spiana le vele e portami via”. “Ero convinto di esser forte, ma sono solo un uomo”.

Testi semplici, armonie semplici. “In questo, spiega Peppe, sono più simile a Rino Gaetano che a De Andrè”. Ha una voce assorta, per nulla incerta. Indossa una t-shirt blu, un paio di jeans larghi, una collana con la croce e ha un braccialetto di metallo al polso sinistro. Ripenso a quando mi ha detto, “io sono un operaio, un uomo di campagna. Ho fatto tutti i mestieri manuali, dal contadino al pizzaiolo” aggiungendo poi, “Non le vedi le mie mani?”. Le guardo, le sue mani. Mentre disegnano accordi sul nylon della Godin.

Intervista realizzata da Alessandra D'Angelo



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